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Prova fido bancario per facta concludentia: la Cassazione

Una società ha citato in giudizio un istituto di credito per un contratto di conto corrente. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando le decisioni dei gradi precedenti. L’ordinanza sottolinea che, sebbene sia possibile dimostrare l’esistenza di un’apertura di credito tramite comportamenti concludenti (facta concludentia), l’onere della prova fido bancario ricade interamente sul cliente. In assenza di prove adeguate, l’eccezione di prescrizione sollevata dalla banca è stata ritenuta fondata.

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Pubblicato il 3 ottobre 2025 in Diritto Bancario, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Prova Fido Bancario: l’Onere Spetta al Cliente, anche per Facta Concludentia

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale nel contenzioso bancario: la prova fido bancario spetta sempre al correntista, anche quando si sostiene che l’apertura di credito sia nata da comportamenti concludenti e non da un contratto scritto. Questa decisione sottolinea l’importanza per i clienti di raccogliere e conservare prove inequivocabili dell’esistenza di un affidamento, al fine di superare l’eccezione di prescrizione sollevata dalla banca.

I Fatti di Causa

Una società citava in giudizio il proprio istituto di credito per ottenere la declaratoria di nullità di alcune clausole del contratto di conto corrente e di un’apertura di credito, chiedendo la restituzione delle somme indebitamente percepite. Il Tribunale accoglieva solo parzialmente la domanda. La società proponeva quindi appello, ma la Corte territoriale respingeva il gravame, ritenendo fondata l’eccezione di prescrizione sollevata dalla banca. Secondo i giudici d’appello, la società non aveva fornito una prova adeguata dell’esistenza di un’apertura di credito formale o di fatto. Di conseguenza, i versamenti effettuati sul conto scoperto venivano qualificati come ‘solutori’ (volti a estinguere il debito) e non ‘ripristinatori’ della provvista, facendo così decorrere il termine di prescrizione decennale da ogni singola operazione.

Contro questa decisione, la società proponeva ricorso per Cassazione, affidandolo a cinque motivi.

L’importanza della Prova Fido Bancario per la Prescrizione

Il fulcro della controversia risiede nella distinzione tra rimesse solutorie e ripristinatorie. In assenza di un fido, qualsiasi versamento su un conto in passivo è considerato ‘solutorio’, e il diritto del cliente a contestarlo si prescrive in dieci anni da quel versamento. Se, invece, esiste un fido, i versamenti effettuati entro il limite dell’affidamento sono ‘ripristinatori’ e il termine di prescrizione per l’azione di ripetizione dell’indebito decorre solo dalla data di chiusura del rapporto.

La società ricorrente sosteneva che, anche senza un contratto scritto, l’esistenza di un fido potesse essere provata ‘per facta concludentia’, ossia attraverso il comportamento tollerante della banca verso gli sconfinamenti. La Corte d’Appello, tuttavia, aveva ritenuto insufficienti gli elementi portati a sostegno di tale tesi.

La Decisione della Cassazione: Inammissibilità del Ricorso

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibili tutti i motivi del ricorso. Gli Ermellini hanno evidenziato come il ricorso non riuscisse a superare le barriere procedurali né a scalfire il nucleo centrale del ragionamento della Corte d’Appello. In particolare:

1. Sulla non contestazione: Il motivo era troppo generico e non permetteva alla Corte di valutare se la banca avesse effettivamente ammesso l’esistenza di un fido in primo grado.
2. Sulla prova fido bancario: Il ricorso travisava la decisione d’appello. La Corte territoriale non aveva negato in astratto la possibilità di provare un fido per facta concludentia, ma aveva concluso che, nel caso specifico, gli elementi probatori offerti dal cliente non erano sufficienti a dimostrarne l’esistenza.
3. Sull’omesso esame di fatti decisivi: Il motivo è stato bloccato dalla preclusione processuale della ‘doppia conforme’, poiché la sentenza d’appello aveva confermato quella di primo grado basandosi sullo stesso iter logico-giuridico.
4. Sulla consegna del contratto: La Corte ha ritenuto che la questione fosse stata correttamente risolta dai giudici di merito, i quali avevano accertato l’avvenuta consegna sulla base di una dichiarazione sottoscritta dalla stessa società.

Le Motivazioni

Il ragionamento della Cassazione si fonda su principi procedurali e sostanziali consolidati. La Corte ha ribadito che la valutazione delle prove e l’interpretazione della condotta delle parti sono attività riservate al giudice di merito e non possono essere riesaminate in sede di legittimità, se non per vizi logici o giuridici manifesti che, nel caso di specie, non sono stati riscontrati. Il punto cruciale della decisione risiede nell’aver chiarito che la Corte d’Appello non ha creato un’equazione automatica tra ‘assenza di forma scritta’ e ‘assenza di fido’. Piuttosto, ha compiuto una valutazione complessiva degli elementi disponibili, concludendo per la loro insufficienza a provare, anche implicitamente, la conclusione di un contratto di apertura di credito. La responsabilità di fornire una prova robusta e convincente ricade interamente sul correntista. La semplice tolleranza della banca verso gli sconfinamenti, senza ulteriori elementi sintomatici (come il pagamento di commissioni di massimo scoperto o comunicazioni specifiche), non basta a configurare un’apertura di credito di fatto.

Conclusioni

L’ordinanza in esame rappresenta un importante monito per i correntisti e i loro legali. La possibilità di provare l’esistenza di un fido bancario ‘per facta concludentia’ è ammessa, ma non è una strada semplice. È indispensabile fornire al giudice elementi di prova concreti, precisi e univoci, capaci di dimostrare che la tolleranza della banca non era un mero comportamento di cortesia, ma la manifestazione di una precisa volontà di concedere credito. In assenza di una solida prova fido bancario, il rischio di vedersi opporre con successo l’eccezione di prescrizione rimane estremamente elevato, con la conseguente perdita del diritto a recuperare le somme indebitamente pagate.

È possibile dimostrare l’esistenza di un fido bancario anche senza un contratto scritto?
Sì, la giurisprudenza ammette che l’esistenza di un’apertura di credito possa essere provata attraverso comportamenti concludenti delle parti (per ‘facta concludentia’), anche in assenza di un documento formale.

Su chi ricade l’onere della prova del fido bancario in assenza di contratto scritto?
L’onere della prova ricade interamente sul cliente (correntista). È lui che, agendo in giudizio, deve fornire elementi concreti e sufficienti a dimostrare che la banca aveva effettivamente concesso una linea di credito.

Perché l’eccezione di prescrizione della banca è stata accolta in questo caso?
L’eccezione è stata accolta perché il cliente non è riuscito a fornire una prova adeguata dell’esistenza di un fido. Di conseguenza, i versamenti effettuati sul conto in passivo sono stati considerati ‘solutori’ (per pagare il debito) e non ‘ripristinatori’ (per ristabilire la disponibilità di credito), facendo decorrere il termine di prescrizione decennale da ogni singola operazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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