Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 22378 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 22378 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19311/2020 R.G. proposto da
NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO C/O ARCH. COSTA NOME COGNOME presso lo studio dell’avvocato COGNOME che li rappresenta e difende
– ricorrenti –
contro
COMUNE DI COGNOME , in persona del Sindaco pro tempore ed elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME , rappresentato e difeso dall’avvocato NOME
Oggetto: Pubblica Amministrazione -Occupazione -Indennità – Determinazione
R.G.N. 19311/2020
Ud. 27/03/2025 CC
-controricorrente –
nonché contro
SETTINERI NOME, SETTINERI NOME, SETTINERI NOME SETTINERI NOME, SETTINERI NOME SETTINERI NOME, SETTINERI NOME, SETTINERI NOME
-intimati – avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO REGGIO CALABRIA n. 383/2020 depositata il 30/04/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 27/03/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 383/2020, pubblicata in data 6 maggio 2020, la Corte d’appello di Reggio Calabria, nella regolare costituzione degli appellati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME E NOME COGNOMEtutti nella veste di eredi, diretti o indiretti di NOME COGNOMEnonché di NOME COGNOMEquale erede di NOME COGNOMEe nella contumacia sia degli appellati NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME E NOME COGNOME -tutti nella veste di eredi, diretti o indiretti, di NOME COGNOMEsia degli appellati NOME COGNOME NOME COGNOME ha accolto l’appello proposto dal COMUNE DI COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Palmi n. 463/12, pubblicata il 29 novembre 2012, e, per quanto rileva nella
presente sede, ha respinto la domanda originariamente proposta da NOME COGNOME
Quest’ultimo aveva adito il Tribunale di Palmi, chiedendo la condanna del COMUNE DI SCIDO alla corresponsione delle indennità dovute in conseguenza sia dell’occupazione abusiva di un suolo non seguita da decreto di esproprio sia dell’ulteriore occupazione d’urgenza di una distinta porzione della medesima particella di terreno.
All’esito del giudizio, nel corso del quale aveva svolto intervento volontario NOME COGNOME il Tribunale di Palmi aveva accolto la domanda.
La Corte d’appello di Reggio Calabria – dopo aver dichiarato la nullità dell’atto di intervento di NOME COGNOME nonché degli atti ad esso consequenziali, essendo la medesima NOME COGNOME deceduta in epoca anteriore allo stesso atto di intervento, con conseguente estinzione del mandato conferito al difensore -ha invece accolto l’appello riferito all’accoglimento de lla domanda originariamente proposta da NOME COGNOME ritenendo assente la prova della titolarità in capo a quest’ultimo de l terreno occupato dal COMUNE.
La Corte, infatti, ha escluso che potessero costituire elementi probatori una serie di atti – verbale di immissione in possesso, il verbale di cessione volontaria, l’elenco delle proprietà da occupare, il processo verbale di accertamento dello stato di consistenza degli immobili da espropriare – in quanto gli stessi in gran parte indicavano come proprietari altri soggetti, oppure indicavano NOME senza specificare il titolo di proprietà.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria ricorrono NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME
Resiste con controricorso il COMUNE DI SCIDO.
Sono rimasti intimati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME tutti evocati nella veste sempre di eredi diretti o indiretti di NOME COGNOME.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a due motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 c.c.; 100 e 324 c.p.c.
I ricorrenti premettono in fatto che nel corso del giudizio di primo grado innanzi al Tribunale di Palmi, quest’ultimo aveva definito una prima volta il giudizio, da un lato, dichiarando la propria incompetenza a statuire in ordine alla determinazione dell’indennità per l’occupazione legittima, individuando la competenza della Corte di Appello di Reggio Calabria , e, dall’altro, condannando l’odierno controricorrente a corrispondere la somma di £ 2.107.958, a titolo di indennità per l’occupazione illegittima.
Tale decisione, prosegue il ricorso, non era stata impugnata dal COMUNE DI SCIDO, passando, conseguentemente in giudicato, mentre, riassunto il giudizio innanzi alla Corte d’appello di Reggio Calabria, limitatamente alla domanda concernente l’indennità per l’occupazione legittima, la Corte territoriale aveva, a propria volta, dichiarato il proprio difetto di competenza in favore del Tribunale di Palmi, determi-
nando la riassunzione del giudizio innanzi a quest’ultimo e la pronuncia della decisione poi riformata dalla sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria impugnata nella presente sede.
Argomentano, pertanto, i ricorrenti che, non essendo stata impugnata la prima sentenza del Tribunale di Palmi, la quale aveva disatteso l’eccezione di difetto di legittimazione attiva, sollevata dal COMUNE DI SCIDO, si era ormai venuto a formare il giudicato sulla legittimazione attiva di NOME COGNOME e che, conseguentemente, la decisione della Corte d’appello, nel ritenere non provata la titolarità del terreno in capo all’originario attore, avrebbe violato il giudicato medesimo.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c.
Si censura la decisione della Corte d’appello per avere la medesima ritenuto non sussistente la prova della titolarità del terreno in capo all’originario attore, richiamando si la documentazione prodotta nel corso del giudizio ed argomentandosi che la prova medesima poteva essere fornita con gli ordinari strumenti -e non con i medesimi criteri richiesti per l’azione di rivendicazione sottolineandosi la presenza di adeguati elementi probatori.
Questa Corte deve rilevare preliminarmente l’assenza in atti di parte della documentazione attestante il perfezionamento della notificazione nei confronti di alcuni degli intimati.
Non si ritiene, tuttavia, di disporre l’integrazione del contraddittorio, potendo nella specie trovare applicazione il principio, più volte affermato da questa Corte, per cui il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, con la conseguenza che, in caso di ricorso per cassazione prima facie infondato, appare
superfluo, pur potendone sussistere i presupposti, disporre la fissazione di un termine per l’integrazione del contraddittorio ovvero per la rinnovazione di una notifica nulla o inesistente, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti (cfr. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 12515 del 21/05/2018; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11287 del 10/05/2018; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15106 del 17/06/2013).
Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Il motivo, infatti, presenza significative carenze quanto al rispetto della regola di specificità di cui all’art. 366 c.p.c.
Poiché i ricorrenti hanno dedotto la violazione di un precedente giudicato -scaturito, peraltro, da una dinamica peculiare nello sviluppo del giudizio, per essersi il giudice di prime cure pronunciato due volte su due distinte domande, a causa di una prima decisione intermedia della Corte d’appello declinatoria di competenza sarebbe stato onere degli stessi procedere ad una completa riproduzione e localizzazione degli atti da cui sarebbe scaturito il dedotto giudicato.
Il rispetto della regola di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., quindi, avrebbe imposto ai ricorrenti l’onere di produrre sia la prima sentenza del Tribunale di Palmi che i ricorrenti assumevano essere passata in giudicato -e ciò in virtù del principio per cui la deduzione in sede di legittimità della violazione del giudicato ex art. 2909 c.c. comporta per la parte l’onere di mettere a disposizione, mediante trascrizione nel corpo del ricorso, la decisione che si assume passata in giudicato (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 5633 del 21/02/2022; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 1041 del 16/01/2025; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 17310 del 19/08/2020) -sia gli ulteriori atti processuali indispensabili ai fini
dell’inquadramento dell’oggetto dei due giudizi decisi dal Tribunale stesso, in modo da consentire a questa Corte di verificare l’identità delle domande definite dai due giudizi e quindi di verificare l’effettiva sussistenza del giudicato.
Tale onere si presentava particolarmente pregnante nella specie, dal momento che la ricostruzione del giudizio operata nel ricorso sembrava prospettare un’ipotesi di separazione delle cause quella sull’occupazione d’urgenza e quella sull’occupazione illegittima, a quanto è dato comprendere -e quindi una diversificazione dei giudizi, con evidenti riflessi in tema di individuazione dello stesso ambito del giudicato.
La ricostruzione operata nel motivo di ricorso si presenta invece sul punto talmente carente, da precludere in radice qualsiasi ragionevole valutazione di fondatezza o meno del mezzo.
Tale radicale carenza viene a precludere anche l’esercizio, ad opera del giudice di legittimità, del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, in quanto è necessariamente all’ammissibilità del motivo di ricorso che viene ad essere subordinato l ‘esercizio del potere -dovere del giudice di legittimità di accertare la sussistenza del denunciato vizio attraverso l’esame diretto degli atti (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 20181 del 25/07/2019; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 27368 del 01/12/2020; Cass. Sez. U, Sentenza n. 8077 del 22/05/2012; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 15071 del 10/09/2012), e ciò pur nella modulazione che questa Corte ha ritenuto di specificare in conformità alle indicazioni della sentenza CEDU del 28 ottobre 2021 (causa COGNOME ed altri c/Italia), e cioè secondo criteri di sinteticità e chiarezza, realizzati dalla trascrizione essenziale degli atti e dei documenti per la parte d’interesse, in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l’attività del giudice di legittimità e garantire al tempo stesso la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la
funzione nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario in misura tale da non inciderne la stessa sostanza (cfr. Cass. Sez. L, Ordinanza n. 3612 del 04/02/2022; ma anche Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 24048 del 06/09/2021).
4. Inammissibile è anche il secondo motivo.
Il motivo, in realtà, prende le proprie mosse da un inadeguato inquadramento della problematica, richiamando una previsione -l’art. 100 c.p.c. -che non risulta assolutamente pertinente.
La decisione impugnata, invero, ha accolto il motivo di gravame col quale l’odierno controricorrente veniva a contestare la titolarità – in capo al dante causa degli odierni ricorrenti – del terreno interessato dalle condotte di occupazione e quindi del diritto all’indennizzo – ritenendo che di tale titolarità non fosse stata fornita adeguata prova.
A venire in rilievo, quindi, non era -e non è – un profilo né di legittimazione ad agire né, tampoco, di interesse ad agire ex art. 100 c.p.c., bensì un profilo di titolarità concreta del lato attivo dell’obbligazione, e cioè profilo che è contestabile in ogni fase del giudizio e che è oggetto di valutazione d’ufficio (cfr. Cass. Sez. U, 16/02/2016, n. 2951; Cass., 15/05/2018, n. 11744; Cass., 17/06/2024, n. 16814).
Operato tale chiarimento preliminare, si deve a questo punto osservare che la Corte territoriale, con giudizio di fatto ad essa riservato e peraltro motivato, ha ritenuto che non vi fosse adeguata prova della titolarità del terreno in capo al dante causa degli odierni ricorrenti, senza tuttavia affermare -come invece sembrano aver compreso questi ultimi -che tale prova avrebbe dovuto necessariamente essere fornita con le stesse modalità della prova della proprietà nell’azione di rivendicazione, non rinvenendosi in tutta la motivazione della Corte d’appello siffatta affermazione.
La Corte territoriale, per contro, ha valutato tutto gli elementi documentali -anche indiziari -che erano stati addotti a suffragio dell’affermata titolarità della proprietà del terreno ma li ha ritenuti insufficienti per carattere – in parte generico in parte anche contraddittorio che gli stessi presentavano, in tal modo, anzi, implicitamente riconoscendo che, diversamente, gli stessi avrebbero potuto assumere rilevanza probatoria.
Ne consegue, a questo punto, che il motivo di ricorso risulta inammissibile per almeno due ragioni, costituite, da un lato, dal fatto che lo stesso non si confronta con l’effettiva ratio della decisione e, dall’altro lato, dal fatto che lo stesso si sostanzia nel concreto in una critica alla valutazione delle prove riservata al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità (cfr. Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 32505 del 22/11/ 2023; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 13918 del 03/05/2022; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6774 del 01/03/2022; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 20553 del 19/07/2021; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 21187 del 08/08/2019; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1554 del 28/01/2004).
Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna dei ricorrenti alla rifusione in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravve-
nute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, dichiara il ricorso inammissibile;
condanna i ricorrenti a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 3.200,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1- quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima