Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12386 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 12386 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30968/2020 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE; -ricorrente- contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE;
-controricorrente-
nonchè
contro
NOMECOGNOME elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO
VATICANO 46, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 3125/2020, depositata il 14/09/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/10/2024
dal Consigliere NOME COGNOME
PREMESSO CHE
Con ricorso ex artt. 1168 c.c. e 703 c.p.c. la società RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Torre Annunziata NOME COGNOME, lamentando che su un terreno di proprietà di NOME ed NOME COGNOME la convenuta aveva piantato una siepe, apponendovi al centro una statua della Beata Vergine, così ostacolando l’esercizio della servitù di passaggio in favore di due fondi di sua proprietà; chiedeva quindi di ordinare il ripristino dei luoghi e la reintegrazione nel possesso della servitù, con condanna generica al risarcimento dei danni. All’esito della fase sommaria il Tribunale ordinava a COGNOME di reintegrare la ricorrente nel possesso del viale mediante il ripristino dello stato dei luoghi. Rispoli ha proposto reclamo, il reclamo è stato accolto e il ricorso possessorio è stato rigettato. Nel corso del giudizio di merito interveniva NOME COGNOME, madre di COGNOME, che dichiarava di essere stata lei a ordinare di collocare le piante e la statua. Con sentenza n. 2153/2016, il Tribunale di Torre Annunziata accoglieva la domanda di reintegrazione e rigettava la domanda risarcitoria.
La sentenza è stata impugnata in via principale da COGNOME, in via incidentale sia da La Selva che da Elefante. La Corte d’appello di Napoli, con la sentenza 14 settembre 2020, n. 3125, ha accolto il gravame principale e, in integrale riforma della sentenza di primo
grado, ha rigettato la domanda della società RAGIONE_SOCIALE; ha poi dichiarato assorbito il gravame incidentale di quest’ultima e inammissibile il gravame incidentale di RAGIONE_SOCIALE. Ad avviso della Corte non era stato provato il preteso passaggio lungo il viale da parte della società ricorrente e neppure è stata dimostrato che la condotta di spoglio fosse attribuibile a Rispoli.
Avverso la sentenza la società RAGIONE_SOCIALE ricorre per cassazione.
Resistono con distinti atti di controricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Il Consigliere delegato dal Presidente della sezione seconda ha ritenuto il ricorso inammissibile e/o manifestamente infondato e ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis , comma 1 c.p.c.
La ricorrente ha chiesto, ai sensi del comma 2 dell’art. 380 -bis c.p.c., la decisione del ricorso da parte del Collegio.
Memoria è stata depositata dalla ricorrente in prossimità dell’adunanza in camera di consiglio.
CONSIDERATO CHE
La Corte preliminarmente rileva l’assenza di incompatibilità del Consigliere COGNOME che ha formulato la proposta di definizione anticipata. Le sezioni unite di questa Corte hanno infatti precisato che il consigliere delegato che ha formulato la proposta di definizione di cui all’art. 380 -bis c.p.c. può fare parte, ed eventualmente essere nominato relatore, del collegio investito della decisione del giudizio, non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51 e 52 c.p.c., dato che tale proposta non ha una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva; la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente non si configura d’altro canto quale fase distinta che abbia carattere di autonomia, con
contenuti e finalità di riesame e di controllo della proposta stessa (così Cass., sez. un., n. 9611/2024).
II. Il ricorso è basato su tre motivi:
1) il primo motivo contesta l’operato della Corte di merito per avere, in violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1168 e 1170 c.c., accertato, qualificato e riconosciuto la riconducibilità dell’azione proposta dalla ricorrente alla fattispecie di cui all’art. 1168 c.c. e, ciò nonostante, applicato il paradigma dell’azione di manutenzione di cui all’art. 1170 c.c. al fine di sostenere la mancata prova del possesso oggetto del lamentato spoglio;
2) il secondo motivo censura, richiamando gli artt. 111, comma 6 Cost. e 132, comma 2, n. 4 c.p.c., l’operato della Corte d’appello per avere apprestato una motivazione irriducibilmente contraddittoria e illogica in punto di legittimazione passiva di Rispoli, in particolar modo laddove – pur dando atto e accertando che la medesima aveva sporto querela in merito ai fatti del 27 luglio 2005, si era nel presente giudizio ampiamente difesa nel merito negando il possesso della ricorrente, abitava in loco, ivi aveva la residenza, era la figlia convivente della proprietaria, aveva la disponibilità degli immobili, ivi esercitava la propria attività agrituristica – contraddittoriamente ne equiparava la condotta e la posizione assunta rispetto allo spoglio a quella di ‘generica manifestazione di approvazione’, descrivendo l’intervento come finalizzato solo ad ‘assistere all’evoluzione dei fatti in virtù di un rapporto di amicizia con i soggetti effettivamente coinvolti nella vicenda’, esistenza di un vero rapporto di amicizia contestualmente da essa Corte esclusa; identica irriducibile contraddittorietà sussiste anche tra altri tronconi motivazionali con i quali è stata negata la dimostrazione di un possesso meritevole di tutela;
3) il terzo motivo lamenta violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., 2733 e 2735 c.c., per avere la Corte d’appello omesso di valutare le risultanze probatorie documentali acquisite al processo, sulle
quali si era concessa in primo grado la invocata tutela possessoria e di cui era stata esplicitamente dedotta la decisività in sede di appello, per avere inoltre omesso di valutare ovvero attribuito un valore istruttorio diverso da quello previsto dalla legge alle ammissioni contenute negli scritti difensivi di controparte e alle confessioni rese da COGNOME in sede giudiziale e stragiudiziale.
Le esposte censure, esaminabili in un contesto unitario perché connesse tra loro, non sono meritevoli di accoglimento.
Va ricordato che, essendo l’azione di reintegra diretta a tutelare il possesso inteso come relazione di fatto con la cosa, corrispondente all’esercizio di un diritto reale, è sempre necessaria, agli effetti della tutela possessoria, la dimostrazione dell’esercizio di fatto del possesso (cfr., ex multis , Cass. n. 1274/1999 e Cass. n. 3906/2000). L’impugnata decisione, pur nella sovrabbondanza e talvolta nella imprecisione degli argomenti addotti a suo sostegno, si basa appunto, essenzialmente, sulla constatazione del mancato assolvimento, da parte della ricorrente, dell’onere, su di essa incombente, di provare che al momento del preteso spoglio esercitava un potere di fatto, corrispondente all’esercizio della servitù di passaggio, sulla striscia di terreno occupata dalle piante e dalla statua (v. le pagg. 5 e 6 della sentenza impugnata). A tal fine la Corte ha escluso che la prova in parola possa trarsi dalle deposizioni dei testi e dalle informazioni raccolte nella fase interdittale, non dimostrando le prime la sussistenza del ‘durevole e pacifico utilizzo del passaggio in epoca prossima a quella dello spoglio’ necessario ai fini della tutela di cui all’art. 1168 c.c. (cfr. Cass. n. 2367/2012 e Cass. n. 24026/2004) ed essendo le seconde del tutto generiche. È vero che il riferimento della Corte al ‘solo’ anno 2005 potrebbe fare sorgere il dubbio che essa erroneamente affermi la necessità che il possesso abbia durata ultrannuale (v. al riguardo Cass. n. 15971/2011, secondo cui non è necessario in tema di azione di spoglio che il possesso abbia durata ultrannuale,
dovendo ‘considerarsi che la disposizione dell’ art. 1066 c.c., secondo cui nelle questioni di possesso delle servitù si ha riguardo alla pratica dell’anno precedente, indica solo i criteri che debbono essere seguiti per risolvere nelle cause possessorie le controversie relative alla misura ed alle modalità della servitù, ma non subordina la tutela possessoria alla durata ultrannuale del potere di fatto corrispondente alla servitù’). Si tratta, però, unicamente di imprecisione del linguaggio che non incide sulla ratio decidendi , imperniata, come si è detto, sull’accertamento in fatto, insuscettibile di un sindacato di legittimità, della mancata prova di un possesso tutelabile della servitù di passaggio in capo alla pretesa spogliata.
L’accertamento della mancanza di un possesso tutelabile della servitù di passaggio in capo alla pretesa spogliata è profilo decisivo e assorbente ai fini del rigetto della domanda di reintegrazione, che rende superfluo l’esame delle ulteriori doglianze avanzate col ricorso, aventi ad oggetto l’affermazione della Corte secondo cui manca la prova che l’autore materiale o morale della condotta di preteso spoglio sia NOME COGNOME
III. Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 380 -bis , ultimo comma, c.p.c., avendo il Collegio definito il giudizio in conformità alla proposta, trovano applicazione il terzo e il quarto comma dell’art. 96 c.p.c. (v. al riguardo la pronuncia delle sezioni unite n. 28540/2023, secondo cui, in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380bis , comma 3, c.p.c., come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022, nel prevedere nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 c.p.c., ‘codifica un’ipotesi normativa di abuso del
processo, poiché il non attenersi a una valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente’).
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, si d à atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore delle controricorrenti, che liquida per ciascuna in euro 1.100,00, di cui euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge, nonché al pagamento sempre in favore delle controricorrenti di euro 1.000,00 per ciascuna ai sensi del comma 3 dell’art. 96 c.p.c. e al pagamento di euro 500,00 in favore della cassa delle ammende ai sensi del comma 4 dell’art. 96 c.p.c.
Sussistono, ex art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione