Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 4874 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 4874 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/02/2025
Oggetto: Esecuzione forzata – Opponibilità atti di disposizione
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20407/2020 R.G. proposto da
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata nello studio del primo in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME e COGNOME, rappresentati e difesi dall’avv. prof. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME.
-controricorrenti –
COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME nel cui studio in Carrara, INDIRIZZO è elettivamente domiciliato
-controricorrente-
ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 264/2020 della Corte d’Appello di Genova, pubblicata in data 9/4/2020 e notificata il 20/5/2020 ai ricorrenti e il 27/5/2020 direttamente al ricorrente incidentale; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
20/02/2025 dalla dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
1. Con atto di citazione del 31/07/2008, COGNOME NOME e COGNOME NOME, premesso che avevano acquistato, con distinti atti rispettivamente del 18/04/1990 e 25/7/2003, l’immobile sito in Marina di Carrara, INDIRIZZO identificato al Fg. 103, part. 453 sub 4, che, col primo atto del 1990, era stata acquistata dalla venditrice RAGIONE_SOCIALE, anche la proprietà comune della corte insistente fra il predetto immobile, contraddistinto dal n. 61, e quello contraddistinto dal n. 63, acquistato il 03/10/1998 da COGNOME NOME dal proprio dante causa, COGNOME NOME, il quale lo aveva, a sua volta, acquistato dalla medesima società RAGIONE_SOCIALE con atto del 07/10/1996, che pertanto l’originario unico proprietario RAGIONE_SOCIALE aveva trasferito la comunione della corte e che questa era stata comunque composseduta per un periodo di tempo sufficiente all’acquisto per usucapione decennale, convennero in giudizio, davanti al Tribunale di Massa – Sezione di Carrara, COGNOME NOME al fine di sentire dichiarare nei suoi confronti che la corte pertinenziale, identificata al Fg. 103, Mapp. 452, era di comune proprietà, per titoli, tra gli attori e la convenuta e, in subordine, per intervenuta usucapione breve ex art. 1159 cod. civ..
Costituitasi in giudizio, COGNOME NOME chiese di chiamare in giudizio il proprio dante causa, COGNOME NOME svolgendo nei suoi confronti domanda di garanzia per l’eventuale evizione, con riserva
di chiedere il risarcimento del danno in separato giudizio, contestò, nel merito la domanda attorea, sostenendo di avere validamente acquistato per titoli la proprietà esclusiva del bene conteso, catastalmente graffato al n. 63 fin dall’atto del 22/12/1987, con cui la RAGIONE_SOCIALE aveva acquistato entrambi gli immobili dall’unica proprietaria COGNOME NOME, e chiese, in via riconvenzionale, l’accertamento dell’acquisto esclusivo della proprietà per intervenuta usucapione breve ex art. 1159 cod. civ.
Costituitosi in giudizio, COGNOME NOME contestò la domanda attorea, aderì, in via riconvenzionale, a quella di accertamento dell’acquisto della proprietà del bene per intervenuta usucapione breve proposta da COGNOME NOME e contestò l’azione di garanzia proposta nei suoi confronti.
Con sentenza n. 377/2016 del 15/4/2016, il Tribunale di Massa rigettò le domande avanzate da COGNOME NOME e COGNOME NOME, dichiarando assorbite quelle proposte da COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Il giudizio di gravame, instaurato da COGNOME NOME e COGNOME NOME con atto di citazione del 18/5/2016, si concluse, nella resistenza di COGNOME NOME e di COGNOME NOME, con la sentenza n. 364/2020, pubblicata il 9/4/2020, con la quale la Corte d’Appello di Genova riformò la sentenza impugnata, accertando e dichiarando la proprietà condominiale della corte pertinenziale dell’immobile identificato al Fg. 103, mappale 452 di proprietà COGNOME con l’immobile identificato al Fg. 103, mappale 452 sub 4, di proprietà di COGNOME NOME e COGNOME NOME, accogliendo la domanda di garanzia per evizione e condannando COGNOME NOME a tenere indenne COGNOME NOME dalle conseguenze derivanti dall’accoglimento della domanda degli appellanti.
Per quanto qui rileva, i giudici di merito ritennero che la comune dante causa, RAGIONE_SOCIALE, avesse trasferito alla RAGIONE_SOCIALE e ad altre
persone, con atto del 18/4/1990, anche l’area condominiale, tra cui la corte interna, che la stessa, pertanto, non avrebbe potuto trasferire al Pisani, con l’atto del 7/10/1996, l’intera proprietà della corte, benché ciò fosse detto nell’atto, in quanto godeva, all’epoca, della sola comproprietà della stessa, che l’atto del 1990 fosse stato trascritto, come risultante dalla documentazione prodotta in copia e non disconosciuta, e che non vi fossero gli elementi per affermare l’intervenuta usucapione decennale della corte da parte del medesimo COGNOME e della COGNOME in quanto non era stato dimostrato l’ animus possidendi .
Contro la predetta sentenza, COGNOME NOME propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi. Resistono con controricorso COGNOME NOMECOGNOME che propone anche ricorso incidentale affidato a sei motivi, e COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME
Fissata l’adunanza in camera di consiglio le parti hanno depositato memorie illustrative.
Considerato che :
1.1 Con il primo motivo di ricorso principale, si lamenta la nullità della sentenza per vizio di costituzione del giudice ex art. 158 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., in ragione dell’eccepita illegittimità costituzionale della legge 9 agosto 2013, n. 98, artt. da 62 a 72, di conversione, con modificazione, del d.l. 21 giugno 2013, n. 69, in relazione agli artt. 3, 25, primo comma, e 106, secondo comma, Cost., per avere la Corte d’Appello di Genova affidato la decisione della causa al collegio di cui aveva fatto parte il giudice ausiliario con incarico di relatore e di estensore della sentenza.
1.2 Il primo motivo di ricorso principale deve essere trattato unitamente al primo motivo di ricorso incidentale, col quale si lamenta parimenti l’illegittimità costituzionale degli artt. da 62 a72 della legge 9 agosto 2013, n. 98, di conversione, con
modificazione, del d.l. 21 giugno 2013, n.98, siccome in contrasto con gli artt. 102, primo comma, 106 commi primo e secondo, Cost., e conseguente nullità della sentenza per vizio di costituzione del giudice ex art. 158 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere la Corte d’Appello di Genova affidato la decisione della causa a collegio di cui aveva fatto parte un giudice ausiliario con incarico di relatore ed estensore della sentenza gravata.
1.3 Entrambi i motivi sono infondati.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 62-72 della legge n. 98 del 2013, in relazione all’art. 106, primo e secondo comma, Cost., nella parte in cui consentono la partecipazione di un giudice ausiliario al collegio di corte d’appello, atteso che la Corte costituzionale con la sentenza n. 41 del 2021, ha ritenuto la “temporanea tollerabilità costituzionale” per l’incidenza di concorrenti valori di rango costituzionale, della formazione dei collegi delle corti d’appello con la partecipazione di non più di un giudice ausiliario a collegio e nel rispetto di tutte le altre disposizioni che garantiscono l’indipendenza e la terzietà anche di questi magistrati onorari, fino al completamento del riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria, nei tempi contemplati dall’art. 32 del d. lgs. n. 116 del 2017 (in questi termini, Cass., Sez. 1, 28/5/2021, n. 15045).
Deve pertanto confermarsi il principio affermato da Cass., Sez. 6-2, 5/11/2021, n. 32065, secondo cui, in seguito alla citata sentenza della Corte Cost., che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di quelle disposizioni, contenute nel d.l. n. 69 del 2013 (conv. con modif. nella l. n. 98 del 2013), che conferiscono al giudice ausiliario di appello lo “status” di componente dei collegi nelle sezioni delle corti di appello, queste ultime potranno legittimamente continuare
ad avvalersi dei giudici ausiliari, fino a quando, entro la data del 31/10/2025, si perverrà ad una riforma complessiva della magistratura onoraria; fino a quel momento, infatti, la temporanea tollerabilità costituzionale dell’attuale assetto è volta ad evitare l’annullamento delle decisioni pronunciate con la partecipazione dei giudici ausiliari e a non privare immediatamente le corti di appello dei giudici onorari al fine di ridurre l’arretrato nelle cause civili.
2. Con il terzo motivo di ricorso principale, da trattare per primo per motivi di priorità logica, si lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 1325, 1346, 1362, 1363, 1364, 1376, 1470, 948, 2644 e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere la Corte d’Appello di Genova ritenuto sussistente, nel contratto del 1990, una volontà traslativa della comproprietà di una corte, non meglio individuata, ravvisandola in una mera clausola di stile, in pieno contrasto col chiaro oggetto della vendita e col comportamento complessivo dei contraenti.
Premesso che la società RAGIONE_SOCIALE aveva acquistato il 22/12/1987 due immobili, il primo posto al primo piano dello stabile condominiale e il secondo autonomo e dotato di cortile pertinenziale esterno da sempre catastalmente graffato in favore dello stesso, la ricorrente ha evidenziato come gli atti del 1990 in favore della COGNOME e del 1996 in favore del COGNOME riportassero rispettivamente, nella descrizione, ciascuna delle due unità immobiliari acquistate dalla società, come la descrizione catastale della corte, quale pertinenza della casa autonoma, e la graffatura non fossero mai state modificate, come il cortile non fosse neppure raggiungibile dalla casa degli originari attori, essendo questa posta al primo piano, e come la casa autonoma della ricorrente non facesse parte del condominio, in cui era invece inserito l’appartamento dei Tosi -Fusani, ma vantasse una servitù di
passaggio attraverso l’androne del condominio onde raggiungere la pubblica INDIRIZZO.
I giudici erano, dunque, caduti in errore allorché avevano valorizzato prioritariamente l’anteriorità delle trascrizioni, senza valutare adeguatamente che cosa le parti avessero inteso trasferire con l’atto del 18/4/1990, avendo tenuto conto del solo art. 3, che, includendo tra le parti trasferite anche le quote comuni e l’area cortilizia nonostante l’immobile della ricorrente e il cortile fossero estranei al condominio, conteneva una mera clausola di stile priva di valenza innovativa, e non anche dell’art. 5, che escludeva dal trasferimento la maggior consistenza dell’atto di acquisto della società del 22/12/1987, ossia la casa della ricorrente e l’area cortilizia.
Inoltre, i giudici non avevano considerato che l’immobile degli originari attori non aveva sbocchi nel cortile, che questo era catastalmente graffato a favore della proprietà della ricorrente e che tale requisito non era stato mai modificato dopo l’acquisto.
3. Col terzo motivo di ricorso incidentale, da trattare unitamente al terzo di ricorso principale, in quanto ad esso connesso, vertendo entrambi sull’interpretazione del contratto di trasferimento del 18/4/1990 in favore di COGNOME NOMECOGNOME si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697, primo comma, e 948 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., perché la Corte d’Appello di Genova aveva ritenuto provato l’acquisto, da parte dei Tosi-COGNOME, della corte, ancorché questa fosse sempre stata identificata quale esclusiva pertinenza dell’immobile ricadente nel mappale 452 di proprietà ora della COGNOME, senza considerare che gli originari attori erano soggetti alla probatio diabolica prescritta per la rivendicazione della proprietà e che essi, pur non essendo nel possesso dell’area esterna, non avevano prodotto né l’atto di acquisto del 1990, ma solo una minuta priva di
sottoscrizioni, né la nota di trascrizione, né un titolo che identificasse con precisione il bene. Inoltre, nella minuta depositata in primo grado e nella copia del titolo depositata in appello risultava chiaramente che la descrizione del bene era contenuta nel solo art. 1, che non conteneva il richiamo al cortile, che l’art. 2, che invece lo richiamava tra le parti comuni, conteneva mere clausole di stile, e che l’art.5 escludeva chiaramente dal trasferimento la restante porzione che la Maggiolina aveva acquistato nel 1987 e, dunque, anche il cortile.
4. Col quarto motivo di ricorso incidentale, da trattare unitamente al terzo di ricorso principale e al terzo di ricorso incidentale, in quanto connessi, vertendo entrambi sull’interpretazione del contratto di trasferimento del 18/4/1990 in favore di COGNOME NOMECOGNOME si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1325, 1346, 1362, 1363, 1364, 1376, 1470, 948, 2644 e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la Corte d’Appello di Genova affermato che la proprietà della corte fosse stata trasferita con entrambi i contratti del 1990 e del 1996, con la conseguenza che il trasferimento in favore del COGNOME era avvenuto a non domino , senza verificare se l’oggetto del contratto intercorso con i COGNOME
COGNOME comprendesse anche la corte, da sempre pertinenza dell’adiacente immobile della Scavazza, non facente parte del condominio in cui era, invece, inserita la proprietà dei primi. Il fatto che entrambi i beni fossero originariamente di proprietà della società Maggiolina e che questa potesse disporne liberamente non significava, infatti, ad avviso del ricorrente, che il trasferimento della corte ai COGNOME
COGNOME fosse stato effettivamente voluto, atteso che il contratto avrebbe dovuto essere interpretato tenendo conto sia del senso letterale delle parole, sia del contenuto delle clausole da valutarsi le une per mezzo delle altre, e che il suo oggetto avrebbe dovuto essere determinato, sicché non poteva
considerarsi rilevante al riguardo la clausola che richiamava le ‘parti comuni e condominiali tra cui la piccola corte pertinenziale catastalmente graffata scoperta’, posto che l’immobile della Scavazza, di cui detta area era pertinenza e di cui manteneva il medesimo identificativo catastale 452, era autonomo, mentre era condominiale solo quello dei Tosi-Fusani, avente identificativo catastale 453 sub 4.
Il ricorrente ha poi affermato che l’art. 2644 cod. civ. sulla priorità delle trascrizioni non poteva trovare applicazione, in quanto postulava l’identità dell’oggetto dei due atti a confronto, mentre in questo caso il richiamo al cortile contenuto nell’art. 2 dell’atto del 1990 era un mero refuso, stante anche l’indeterminatezza del bene in esso indicato e il contrasto con le clausole contenute negli artt. 1 (che conteneva l’oggetto del trasferimento) e 4, oltre alla produzione della nota di trascrizione.
5.1 Il terzo motivo di ricorso principale e il terzo e quarto di ricorso incidentale, come detto da trattare congiuntamente in quanto afferenti tutti alla idoneità del titolo al trasferimento della corte contesa e alla prova di esso, sono infondati.
Occorre innanzitutto chiarire come la domanda di accertamento della proprietà e quella di rivendicazione, esercitate da chi non è nel possesso del bene, non divergono rispetto all’ampiezza e rigorosità della prova sulla spettanza del diritto, essendo entrambe azioni a contenuto petitorio dirette al conseguimento di una pronuncia giudiziale utilizzabile per ottenere la consegna della cosa da parte di chi la possiede o la detiene (vedi Cass., Sez. 2, 3/8/2022, n. 24050; Cass., Sez. 2, 9/6/2000, n. 7894; Cass., Sez. 2, 27/4/1982, n. 2621; si veda anche Cass. n. 1481/1973), diversamente da quanto accade per l’azione di accertamento esercitata da chi è nel possesso del bene, tendendo essa non già alla modifica di uno stato di fatto, ma soltanto all’eliminazione di
uno stato di incertezza circa la legittimità del potere di fatto sulla cosa di cui l’attore è già investito, attraverso la dichiarazione che esso risponde esattamente allo stato di diritto (Cass., Sez. 2, 9/6/2000, n. 7894; Cass., Sez. 2, 27/4/1982, n. 2621; Cass., Sez. 2, 29/3/1976, n. 1122; Cass., Sez. 2, 5/5/1973, n. 1182; Cass., Sez. 2, 9/10/1972, n. 2957).
Soltanto in quest’ultimo caso l’attore è soggetto a un minore onere probatorio, in quanto è tenuto ad allegare e provare esclusivamente il proprio titolo di acquisto, ma non anche i vari trasferimenti della proprietà sino alla copertura del tempo sufficiente ad usucapire (Cass., Sez. 2, 9/6/2000, n. 7894; Cass., Sez. 2, 4/12/1997, n. 12300; Cass., Sez. 2, 27/4/1982, n. 2621), mentre con l’azione di rivendicazione ex art. 948 cod. civ. e con quella di accertamento in assenza di possesso, quand’anche non accompagnate dalla domanda di rilascio (in questi termini Cass., Sez. 2, 7/4/1987, n. 3340), è imposto all’attore di fornire la c.d. probatio diabolica della titolarità del proprio diritto – che costituisce un onere da assolvere ogniqualvolta sia proposta un’azione fondata sul diritto di proprietà tutelato erga omnes -, dimostrando il titolo di acquisto proprio e dei suoi danti causa fino ad un acquisto a titolo originario ovvero il compimento dell’usucapione (Cass., Sez. 2, 3/8/2022, n. 24050, cit.; Cass., Sez. 2, 19/1/2022, n. 1569; Cass., Sez. 2, 10/9/2018, n. 21940; Cass. n. 1210/2017; Cass., Sez. 2, 21/2/1994, n. 1650; Cass., Sez. 2, 13/8/1985, n. 4430; Cass., Sez. 2, 2/2/1976, n. 330; Cass., Sez. 2, 13/3/1972, n. 732), L’assolvimento di tale rigoroso onere probatorio può avvenire con qualsiasi mezzo, non necessariamente documentale, ma anche mediante un consulente tecnico (purché, in tal caso, il convincimento del giudice si ponga come conseguenza univoca e necessaria dei fatti emersi dall’indagine tecnica) o mediante le risultanze dei registri catastali, le quali, pur non valendo a
dimostrare con precisione la proprietà di un immobile, sono tuttavia utilizzabili dal giudice di merito come indizi suscettibili di convincimento, se presi in considerazione con rigore logico di ragionamento e convalidati da altri elementi di causa (Cass., Sez. 2, 14/4/1976, n. 1314; vedi anche Cass., Sez. 2, 3/8/2022, n. 24050, cit., Cass., Sez. 2, 9/6/2000, n. 7894; Cass., Sez. 2, 21/2/1994, n. 1650; Cass., Sez. 24/6/1971, n. 2000), sebbene il relativo rigore non possa che stabilirsi in relazione alla peculiarità di ogni singola controversia.
Infatti, il criterio di massima secondo cui l’attore deve fornire la prova rigorosa della sua proprietà e dei suoi danti causa fino a coprire il periodo necessario per l’usucapione, può subire opportuni temperamenti a seconda della linea difensiva adottata dal convenuto (Cass., Sez. 6-2, 19/1/2022, n. 1569), non nel senso che la mancata dimostrazione dell’usucapione da parte di quest’ultimo esoneri l’attore in rivendicazione dall’onere di provare il proprio diritto, ma nel senso che detto onere resta attenuato allorché il convenuto, nell’opporre l’usucapione, abbia riconosciuto, seppure implicitamente, o comunque non abbia specificamente contestato, l’appartenenza del bene al rivendicante o ad uno dei suoi danti causa all’epoca in cui assume di avere iniziato a possedere (Cass., Sez. 2, 3/8/2022, n. 24050; Cass., Sez. 2, 19/10/2021, n. 28865). Ne deriva che, ove il convenuto spieghi una domanda ovvero un’eccezione riconvenzionale, invocando un possesso ad usucapionem iniziato successivamente al perfezionarsi dell’acquisto ad opera dell’attore in rivendica (o del suo dante causa), l’onere probatorio gravante su quest’ultimo si riduce alla prova del suo titolo d’acquisto, nonché della mancanza di un successivo titolo di acquisto per usucapione da parte del convenuto, attenendo il thema disputandum all’appartenenza attuale del bene al convenuto in forza dell’invocata usucapione e
non già all’acquisto del bene medesimo da parte dell’attore (Cass., Sez. 2, 22/04/2016, n. 8215).
In ragione di ciò, l’attore in rivendicazione è tenuto ad allegare i fatti storici su cui fonda la proprietà, in guisa da consentire all’avversario di prendere consapevolmente posizione al riguardo, anche ai fini dell’eventuale delimitazione della catena probatoria dei titoli di acquisto, non potendo la relevatio ab onere probandi correlata al principio di non contestazione ex art. 115, primo comma, cod. proc. civ., prescindere da essa (Cass., Sez. 2, 27/11/2023, n. 32820).
Nella specie, le parti concordano nel ritenere sussistente il titolo di acquisto del comune dante causa, la società RAGIONE_SOCIALE, essendo la divergenza limitata all’estensione dell’oggetto del titolo di acquisto vantato dagli attori-odierni controricorrenti, COGNOME, con la conseguenza che la prova non può che essere circoscritta all’esame del titolo da essi vantato, con conseguente attenuazione del rigore della c.d. probatio diabolica .
Al riguardo, i giudici di merito hanno ritenuto sussistente la contitolarità tra le parti della proprietà dell’area cortilizia ed escluso, perciò, la proprietà esclusiva vantata da COGNOME Valeria, arguendola dall’esame degli atti di provenienza e dalla descrizione del bene oggetto di ciascuno di essi.
Partendo, infatti, dalla descrizione dei rispettivi beni come risultanti dall’atto di acquisto della società RAGIONE_SOCIALE dall’unica proprietaria COGNOME NOME del 22/12/1987, consistenti in a) un appartamento al civico INDIRIZZO, posto al primo piano con annesso vano soffitta, confinante con INDIRIZZO, cortile, vano scale, salvo se altri (in catasto al Fg. 103, part. 453 sub 4), l’uno, e da b) un piccolo fabbricato di solo piano terra in Marina di Carrara, numero civico INDIRIZZO -posto internamente alla INDIRIZZO con accesso mediante passo attraverso il fabbricato sopra descritto
con annessa piccola porzione di terreno (in catasto al Fg. 103, part. 452), l’altro, i giudici hanno evidenziato come la predetta società, con l’atto del 18/4/1990, avesse venduto a COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, in parti uguali e pro indiviso , non solo la ‘porzione del vecchio fabbricato in Marina di Carrara INDIRIZZO e precisamente’ quella ‘costituita da un appartamento in primo piano con accessoria soffitta’, identificato al Fg. 103, part. 453, sub 4, ma anche, in virtù dell’art. 2 del predetto contratto, la corte scoperta, in quanto l’art. 2 prevedeva che ‘ detto immobile viene trasferito nello stato di fatto e di diritto in cui si trova, con ogni azione e ragione, accessione, accessori, pertinenze e dipendenze, infissi e impianti, parti comuni e condominiali, tra cui la piccola corte pertinenziale catastalmente graffata scoperta ‘.
Essendo pertanto il trasferimento avvenuto per atto dell’unico proprietario, i giudici di merito hanno ritenuto che l’alienante avesse inteso trasferire con esso anche la corte, benché pertinenza del solo civico 63, che detto trasferimento non potesse considerarsi un mero errore descrittivo, come viceversa affermato dal giudice di primo grado, e fosse anzi provenuto a domino , con la conseguenza che il successivo trasferimento del 7/10/1996, da parte della medesima società, al Pisani della ‘annessa pertinenziale piccola corte’ in uno con l’appartamento al civico INDIRIZZO, non poteva essere avvenuto in proprietà esclusiva, potendo il venditore disporre della sola sua comproprietà.
5.2 Orbene, la contestazione del COGNOME in merito all’indeterminatezza dell’oggetto del contratto non può che considerarsi inammissibile, atteso che nella sentenza impugnata non vi è alcun richiamo a tale questione giuridica e che il predetto, nel proporla in questa sede, ha omesso di allegare l’avvenuta sua deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di
autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo avesse fatto, onde consentire a questa Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa (Cass., Sez. 6-5, 13/12/2019, n. 32804; Cass., Sez. 6-1, 13/6/2018, n. 15430).
In assenza di tali chiarimenti, la censura è allora inammissibile, non essendo consentita la prospettazione di nuove questioni di diritto o contestazioni che modifichino il thema decidendum ed implichino indagini ed accertamenti di fatto non effettuati dal giudice di merito, anche ove si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass., Sez. 2, 15/3/2022, n. 12877; Cass., Sez. 2, 06/06/2018, n. 14477).
5.3 I ricorrenti hanno altresì lamentato la scorrettezza dell’interpretazione del contratto offerta dai giudici di merito, non avendo essi tenuto conto della natura pertinenziale della corte rispetto alla sola abitazione autonoma della Scarazza e non del condominio adiacente, della persistente graffatura catastale della stessa in favore della medesima abitazione, dell’assenza di collegamento di tale area con l’appartamento degli originari attori, sita al primo piano, e, correlativamente, dell’esclusione dell’abitazione autonoma dal complesso condominiale, della clausola contenuta nell’art. 5 del contratto del 1990 che escludeva dal trasferimento la maggior consistenza dell’atto di acquisto della società del 22/12/1987, ossia la casa della ricorrente e l’area cortilizia.
Le relative doglianze non tengono però conto del fatto che l’interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all’art. 1362 cod. civ., e segg., o di motivazione inadeguata (ovverosia, non idonea a consentire la ricostruzione
dell’iter logico seguito per giungere alla decisione), sicché, per far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione (mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti), ma altresì precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato; con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (Cass. 26/10/2007, n. 22536).
D’altra parte, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni (tra le altre: Cass. 12/7/2007, n. 15604; Cass. 22/2/2007, n. 4178), con la conseguenza che non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi già dallo stesso esaminati, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass., Sez. 2, 15/5/2018, n. 11823; Cass. 7500/2007; 24539/2009), come, invece, preteso nella specie.
6.1 Col quinto motivo di ricorso incidentale, da trattare per primo per motivi di priorità logica, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2719 cod. civ. 214 e 215 cod. proc. civ., con riferimento al combinato disposto degli. 1325, primo comma, n. 4, 1350, primo comma, n. 1, 1418 e 2690, primo comma, cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.,
per avere la Corte d’Appello di Genova erroneamente ritenuto che una sorta di minuta, ossia dei fogli dattiloscritti privi di qualsivoglia firma e/o sottoscrizione e/o autentica potessero avere la stessa efficacia delle copie autentiche ove non espressamente disconosciuti, non avendo considerato che il difetto di forma scritta non poteva essere surrogato dalla non contestazione e che l’assenza della nota di trascrizione costituiva l’unico documento idoneo a provare l’opponibilità a terzi, sicché i Tosi –COGNOME non avevano assolto all’onere probatorio su di essi gravante.
6.2 Il quinto motivo di ricorso incidentale è infondato.
Si legge nella sentenza impugnata che i giudici di merito hanno ritenuto di superare l’eccezione sollevata dagli appellati in merito alla mancata produzione della copia autentica degli atti notarili, evidenziando come la copia prodotta in giudizio debba ritenersi conforme all’originale e possa essere esaminato e vagliato dal giudice, che ne può ordinare in ogni caso l’esibizione, ai fini della formazione del suo convincimento, quando non sia espressamente disconosciuto dalla controparte a norma dell’art. 2719 cod. civ., e come l’eventuale contestazione ai sensi di tale disposizione non impedisca al giudice di accertarne la conformità all’originale anche mediante altri mezzi di prova, comprese le presunzioni, sostenendo che nella specie non fosse stato proposto il disconoscimento ai sensi dell’art. 215 cod. proc. civ..
Orbene, quanto alla questione della produzione in giudizio di una mera minuta priva delle sottoscrizioni, non vi è alcuna menzione nella sentenza, sicché vale anche in questo caso il principio secondo cui, implicando essa un accertamento di fatto, il ricorrente, nel proporla in sede di legittimità, avrebbe dovuto, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di
autosufficienza del ricorso per cassazione, indicare in quale atto del giudizio precedente lo avesse fatto, onde consentire a questa Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa (Cass., Sez. 6-5, 13/12/2019, n. 32804; Cass., Sez. 6-1, 13/6/2018, n. 15430), non essendo consentita la prospettazione di nuove questioni di diritto o contestazioni che modifichino il thema decidendum ed implichino indagini ed accertamenti di fatto non effettuati dal giudice di merito, anche ove si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass., Sez. 2, 15/3/2022, n. 12877; Cass., Sez. 2, 06/06/2018, n. 14477).
Quanto invece alla dedotta difformità della copia prodotta rispetto all’originale, che poi è la questione analizzata dai giudici di merito, si osserva come non possa trovare applicazione il principio secondo cui il criterio della mancata contestazione ai sensi dell’art. 115 cod. proc. civ. non opera nel caso in cui il fatto costitutivo del diritto azionato sia rappresentato da un atto per il quale la legge impone la forma scritta ad substantiam , dal momento che in tale ipotesi, a differenza di quanto accade nel caso in cui una determinata forma sia richiesta ad probationem , l’osservanza dell’onere formale non è prescritta esclusivamente ai fini della dimostrazione del fatto, ma per l’esistenza stessa del diritto fatto valere, il quale, pertanto, può essere provato soltanto in via documentale, non risultando sufficienti né la prova testimoniale o per presunzioni, né la stessa confessione della controparte (Cass., Sez. 1, 17/10/2018, n. 25999; Cass., Sez. 1, 10/8/2001, n. 11054), posto che, nella specie, il documento è stato prodotto, sia pure in copia.
Ciò che rileva, nella specie, è invece il disposto dell’art. 2719 cod. civ., valevole tanto per le copie di scritture private, quanto, come nella specie, di atti pubblici (Cass., Sez. 20/2/2008, n. 1852), il
quale è applicabile sia alla ipotesi di disconoscimento della conformità della copia al suo originale (che, pur tendente ad impedirne l’attribuzione della stessa efficacia probatoria dell’originale, non impedisce al giudice di accertare tale conformità aliunde , anche tramite presunzioni), sia a quella di disconoscimento dell’autenticità di scrittura o di sottoscrizione (che, invece, preclude definitivamente l’utilizzabilità del documento fotostatico come mezzo di prova, salva la produzione, da parte di chi ebbe a presentarlo ed intenda comunque avvalersene, del relativo originale, onde accertarne la genuinità all’esito della procedura di verificazione – non ammessa per le copie – di cui all’art. 216 cod. proc. civ.), con la conseguenza che la copia fotostatica non autenticata si ha per riconosciuta, tanto nella sua conformità all’originale, quanto nella scrittura e sottoscrizione del loro autore, se la parte comparsa non la disconosce in modo specifico ed inequivoco alla prima udienza o nella prima risposta successiva alla sua produzione (Cass., Sez. 2, 18/7/2024, n. 19850).
Ciò comporta che i giudici di merito non hanno errato allorché hanno richiamato tali disposizioni, sostenendo che i documenti prodotti dagli appellanti non fossero stati disconosciuti.
Ciò comporta l’infondatezza della censura.
7.1 Col sesto motivo di ricorso incidentale, si lamenta, infine, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., nonché la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 345, terzo comma, cod. proc. civ., in vigore ratione temporis , in relazione all’art. 360 primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la Corte d’Appello di Genova omesso di esaminare l’eccezione di inammissibilità della nuova produzione effettuata da COGNOME NOME e COGNOME NOME con l’atto d’appello di ‘ copia autentica dell’atto di vendita 18/4/1990, rep. 9043, con attestazione dell’avvenuta trascrizione ‘.
7.2 Il sesto motivo di ricorso incidentale resta assorbito dalla decisione sul quinto motivo.
Con il secondo motivo di ricorso principale, si lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 2643, 2644, 2659, 948 e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la Corte d’Appello di Genova affermato che l’originaria comune dante causa, la RAGIONE_SOCIALE in quanto unica proprietaria dell’intero compendio immobiliare venduto a Tosi-Fusani e a Pisani, aveva la facoltà di scomporre i lotti, rispetto alla loro originaria consistenza, e che fosse, pertanto, irrilevante l’originaria natura pertinenziale del cortile alla villetta poi venduta al Pisani, ritenendo provata l’intervenuta trascrizione del titolo del 1990 e la sua conseguente opponibilità ai successivi aventi causa attraverso i contenuti dell’atto del 25/3/2003, con il quale gli altri comproprietari del bene acquistato da COGNOME NOME avevano venduto le proprie quote al figlio di quest’ultima, COGNOME NOME, in quanto recante, nella parte afferente ai riferimenti di provenienza del bene, la data della trascrizione.
Ad avviso della ricorrente, tale motivazione si poneva in contrasto con i principi in materia, potendo la trascrizione essere provata soltanto attraverso la produzione della relativa nota, siccome l’unica idonea a stabilire se e limiti dell’opponibilità di un atto ai terzi, senza necessità di esaminare anche il contenuto del titolo, oltre ad essere stata tardiva la produzione della copia autentica dell’atto di vendita del 1990, con attestazione dell’avvenuta trascrizione, dimostrato in primo grado solo attraverso la produzione di una minuta priva della sottoscrizione delle parti e del notaio, siccome intervenuta solo in appello e irrilevante in assenza, ancora una volta, della nota di trascrizione.
Col secondo motivo di ricorso incidentale, da trattare congiuntamente al secondo di ricorso principale, in quanto afferenti
entrambi alla prova delle trascrizioni, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697, primo comma, 2643, 2644 e 2659 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la Corte d’Appello di Genova erroneamente ritenuto sussistente la prova del diritto di proprietà condominiale della corte pertinenziale in assenza della produzione della prescritta nota di trascrizione del titolo di acquisto ex adverso invocato, posto che i TosiFusani avevano acquistato l’immobile di cui al mappale 453 sub 4, ma non anche il mappale 452 riguardante il cortile, e che questo era stato invece acquistato dal ricorrente incidentale e poi trasferito alla Scavazza.
10. Il secondo motivo di ricorso principale e il secondo di ricorso incidentale sono fondati.
Come noto, l’istituto della trascrizione attua una forma di pubblicità a tutela della circolazione dei beni, finalizzata alla soluzione di conflitti fra più acquirenti dello stesso diritto dal medesimo dante causa, ma non incide sulla validità e sull’efficacia dell’atto, ancorché non trascritto, salvo la concorrenza con altri atti trascritti, senza avere alcuna influenza sulla validità e sull’efficacia dell’atto, anche se non trascritto, salvo la concorrenza con altri atti trascritti (Cass., Sez. 2, 09/09/2013, n. 20641; Cass., Sez. 2, 05/07/1996, n. 6152; Cass., Sez. 2, 02/06/1993, n. 6159), sicché, configurandosi come un onere, è un quid pluris rispetto all’atto trascrivendo (Cass., Sez. 3, 12/12/2003, n. 19058).
In quanto finalizzata a risolvere il conflitto tra soggetti che hanno acquistato lo stesso diritto dal medesimo titolare, la trascrizione può essere provata soltanto a mezzo della produzione in giudizio in originale o in copia conforme – della nota di trascrizione, la quale ha la funzione di fonte della pubblicità immobiliare, improntata al principio di autoresponsabilità, secondo il quale, essendo la nota di trascrizione un atto di parte, gli effetti connessi alla formalità della
trascrizione si producono in conformità ed in stretta relazione al contenuto della nota stessa (Cass., Sez. 1, 05/07/2000, n. 8964). Solo le indicazioni in essa riportate consentono, infatti, di individuare, senza possibilità di equivoci ed incertezze, gli elementi essenziali del negozio, i beni ai quali esso si riferisce e il soggetto al quale la domanda sia rivolta, senza che possa essere surrogata nè dai contenuti dei titoli presentati o depositati con la nota stessa, nè dalla confessione della controparte (Cass., Sez. 3, 19/02/2019, n. 4726; Cass., Sez. 1, 27/12/2013, n. 28668; Cass., Sez. 3, 01/06/2006, n. 13137; Cass., Sez. 3, 11/01/2005, n. 368). L’autonomia della nota di trascrizione rispetto al titolo è data proprio dai suoi contenuti, tant’è che l’inesattezza nella nota di cui all’art. 2659 cod. civ., ad esempio, dell’indicazione della data di nascita del dante causa di un trasferimento immobiliare, con conseguente annotazione del titolo nel conto di diverso soggetto, determinando incertezza sulla persona a cui si riferisce l’atto, nuoce, ai sensi dell’art. 2665 cod. civ., alla validità della trascrizione stessa, da considerarsi, in concreto, occulta ai terzi, i quali non sono posti in grado, secondo gli ordinari criteri nominativi di tenuta dei registri immobiliari, di conoscere l’esistenza di tale atto (Cass., Sez. 2, 07/06/2013, n. 14440).
Orbene, la decisione assunta dai giudici di merito non si conforma affatto ai suddetti principi, avendo essi ritenuto provata la trascrizione del contratto del 1990, pur in assenza della relativa nota, alla stregua della sola indicazione della data di trascrizione contenuta nel contratto del 2003, così ponendosi in contrasto col principio di diritto che di seguito si formula:
‘ in tema di trascrizione, il conflitto fra più acquirenti dello stesso diritto dal medesimo dante causa si risolve sulla base della priorità delle rispettive trascrizioni, la quale può essere provata in giudizio soltanto attraverso la produzione – in originale o in copia conforme
– della nota di trascrizione, siccome improntata al principio di autoresponsabilità, secondo il quale, essendo la stessa un atto di parte, gli effetti connessi alla relativa formalità si producono in conformità e in stretta relazione al contenuto della nota stessa, che contiene gli elementi essenziali del negozio, i beni ai quali esso si riferisce e il soggetto al quale la domanda sia rivolta ‘.
Ciò comporta la fondatezza delle censure.
11. In conclusione, dichiarata la fondatezza del secondo motivo di ricorso principale e l’infondatezza del primo e del terzo, nonché la fondatezza del secondo motivo di ricorso incidentale, l’assorbimento del sesto e l’infondatezza dei restanti, il ricorso principale e quello incidentale devono essere accolti e la sentenza cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Genova, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso principale e il secondo del ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Genova, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 20/2/2025.