Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4605 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 4605 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8851/2022 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, in persona del rappresentante in atti indicato, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del rappresentante in atti indicato, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 2677/21, depositata il 20/09/2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/02/2024 dal Consigliere COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. La società RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Varese la RAGIONE_SOCIALE (oggi RAGIONE_SOCIALE), chiedendo che, previo accertamento della responsabilità della convenuta ai sensi e per gli effetti dell’art. 2049 c.c. stante la condotta asseritamente antigiuridica tenuta dall’agenzia RAGIONE_SOCIALE, la stessa fosse condannata al risarcimento del danno subito da essa subito, che quantificava in complessivi euro 18.702,47, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria a far data dal fatto al saldo effettivo.
A fondamento della domanda precisava che: a) nel luglio 2012 aveva stipulato un contratto di servizi telefonici con RAGIONE_SOCIALE per la sua sede di Besozzo (VA) a seguito di accordi presi per il tramite dell’agenzia RAGIONE_SOCIALE di Rho, nella persona dell’operatore NOME COGNOME; b) in esecuzione del contratto, dopo l’installazione dei telefoni e l’attivazione della linea, erano ad essa pervenuti addebiti da RAGIONE_SOCIALE per il pagamento di costi e servizi non dovuti, poiché addebitati in violazione delle condizioni economiche del contratto sottoscritto; c) in particolare, aveva contestato: la fattura relativa ai due telefoni per il costo complessivo di euro 522,72, una fattura bimestrale dell’importo raddoppiato di euro 1200,00, l’addebito di costi di attivazione per euro 24,00 a bimestre e un totale di 576,00 euro, con determinazione del costo della telefonata in euro 0,21 al minuto per la telefonia mobile; nemmeno il passaggio da TIM a RAGIONE_SOCIALE era stato eseguito correttamente, posto che il precedente gestore aveva ad essa addebitato due fatture dell’importo di euro 147,46 cadauna per servizi telefonici non disdettati per le SIM mobili, oltre alla mancata disdetta di due distinti numeri: quanto al contributo di benvenuto, veniva accreditato solo l’importo di euro 450,00, residuando la somma di euro 300,00.
Si costituiva in giudizio RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), contestando quanto ex adverso rappresentato, eccependo la conformità degli importi fatturati rispetto ai prodotti attivati dalla RAGIONE_SOCIALE, respingendo ogni richiesta relativa agli addebiti effettuati dall’operatore di provenienza (cd. operatore donating) nella procedura di trasmigrazione e chiedendo il rigetto delle domande attoree poiché infondate in fatto e in diritto.
La causa veniva istruita mediante acquisizione della documentazione prodotta dalle parti, essendo state dichiarate inammissibili le richieste di istruttoria orale formulate da parte attorea.
Il Tribunale di Varese con sentenza n. 511/2019 rigettava la domanda, non essendo stati provati i fatti costitutivi della pretesa azionata.
Avverso la sentenza del giudice di primo grado proponeva appello la società originaria attrice.
Si costituiva anche nel giudizio di appello RAGIONE_SOCIALE che chiedeva il rigetto dell’impugnazione ex adverso proposta.
La Corte d’appello di Milano, con sentenza n. 2677/2021, rigettando l’impugnazione, confermava integralmente la sentenza del giudice di primo grado, condannando l’appellante alla rifusione delle spese processuali sostenute dalla controparte.
Avverso la sentenza della corte territoriale la società RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso.
Ha resistito con controricorso RAGIONE_SOCIALE.
Per l’odierna adunanza camerale il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni scritte ed i Difensori delle parti non hanno depositato memorie.
Il Collegio si è riservato il deposito della motivazione della decisione entro il termine di sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La società RAGIONE_SOCIALE articola in ricorso tre motivi.
Con il primo motivo la società ricorrente denuncia <> nella parte in cui la corte territoriale ha affermato: <> ed ha aggiunto che:<>.
Sostiene che, contrariamente a quanto affermato dalla corte territoriale, la sua domanda non era volta a modificare il testo contrattuale, ma ad accertare e dichiarare la responsabilità della RAGIONE_SOCIALE, quale preponente dell’RAGIONE_SOCIALE, che, quale agente RAGIONE_SOCIALE, l’aveva indotta a sottoscrivere il contratto con la promessa e l’impegno a conseguire risultati poi disattesi.
Sostiene altresì che dalle mail prodotte nel giudizio di primo grado (in particolare quelle del 6 e del 12 luglio, nonché quelle del 3 e del 17 settembre 2012) era risultata provata la responsabilità dell’agente nella definizione di accordi non chiari tra le parti.
Il motivo è inammissibile.
Invero – in disparte il rilievo che esso appare riferito alle argomentazioni del primo giudice, anziché a quelle della qui gravata sentenza di appello – non risulta, dagli atti accessibili a questa Corte, che nel giudizio di merito la società ricorrente avesse mai prospettato un’ipotesi di responsabilità precontrattuale e,
conseguentemente, non aveva mai invocato l’applicazione dell’art. 1337 c.c.
Con il secondo motivo la società ricorrente denuncia <> nella parte in cui la corte territoriale ha condiviso l’assunto sostenuto dal giudice di primo grado, che aveva ritenuto di non potere ritenersi sufficiente la produzione:
‘ … del doc. 1 da cui non è dato evincere compiutamente né l’oggetto della proposta accettata né il costo bimestrale della stessa, né la produzione del doc. 2, le comunicazioni elettroniche, se non effettuate tramite post certificata, in tanto possano assumere rilievo sul piano probatorio, in quanto non siano contestate dalla controparte e, quindi, da questa riconosciute … trattandosi di documentazione liberamente confezionabile dal soggetto interessato e che non assicura alcuna effettiva prova della provenienza dall’indirizzo di posta elettronica dell’apparente mittente…’;
“… nel caso di specie, RAGIONE_SOCIALE, affermando la conformità delle fatture rispetto ai prodotti prescelti dal cliente, in difetto di prova da parte dell’attrice delle condizioni generali accettate, ha -di fatto -indirettamente contestato il contenuto della mail in questione e trattandosi, per definizione, di documentazione non sottoscritta dalle parti, deve concludersi come, in difetto di prova circa l’effettivo inoltro (come appunto solo avviene nel caso di posta elettronica certificata), alla stessa non sia possibile attribuire alcuna idoneità probatoria’>>.
Si duole che la corte territoriale, condividendo il suddetto assunto, ha sostanzialmente legittimato la contestazione indiretta dei documenti prodotti.
Sostiene che i documenti informatici, privi di firma digitale, vanno ricondotti all’art. 2712, con la conseguenza che il giudice può accertare la loro conformità all’originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni; e che, sotto il profilo della dimostrazione della responsabilità precontrattuale, <>.
Osserva che RAGIONE_SOCIALE non aveva in alcun modo contestato la conformità dei documenti informatici prodotti, ma aveva dedotto solo il contrasto tra gli stessi ed i documenti contrattuali.
Si duole che detto contrasto non sia stato deciso sulla base di tutta la documentazione prodotta dalle parti e sulla base delle prove istruende: la dichiarazione di RAGIONE_SOCIALE circa la risultanza contrattuale e la conformità delle fatture, secondo la società ricorrente, non può dirsi idonea a contestare il contenuto delle medesime.
Anche questo motivo è inammissibile.
Invero quand’anche non si voglia rilevare che anche in tal caso la censura si appunta contro la motivazione della sentenza di prime cure – può riscontrarsi che, da un lato, la corte territoriale ha ritenuto che il contenuto della corrispondenza email sia generico e criptico e tale ratio decidendi non ha formato oggetto di censura, se non con l’assertiva affermazione di una contraria valutazione; dall’altro, parte ricorrente, insistendo sulla corrispondenza di posta elettronica quale materiale probatorio, sul quale il giudice di appello avrebbe dovuto decidere la causa, sollecita inammissibilmente questa Corte a rivedere nel merito il giudizio, formulato dalla corte
territoriale, sulla rilevanza probatoria dei documenti prodotti e sull’apprezzamento del documento su cui fondare la decisione.
Con il terzo motivo, che articola in via subordinata (cioè per l’ipotesi in cui sia ritenuto indirettamente contestato il contenuto delle mail), parte ricorrente denuncia <> nella parte in cui la corte territoriale non ha ad essa consentito la controprova circa l’autenticità del contenuto delle mail, essendo questa prova ottenibile con ogni mezzo, anche quello testimoniale e anche con la testimonianza dell’autore delle medesime.
Osserva che <> ed invoca a sostegno della sua tesi il principio affermato da Cass. n. 6134/1991.
Si duole che la corte territoriale è giunta <> ed invoca il principio affermato da Cass. n. 398/1979.
Anche detto motivo è inammissibile.
Parte ricorrente, invero, si duole della mancata ammissione della sua richiesta di prova testimoniale, ma non censura la ratio del provvedimento con il quale il giudice di appello non ha accolto detta richiesta e che si rivela, a ben vedere, dirimente a sfavore delle tesi attoree e qui incensurabile per la sua natura fattuale: il già rilevato contenuto criptico -e pertanto equivoco e non idoneo a dar conto degli esatti termini della proposta contrattuale o delle altre condizioni sottoposte alla cliente -dei messaggi di posta elettronica.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese sostenute da parte resistente, nonché la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento dell’importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020, n. 4315).
P. Q. M.
La Corte:
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, spese che liquida in euro 2.500 per compensi, oltre, alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2024, nella camera di