Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5982 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 5982 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 06/03/2024
SENTENZA
sul ricorso 15096-2019 proposto da:
NOME, rappresentata e difesa in proprio e dall’AVV_NOTAIO e domiciliata presso la cancelleria della Corte di Cassazione
– ricorrente –
contro
NOME, NOME e NOME, elettivamente domiciliati in ROMAINDIRIZZO, nello studio dell ‘AVV_NOTAIO, rappresentati e difesi da ll’AVV_NOTAIO
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1013/2021 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 22/02/2019;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME;
udito il P.G., nella persona della dott. ssa NOME COGNOME ; udita l’AVV_NOTAIO, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, per la parte ricorrente
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 30.12.2008 NOME, NOME e NOME evocavano in giudizio COGNOME NOME innanzi il Tribunale di Nola, esponendo di essere proprietari esclusivi, ciascuno in ragione di 1/3, giusta atto di divisione del 7.7.1998 e successiva donazione del 12.6.2007, di alcuni immobili siti in territorio del Comune di Cercola; di aver stipulato con COGNOME NOME un contratto preliminare per la vendita dei beni di loro proprietà, in data 17.7.2007, ma di non aver potuto formalizzare la vendita, e di aver dovuto riconoscere al loro promissario acquirente un indennizzo, a fronte delle condotte della convenuta, che aveva rivendicato, senza averne titolo, la proprietà esclusiva di alcuni beni comuni, ed in particolare di una cisterna, di un forno con sottoforno e di un lavatoio siti all’interno del complesso immobiliare di cui erano parte i beni degli attori. Invocavano quindi la condanna della COGNOME alla cessazione delle molestie perpetrate in danno di essi attori ed al risarcimento del danno, nonché l’accertamento dell’inesistenza di qualsiasi suo diritto su forno, sottoforno, cisterna e lavatoio di cui anzidetto.
Si costituiva la convenuta, resistendo alla domanda di parte attrice e spiegando a sua volta domanda riconvenzionale per l’accertamento del suo diritto di proprietà esclusiva su forno, sottoforno, cisterna e lavatoio; in subordine, invocava l’accertamento dell’acquisto dei detti beni per usucapione, ordinaria o decennale; in ulteriore subordine, per il solo caso in cui fosse accertata la comproprietà dei beni di cui anzidetto, chiedeva regolamentarsi il loro uso su base turnaria.
Con sentenza n. 641/2015, il Tribunale accertava la proprietà esclusiva dei beni oggetto di causa in capo agli attori, rigettando la domanda riconvenzionale proposta dalla convenuta e ogni residua domanda di parte attrice.
Con la sentenza impugnata, n. 1013/2019, la Corte di Appello di Napoli rigettava il gravame proposto da COGNOME NOME avverso la decisione di prime cure, confermandola.
Propone ricorso per la cassazione di detta sentenza COGNOME NOME, erede di COGNOME NOME, affidandosi a cinque motivi.
Resistono con controricorso NOME, NOME e NOME.
Ambo le parti hanno depositato memoria.
Il P .G. ha depositato conclusioni scritte nel senso del rigetto del ricorso.
Sono comparsi all’udienza pubblica del 27.2.2024 l’AVV_NOTAIO, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, per la parte ricorrente, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso, ed il P.G., che ha concluso per il rigetto.
RAGIONI COGNOMEA DECISIONE
Prima di scrutinare i motivi del ricorso, va esaminata la richiesta di riunione del presente ricorso a quello avente ad oggetto la sentenza della Corte di Appello di Napoli n. 4379/2016, resa tra le medesime
parti e relativa allo stesso complesso immobiliare, distinto dal numero di ruolo generale NUMERO_DOCUMENTO. Detta richiesta va rigettata, in quanto il ricorso n. 16033/2017 è stato deciso da questa Corte con ordinanza di rigetto n. 6594/2022, depositata il 28.2.2022. In ogni caso, non sussisteva alcun presupposto per disporre l’invocata riunione, posto che le due impugnazioni avevano ad oggetto diverse sentenze rese dalla Corte di Appello di Napoli.
Passando all’esame dei motivi di ricorso, con il primo di essi la parte ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 132 e 156 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente interpretato il contenuto di alcune sentenze, intercorse tra le parti, rendendo una motivazione contraddittoria e insufficiente. Ad avviso della ricorrente, in particolare, la sentenza n. 1606/2011, resa dalla Corte di Appello di Napoli in diverso giudizio civile e passata in giudicato, avrebbe dichiarato la sussistenza, in capo alla COGNOME, della titolarità esclusiva dei beni oggetto di causa. Inoltre, la ricorrente lamenta la scorretta interpretazione, da parte della Corte distrettuale, di una serie di documenti e risultanze istruttorie, nonché di altre decisioni, rese sia in sede civile che penale, dalle quali emergerebbe, secondo la prospettazione della COGNOME, la dimostrazione che la sua dante causa, COGNOME NOME, era in realtà l’unica ed esclusiva proprietaria dei beni oggetto della presente controversia.
Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta altresì la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, genericamente indicate, ed omesso esame di fatti decisivi, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente valutato le risultanze istruttorie acquisite agli atti del giudizio di merito, trascurando di dare il giusto rilievo alle deposizioni rese da alcuni
testimoni, che avevano confermato lo stato di abbandono dei comodi di cui è causa, alle relazioni tecniche acquisite nel corso del predetto giudizio di merito ed alle risultanze della C.T.U. esperita, anch’esse confermative delle condizioni dei beni di cui si discute, alle querele che gli COGNOME avevano ripetutamente sporto in danno della COGNOME, tutte archiviate, ed infine al contenuto delle varie sentenze allegate in atti, con particolare riguardo a quelle rispettivamente emesse dal Tribunale di Nola, n.2124/2004 e n. 1722/2007, e dalla Corte di Appello di Napoli, n. 1606/2011.
Con il terzo motivo, la parte ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione degli artt. 948 e 2697 c.c., nonché il difetto, l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione, perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente escluso la prova della comproprietà dei comodi oggetto di causa. Ad avviso della ricorrente, la proprietà dei cespiti anzidetti in capo alla COGNOME sarebbe stata accertata da due relazioni di C.T.U., rispettivamente redatte dal geom. COGNOME e dall’arch. COGNOME e la NOME sarebbe stata immessa nel possesso dei beni de quo sin dalla morte della sua dante causa, COGNOME NOME, e dunque a far data dal 10.2.1985.
Con il quarto motivo, la ricorrente si duole dell’erronea interpretazione dei titoli di provenienza depositati agli atti del giudizio di merito, e della conseguente erronea attribuzione a NOME, NOME e NOME del diritto di proprietà esclusiva sui beni oggetto del giudizio. Ad avviso della ricorrente, il giudice di merito avrebbe interpretato il contenuto dei predetti titoli in modo non adeguato, finendo per riconoscere in capo agli NOME, odierni controricorrenti, un diritto di proprietà esclusiva sui comodi oggetto del giudizio che in realtà ad essi non sarebbe mai stato trasferito.
Con il quinto ed ultimo motivo, infine, la ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione, in quanto la Corte distrettuale avrebbe erroneamente ritenuto non attendibili le deposizioni rese da taluni testimoni in relazione alla data del decesso di COGNOME NOME, non avrebbe dato il necessario rilievo al fatto che gli NOME non avevano mai reagito avverso il possesso esclusivo dei comodi di cui è causa esercitato dalla COGNOME NOME, se non depositando alcune querele, poi tutte archiviate, e comunque avrebbe interpretato in modo ritenuto non soddisfacente il complesso quadro emergente dalle risultanze istruttorie acquisite agli atti del giudizio.
Le censure, che sono suscettibili di esame congiunto, sono tutte inammissibili.
Va innanzitutto precisato che il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione, varie volte denunziato dalla parte ricorrente, è stato espunto dall’ambito del vizio motivazionale utilmente deducibile in sede di legittimità a seguito della novella del 2012. Le doglianze sollevate sul punto, quindi, sono tutte inammissibili.
Del pari, va precisato che il motivo di ricorso deve necessariamente consentire l’individuazione delle norme che la parte ricorrente afferma siano state violate, preferibilmente già in epigrafe. Risulta quindi inammissibile, sotto questo profilo, la seconda censura, proposta genericamente per la violazione di ‘norme di diritto’ .
Inammissibile è anche la doglianza con la quale la parte ricorrente si limita a contrapporre, alla ricostruzione del fatto e delle prove prescelta dal giudice di merito, una lettura alternativa del compendio istruttorio, in quanto il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto,
estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. del 25/10/2013, Rv. 627790). Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire anche il principio per cui ‘L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. del 13/06/2014, Rv. 631330).
Ed infine, nel caso di specie, la motivazione della sentenza impugnata non risulta viziata da apparenza, né appare manifestamente illogica, ed è idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dar atto dell’iter logico-argomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).
Il giudice di merito, infatti, ha ritenuto corretta la ricostruzione operata dal Tribunale di Nola, sulla base del vitalizio per atto del AVV_NOTAIO COGNOME del 24.10.1978, del vitalizio per atto AVV_NOTAIO NOME del DATA_NASCITA,
dell’atto per AVV_NOTAIO COGNOME del 1926, dell’atto per AVV_NOTAIO COGNOME del 1990, dell’atto per AVV_NOTAIO COGNOME del 1885, ed ha confermato la conclusione cui era già pervenuto il primo giudice, secondo cui ‘… la vecchia cisterna fuori uso veniva attribuita in proprietà esclusiva a COGNOME NOME per cessione da parte del comproprietario COGNOME COGNOME NOME, dietro corrispettivo della costruzione a spese del COGNOME nella casa del COGNOME di un impianto di acqua … e pertanto nessun diritto sulla cisterna risultava residuare in capo al COGNOME‘ (cfr. pagg. 4 e 5 della sentenza impugnata). La Corte di Appello ha poi confermato la decisione del giudice di primo grado anche in relazione al rilievo secondo cui con il vitalizio del 1978 era stato trasferito a COGNOME NOME soltanto il diritto di nuda proprietà, e non anche il possesso, dei beni oggetto di causa, né si era raggiunta la prova della data in cui la presunta relazione di fatto con detti beni si sarebbe instaurata, in capo alla predetta COGNOME (cfr. pag. 5 della sentenza). Sulla base di tali premesse, la Corte distrettuale ha ritenuto infondate le censure proposte, avverso la ricostruzione del primo giudice, dall’appellante COGNOME, osservando che:
-nessuna prova dell’allegato consolidamento della nuda proprietà con il possesso materiale dei beni di cui è causa, asseritamente avvenuto alla morte di COGNOME NOME, sarebbe stata conseguita (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata);
-nessuna valenza probatoria poteva essere attribuita, in tal senso, alla annotazione a mano contenuta nella copia della nota di trascrizione dell’atto di vitalizio del 1978, ‘… trattandosi di aggiunta di cui non è certa la provenienza né l’epoca’ , né alla deposizione della teste COGNOME NOME, peraltro odierna ricorrente, figlia della convenuta e già ritenuta scarsamente attendibile dal Tribunale (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata);
-la sentenza del Tribunale di Nola n. 2124/2004 non aveva affermato l’esistenza del possesso pacifico e indisturbato dei comodi in capo alla COGNOME, ma, al contrario, ne aveva evidenziato lo stato di quasi totale abbandono e la loro completa inutilizzabilità (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata);
-la sentenza della Corte di Appello di Napoli n. 1606/2011, confermativa della decisione n. 2124/2004 del Tribunale nolano, non aveva a sua volta dichiarato l’esistenza della proprietà dei cespiti oggetto di causa in capo alla COGNOME, ma aveva soltanto riconosciuto alla stessa la legittimazione attiva a proporre domanda di risarcimento del danno, la quale non presupponeva necessariamente l’esistenza, in capo all’attrice, della proprietà dei beni de quo (cfr. ancora pag. 7 della sentenza impugnata).
La Corte distrettuale prosegue poi affermando che con la sentenza n. 1606/2011, appena richiamata, il giudice di seconda istanza aveva esaminato i titoli prodotti dalla COGNOME a sostegno della propria tesi difensiva, osservando che ‘… la COGNOME non ha chiarito perché mai nel rogito NOME del 19.4.53 si facesse generico riferimento agli accessori di pertinenza, senza menzionare specificamente il forno e la cisterna, e in ogni caso come la comproprietà di detti comodi potesse sopravvivere agli atti di cessione indicati dalla controparte. L’insufficienza, ai fini della dimostrazione della titolarità dal lato attivo del rapporto giuridico, dell’atto per AVV_NOTAIO del 24.10.1978 rende ultroneo attardarsi nello stabilire se il diritto alla cisterna, forno e lavatoio in esso menzionato indichi comproprietà, diritto di servitù o di uso’ ; ed aveva anche escluso la configurabilità dell’usucapione abbreviata ex art. 1159 c.c., per difetto della dimostrazione dell’utilizzazione effettiva dei comodi per il periodo richiesto dalla
norma, trattandosi di bene indiviso (cfr. pagg. 7 e 8 della sentenza impugnata).
Ed infine, la Corte di Appello afferma che l’eccezione di giudicato, sollevata dalla COGNOME in relazione alla statuizione della predetta sentenza n. 1606/2011, era fondata, non soltanto in relazione alla domanda riconvenzionale ivi spiegata dagli COGNOME, che era stata rigettata, ma anche in relazione alla domanda di accertamento del diritto di comproprietà, che era stata invece proposta proprio dalla COGNOME, anche in quel giudizio, ed era stata essa pure rigettata (cfr. pag. 8 della sentenza impugnata). A tale osservazione il giudice di merito ha aggiunto che l’assenza del diritto di comproprietà in capo alla COGNOME era confermata anche dalla sentenza n. 1722/2007 del Tribunale di Nola, che aveva dichiarato inammissibile l’intervento spiegato, in quel giudizio, dalla COGNOME, nonché dalle sentenze penali richiamate da parte appellante (cfr. pag. 8 della sentenza impugnata).
In tal modo, il giudice di merito ha esaminato tutti i profili oggi contestati dalla parte odierna ricorrente, ritenendo, all’esito di una valutazione complessiva, motivata, coerente e non implausibile, del compendio istruttorio, non conseguita né la prova della proprietà, o comproprietà, del cespite allegata dalla COGNOME, né la dimostrazione del possesso esclusivo dei comodi di cui è causa, pure dedotto, ma mai adeguatamente dimostrato, dalla dante causa dell’odierna ricorrente. Trattasi di valutazione di fatto, non utilmente censurabile in sede di legittimità, in quanto -come già detto- sostenuta da motivazione adeguata, idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dar conto del processo logico-argomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire, sulla base di una ponderazione globale e articolata delle risultanze istruttorie, alla statuizione confermativa del rigetto delle
domande che erano state proposte in prime cure dalla dante causa dell’odierna ricorrente.
In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P .R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
PQM
la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore di quella controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 2.300, di cui € 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali in ragione del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda