Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 27232 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 27232 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 11/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17023/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOME e COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO , nello studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentati e difesi dagli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME e COGNOME
– ricorrenti –
contro
DI VIRGILIO NOME e CIPOLLA NOME
– intimati – avverso la sentenza n. 65/2019 della CORTE D’APPELLO di L’AQUIL A, depositata il 15/01/2019;
udita la relazione della causa svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 25.1.2008 COGNOME NOME e COGNOME NOME evocavano in giudizio COGNOME NOME e COGNOME NOME innanzi il Tribunale di Vasto, chiedendo accertarsi la loro esclusiva proprietà di un pianerottolo posto al primo piano dello stabile ove era sito l’appartamento degli attori, la condanna della COGNOME a ripristinare la situazione antecedente alle opere da lei realizzate, che si assumevano pericolose per la stabilità del solaio e del fabbricato, ed invocando altresì la condanna dell’altra convenuta COGNOME, dante causa degli attori, per l’eventuale evizione.
Si costituivano entrambe le convenute, resistendo alle domande spiegate nei loro riguardi.
Con sentenza n. 576/2012 il Tribunale rigettava la domanda. Con la sentenza impugnata, n. 65/2019, la Corte di Appello di L’Aquila rigettava il gravame interposto dagli originari attori avverso la decisione di prime cure, confermandola. La Corte distrettuale evidenziava che il Tribunale aveva pronunciato su tutta la domanda proposta dagli attori, rigettando sia quella di accertamento della proprietà esclusiva del pianerottolo oggetto di causa, che quella, correlata alla prima, di risarcimento in forma specifica ex art. 2058 c.c. Confermava poi la qualificazione della domanda sub specie di rivendicazione, avendo gli attori lamentato l’occupazione sine titulo del pianerottolo da parte della RAGIONE_SOCIALE COGNOME, ma riteneva non conseguita la prova della proprietà di detto spazio in capo agli odierni ricorrenti. Confermava, inoltre, il rigetto della domanda risarcitoria, non essendo emersi, all’esito della C.T.U., i prof ili di danno alla statica dell’edificio che erano stati lamentati da parte attrice. Infine, il giudice del gravame confermava anche il
rigetto della domanda di evizione, spiegata nei riguardi della loro dante causa COGNOME, poiché non riteneva conseguita la prova della proprietà del vano in discussione in capo alla medesima, né quindi trasferita la relativa proprietà in uno alla restante porzione immobiliare ceduta agli odierni ricorrenti, non essendo a tal fine sufficiente la dichiarazione, resa dalla predetta COGNOME in sede di interrogatorio, che il pianerottolo era di sua proprietà.
Propongono ricorso per la cassazione di detta decisione COGNOME NOME e COGNOME NOME, affidandosi a nove motivi.
Le parti intimate non hanno svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.
In prossimità dell’adunanza camerale, la parte ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, i ricorrenti denunziano la violazione o falsa applicazione dell’art. 2058 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto la domanda risarcitoria assorbita dal rigetto di quella di rivendicazione, senza rilevare che la stessa era stata proposta in via autonoma.
La censura è infondata.
La Corte di Appello non ha ritenuto la domanda risarcitoria assorbita in quella di rivendicazione, ma ha evidenziato -correttamente -che il presupposto della prima era l’accoglimento della seconda, non essendo evidentemente possibile instare per il risarcimento del danno da occupazione sine titulo di un immobile non ricompreso nella proprietà dell’attore. Di conseguenza, la Corte distrettuale ha ravvisato il rigetto della domanda risarcitoria, non
essendo stato dimostrato il suo presupposto, rappresentato dall’appartenenza del pianerottolo agli odierni ricorrenti. Il motivo, con cui si rileva che la domanda risarcitoria era stata proposta in via autonoma, e non subordinata, rispetto a quella di rivendicazione, non si confronta con il percorso logico seguito dal giudice di merito, che dal canto suo appare pienamente condivisibile.
Con il secondo motivo, i ricorrenti denunziano l’omesso esame di fatti decisivi, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., perché la Corte di Appello non avrebbe tenuto conto che il vano conteso era stato riportato nella denuncia di variazione catastale depositata dalla COGNOME prima della compravendita del suo appartamento agli odierni ricorrenti.
La censura è inammissibile, non essendo consentita la deduzione del vizio di omesso esame in presenza di una ipotesi di cd. doppia conforme. Inoltre, va rilevato che l’omesso esame denunziabile in sede di legittimità deve riguardare un fatto storico considerato nella sua oggettiva esistenza ‘… dovendosi intendere per “fatto” non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché controverso e decisivo’ (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 17761 del 08/09/2016, Rv. 641174; cfr. anche Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 2805 del 05/02/2011, Rv. 616733). Non sono quindi ‘fatti’ nel senso indicato dall’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., né le singole questioni decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso,
comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative, ed infine neppure le singole risultanze istruttorie, ove comunque risulti un complessivo e convincente apprezzamento del fatto svolto dal giudice di merito sulla base delle prove acquisite nel corso del relativo giudizio.
Con il terzo motivo, i ricorrenti si dolgono della violazione dell’art. 817 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe dovuto ravvisare l’esistenza di un rapporto di pertinenzialità del pianerottolo rispetto all’ immobile di loro proprietà.
La censura è inammissibile.
La questione della natura pertinenziale del pianerottolo non risulta affrontata dal giudice di seconde cure, né i ricorrenti precisano, nel motivo in esame, in quale momento del giudizio di merito, e con quale strumento processuale, essa sarebbe stata introdotta. Trattasi dunque di argomento nuovo, la cui deduzione per la prima volta in sede di legittimità è inammissibile. In ogni caso, va rilevato che l’accertamento dell’esistenza, o meno, di un rapporto di pertinenzialità è di per sé frutto di una valutazione di merito, che in quanto tale non è utilmente censurabile in Cassazione, se non sotto i limitati profili ammessi dall’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., che in questa sede sono tuttavia preclusi, in ragione della già rilevata esistenza di una cd. doppia conforme.
Con il quarto motivo, i ricorrenti contestano la violazione degli artt. 45, 47 e 52 del D.P.R. n. 1142 del 1949, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto il pianerottolo escluso dalla consistenza loro
trasferita dalla COGNOME, senza considerare che il vano in questione non poteva essere censito, in base ai criteri previsti dalle norme sopra richiamate.
Anche questo argomento, come il precedente, risulta nuovo, in quanto non affrontato dalla sentenza impugnata. I ricorrenti non indicano come e quando esso sarebbe stato proposto in sede di merito, onde la sua deduzione in sede di legittimità va ritenuta preclusa. In ogni caso, occorre anche evidenziare che la Corte di Appello ha proceduto a ricostruire i vari passaggi di proprietà che avevano interessato le porzioni del fabbricato di proprietà, rispettivamente, della COGNOME e dei ricorrenti, da un lato, e della RAGIONE_SOCIALE, dall’altro lato, rilevando che in nessuno di essi si faceva menzione del pianerottolo in questione e ritenendo quindi non conseguita la prova della proprietà (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata). Poiché nella specie la prova doveva essere declinata secondo il rigore di cui all’art. 948 c.c., essendo stata qualificata la domanda degli odierni ricorrenti come di rivendicazione, a fronte della contestata occupazione sine titulo del pianerottolo realizzata dalla RAGIONE_SOCIALE, l’eventuale ins erzione del vano in questione nell’uno o nell’altro dei titoli di provenienza non sarebbe comunque stata sufficiente ai fini della dimostrazione della sua proprietà; di conseguenza, anche sotto questo profilo, la censura è inammissibile per difetto di interesse concreto e di decisività.
Con il quinto motivo, i ricorrenti lamentano l’omesso esame di fatti decisivi, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe trascurato di considerare la difformità tra gli accertamenti e i rilievi eseguiti dal C.T.U. nel corso del giudizio di merito e quanto risultante da precedenti consulenze
tecniche redatte in occasione di altri procedimenti giudiziari intercorsi tra le parti.
La censura è inammissibile, in presenza di una ipotesi di cd. doppia conforme. Inoltre, anche in questo caso non si discute dell’omesso esame di un fatto, ma della scorretta valutazione delle prove, onde valgono le considerazioni già esposte in occasione dello scrutinio del secondo motivo di doglianza.
Con il sesto motivo, i ricorrenti denunziano la violazione degli artt. 818, 1362 e 2733 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte distrettuale non avrebbe considerato che la dichiarazione resa dalla COGNOME in sede di interrogatorio, secondo cui il pianerottolo le sarebbe appartenuto, valeva a dimostrare quale fosse stata la reale intenzione delle parti, in sede di stipulazione della compravendita tra la stessa e gli odierni ricorrenti.
La censura è infondata.
La Corte di Appello ha esaminato la dichiarazione resa dalla COGNOME in sede di interpello, ritenendola insufficiente ai fini della prova della proprietà del vano in questione. Secondo gli odierni ricorrenti, invece, a detta dichiarazione avrebbe dovuto essere attribuita valenza confessoria dell’effettiva volontà delle parti. Peraltro, dalla dichiarazione della COGNOME, testualmente riportata a pag. 28 del ricorso, si evince che la stessa ha negato di aver fornito assicurazioni agli odierni ricorrenti circa la proprietà del pianerottolo, evidenziando soltanto che lo stesso faceva parte dell’immobile compravenduto. Sotto questo profilo, deve essere evidenziato che la materiale inserzione di una porzione nell’ambito di una maggior consistenza immobiliare non costituisce prova della
proprietà della stessa, né dimostra l’intenzione del venditore di trasferirne la proprietà, unitamente alla restante parte dell’immobile. Ai fini della prova dell’estensione della consistenza immobiliare oggetto di una cessione, infatti, va dato rilievo esclusivamente alla descrizione dello stesso, e dunque all’indicazione dei suoi confini, e, in via sussidiaria, ai dati catastali indicati nell’atto (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5635 del 18/04/2002, Rv. 553838; conf, Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8810 del 30/05/2003, Rv. 563818; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9857 del 24/04/2007, Rv. 596356).
La Corte di merito, peraltro, ha anche rilevato che l’inserzione materiale del pianerottolo nell’immobile trasferito agli odierni attori era stata causata dal fatto che la COGNOME, dopo aver acquistato le due unità oggi oggetto di causa, rispettivamente nel 1954 e nel 1956, le aveva poi unite, inglobando anche il pianerottolo, sul quale tuttavia ella non aveva alcun diritto.
La censura non si confronta con tale argomentazione, ma propone la tesi secondo cui il giudice di merito avrebbe dovuto riconoscere valenza confessoria, sic et simpliciter , alle dichiarazioni rese dalla COGNOME in sede di interrogatorio. La valenza confessoria, tuttavia, è circoscritta alle dichiarazioni che la parte faccia in relazione a fatti obiettivi, ma non si estende all’esistenza del titolo sotteso al rapporto giuridico in contestazione (cfr. Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 656 del 08/01/2024, Rv. 669801; conf. Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 5725 del 27/02/2019, Rv. 652838). La circostanza, quindi, che la COGNOME fosse convinta che il pianerottolo fosse di sua proprietà non dimostra che essa lo abbia trasferito effettivamente agli odierni ricorrenti, occorrendo a tal fine una
prova, emergente dall’atto di compravendita, che la Corte distrettuale ha escluso, all’esito di una operazione interpretativa non utilmente censurabile in questa sede. Sul punto, va evidenziato infatti che l’interpretazione del contratto accolta nella sentenza impugnata ‘… non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 28319 del 28/11/2017, Rv. 646649; conf. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 16987 del 27/06/2018, Rv. 649677; in precedenza, nello stesso senso, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 24539 del 20/11/2009, Rv. 610944 e Cass. Sez. L, Sentenza n. 25728 del 15/11/2013, Rv. 628585).
Con il settimo motivo, i ricorrenti contestano la violazione degli artt. 818, 1476, 1483, 1484 c.c. e 183 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente escluso che la dichiarazione della COGNOME in sede di interpello potesse valere come rico noscimento dell’effettiva consistenza della porzione immobiliare trasferita dalla stessa alla COGNOME ed al COGNOME .
La censura è infondata, per le medesime ragioni esposte in relazione allo scrutinio del precedente motivo. Anche in questo caso, infatti, si contesta l’interpretazione del contratto fornita dal giudice di merito, che di per sé non appare implausibile, né è stata condotta sulla base di una falsa applicazione dei criteri previsti dal codice civile per l’ermeneusi contrattuale, avendo la Corte
territoriale fatto riferimento al contenuto del negozio in discussione.
Con l’o ttavo motivo , viene invece lamentano l’ omesso esame di fatti decisivi, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., perché la Corte distrettuale non avrebbe tenuto conto dei danni architettonici ed estetici arrecati al fabbricato per effetto dei lavori eseguiti dalla RAGIONE_SOCIALE.
La censura è inammissibile, sussistendo nel caso specifico una ipotesi di cd. doppia conforme e dovendosi richiamare dunque quanto già esposto in relazione al secondo e quinto motivo del ricorso.
Con il nono ed ultimo motivo, infine, i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 92 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello li avrebbe erroneamente condannati alle spese di lite, nonostante il C.T.U. avesse dato atto che nel corso delle operazioni peritali era stato raggiunto un accordo di massima, poi non formalizzato per effetto della mancata adesione della COGNOME allo stesso.
La censura è infondata.
In assenza di formalizzazione di un accordo conciliativo, che nella fattispecie la stessa parte ricorrente esclude, le spese di lite sono state correttamente governate dal giudice di merito alla luce dell’esito complessivo dell’impugnazione, e dunque, esse ndo stata rigettata la stessa, con condanna degli odierni ricorrenti alle spese del solo grado di appello.
In conclusione, il ricorso dev ‘ essere rigettato.
Nulla per le spese di lite, in assenza di svolgimento di attività difensiva da parte intimata nel presente giudizio di legittimità.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso.
Dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile in data 01 ottobre 2025
Il Presidente NOME COGNOME