Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3972 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 3972 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 16/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15935/2019 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOMEricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 330/2019 depositata il 05/02/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/10/2024 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il giudizio trae origine dalla domanda di occupazione sine titulo di un appartamento promosso dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti di NOME e della contrapposta domanda riconvenzionale di acquisto della proprietà per usucapione.
Il Tribunale di Verona rigettò la domanda principale ed accolse la domanda riconvenzionale di usucapione.
La Corte d’appello di Venezia, con sentenza del 5.2.2019, in riforma della sentenza di primo grado, accertò l’illegittima occupazione dell’immobile da parte di NOME dell’appartamento e della cantina e la condannò al rilascio.
La Corte di merito rigettò la domanda riconvenzionale di usucapione per difetto di prova, da parte di NOME COGNOME della data di inizio del possesso nel tempo utile per il maturarsi dell’usucapione, ovvero dal settembreottobre 1992. La decisione si fondò sull’inattendibilità e genericità delle dichiarazioni dei testi COGNOME e COGNOME e sulla circostanza che nel settembre 1992, le unità immobiliari non erano state completate e la consegna era avvenuta dopo la stipula dei contratti di compravendita.
La COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia sulla base di tre motivi.
RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
Il Consigliere Delegato, ritenendo che il ricorso fosse manifestamente infondato, ha proposto la definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., nel testo introdotto dal D. Lgs n.149 del 2022. Alla proposta di definizione anticipata è seguita la richiesta di decisione avanzata da NOMECOGNOME
In prossimità della camera di consiglio, le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c. e 116 c.p.c., in relazione all’art.360, comma 1, n.3 c.p.c., per omessa valutazione delle dichiarazioni del teste COGNOME che aveva dichiarato di essersi recato
nell’abitazione della Zago nell’agosto 1992 per riparare un armadio. Da tali dichiarazioni, la Corte d’appello, avrebbe ricavato la prova certa del termine iniziale di decorrenza del possesso.
Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., in relazione all’art.360, comma 1, n.3 c.p.c., con riferimento alla prova risultante dalla dichiarazione del teste COGNOME COGNOME che, sentito come teste avrebbe riferito di essersi recato nell’immobile occupato dalla ricorrente a dine agosto 1992 per ivi svolgere dei lavori di falegnameria.
Con il terzo motivo di ricorso, si deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art.360, comma 1, n.5 c.p.c., per omesso esame delle circostanze oggetto dei primi due motivi di ricorso.
I motivi, che per la loro evidente connessione vanno trattati congiuntamente, sono inammissibili.
Infondata è la doglianza relativa alla violazione dell’art. 115 c.p.c., che è ravvisabile solo ove il giudice abbia deciso in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, ponendo a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art.116 c.p.c. (Cassazione civile sez. un., 30/09/2020, n.20867).
Quanto alla dedotta violazione dell’art.116 c.p.c., essa è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa
indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art.360, comma 1, n.5 c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cassazione civile sez. un., 30/09/2020, n.20867).
Nel caso di specie, la doglianza riguardava unicamente l’omessa esame della deposizione del teste COGNOME che aveva riferito di essersi recato nell’immobile occupato dalla ricorrente a fine agosto 1992 per ivi svolgere dei lavori di falegnameria.
Orbene, la Corte d’appello, nell’ambito dell’apprezzamento del materiale istruttorio, documentale e testimoniale, insindacabile in sede di legittimità, è pervenuta a diverse conclusioni in ordine alla decorrenza del momento iniziale del possesso.
In particolare, è stata esclusa l’attendibilità degli altri due testi, COGNOME e COGNOME le cui dichiarazioni erano generiche ed contrasto con le risultanze degli atti di vendita, da cui risultava che nel settembre 1992, le unità immobiliari del complesso ove era ubicato l’appartamento di Zago Tiziana non erano state completate e la consegna era avvenuta dopo la stipula dei contratti di compravendita.
Del resto, in tema di valutazione delle risultanze istruttorie, il giudice, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le
ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata ( Sez. 3, sentenza n. 12362 del 24/05/2006; Sez. L, Sentenza n. 17097 del 21/07/2010; Sez. 1, Sentenza n. 16056 del 02/08/2016) Con il ricorso per cassazione, la parte non può, infatti, rimettere in la della fattispecie operate dai giudici del merito poiché la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione legittimità (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 29404 del 07/12/2017).
Non sussiste la violazione dell’art. 2697 c.c., che si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (ex multis, Sez. 6 3, ordinanza n. 26769 del 23/10/2018) mentre, nel caso di specie, la Corte ha correttamente posto l’onere della prova del possesso in capo a COGNOME NOME.
La censura di cui all’art.360, comma 1, n.5 c.p.c., è inammissibile, perché verte non sull’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ma sull’esame di elementi istruttori.
E’ ius receptum che l”omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato
conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (Cass.
N. 8053/2014).
Il ricorso deve, pertanto, essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.
Essendo la decisione resa nel procedimento per la definizione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, di cui all’art. 380-bis cod. proc. civ.. (novellato dal D. Lgs n.149 del 2022.), con formulazione di istanza di decisione ai sensi dell’ultimo comma della norma citata, e il giudizio definito in conformità alla proposta, parte ricorrente deve essere, inoltre, condannata al pagamento delle ulteriori somme ex art.96, comma 3 e 4 c.p.c., sempre come liquidate in dispositivo (sulla doverosità del pagamento della somma di cui all’art.96, comma 4 c.p.c. in favore della Cassa delle Ammende: Cass. S.U. n. 27195/2023).
Ai sensi dell’art.13, comma 1 -quater del DPR n.115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.13, comma 1-bis, del DPR n.115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore del controricorrente, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%.
Condanna altresì parte ricorrente, ai sensi dell’art.96, comma 3 c.p.c., al pagamento a favore della parte controricorrente di una somma ulteriore di Euro 5.000,00 equitativamente determinata, nonché -ai sensi dell’ art.96, comma 4, c.p.c. – al pagamento della somma di Euro 2500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 -quater del DPR n.115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.13, comma 1-bis, del DPR n.115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione