Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 33937 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 33937 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22196/2023 R.G. proposto da: COGNOME NOMECOGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME rappresentati e difesi da ll’avvocato COGNOME
– ricorrenti –
contro
FONDAZIONE ENTE MORALE OPERA COGNOME IMMACOLATA CONCEZIONE E SS. NOME DI GESÙ rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 2243/2023 depositata il 23/05/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Santa Maria C.V., Sezione Specializzata Agraria, accoglieva la domanda proposta dalla Fondazione ‘Ente Morale Opera Pia Immacolata Concezione e SS. Nome di Gesù’ ONLUS (d’ora in poi, ‘RAGIONE_SOCIALE‘), nei confronti di COGNOME NOME COGNOME e di COGNOME NOME e COGNOME NOME Interventori volontari, volta ad ottenere la condanna al rilascio dell’appezzamento di terreno in Capodrise (CE), INDIRIZZO ai are 24 e centiare 48, riportato in N.C.T. al foglio 4, particella 253, perché detenuto senza titolo rigettava invece la domanda di risarcimento dei danni per occupazione illegittima.
COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME e COGNOME NOME proponevano appello avverso la suddetta sentenza.
La Fondazione ‘Ente Morale Opera Pia Immacolata Concezione e SS. Nome di Gesù’ Onlus resisteva al gravame.
La Corte d’Appello di Napoli r igettava l’impugnazione.
La Corte territoriale riteneva che il Tribunale di Santa Maria C.V. avesse correttamente valutato le risultanze dell’espletata prova testimoniale, nonché l’indagine tecnica esperita dal nominato CTU.
I l consulente d’ufficio aveva accertato che il terreno oggetto di causa era in origine pertinenza di un edificio di proprietà di NOME COGNOME, il quale con testamento del 1935 ne aveva destinato l’usufrutto al proprio nipote NOME COGNOME e la nuda proprietà all’Ente Morale di Beneficenza di Capodrise ‘Opera Pia Immacolata Concezione SS Nome di Gesù ‘ , il quale con atto per Notar COGNOME in data 21/6/2011, Repertorio n. 196.056 veniva trasformato in Fondazione e, con successivo atto per Notar Di COGNOME in data
10/1/2012, Repertorio n. 197.131, acquisiva la denominazione ‘Fondazione Opera Pia Immacolata Concezione e SS Nome di Gesù’. L’ausiliare aveva quindi evidenziato che da circa venti anni il descritto edificio veniva, a seguito di procedura di espropriazione per pubblica utilità, acquisito al patrimonio del Comune di Capodrise -risultando attualmente destinato a ‘Palazzo delle Arti’ ed, in particolare, a pinacoteca permanente -con la precisazione che dalla procedura espropriativa rimaneva escluso il giardino oggetto del contendere.
A ll’appezzamento di terreno in questione si accede va non direttamente dalla pubblica via ma attraverso un cancello posto nel cortile della Casa Comunale, nel quale si entrava da un portone che affacciava sulla strada pubblica Ebbene, rispetto alla descritta situazione di fatto, era certamente condivisibile quanto rilevato nella impugnata pronuncia, secondo cui l’insussistenza della prova dell’accesso esclusivo dei COGNOME al giardino si desume va dalla testimonianza resa da NOME COGNOME il quale riferiva che al giardino medesimo non si accedeva ‘dalla strada pubblica ma dalla casa comunale, che è oggi il INDIRIZZO Arti’, del quale i predetti signori COGNOME avevano le chiavi di accesso. In particolare, come correttamente ritenuto dal Tribunale, non era verosimile l’assunto dei COGNOME secondo cui essi avrebbero l’accesso esclusivo al giardino, avuto riguardo al fatto della necessità di passare attraverso un edificio pubblico, quale il INDIRIZZO Arti di proprietà comunale.
Era significativo che soltanto con l’atto di appello, ossia dopo l’espletamento della CTU e della prova testimoniale, che avevano come detto evidenziato la descritta situazione di fatto concernente
l’accesso al giardino, i signori COGNOME avevano modificato la propria linea difensiva, assumendo che le chiavi in loro possesso ‘ erano sia quelle possedute in via esclusiva del cancello in ferro, sia quelle ricevute dal Comune per l’accesso al cortile e non certamente agli uffici o locali interni’, il che costituirebbe ‘ulteriore prova del pacifico, continuativo, pubblico ed ininterrotto esclusivo possesso del fondo’ .
Si trattava di deduzioni di fatto del tutto nuove rispetto a quanto prospettato dagli appellanti nel giudizio di primo grado. Infatti, dinanzi al Tribunale di Santa Maria C.V. i COGNOME avevano allegato, puramente e semplicemente, di possedere uti dominus un giardino recintato e di avere l’esclusiva disponibilità delle chiavi del cancello d’ingresso, senza aggiungere che si accedeva a tale cancello attraversando la proprietà comunale e che il personale del comune ebbe a consegnare loro tali chiavi. Oltretutto, era certamente da escludere che gli appellanti avevano la disponibilità in via esclusiva delle chiavi della porta di accesso al cortile comunale del INDIRIZZO, il che confermava quanto fosse inverosimile, come sottolineato dal giudice di prime cure, il presunto accesso esclusivo al giardino passando attraverso un edificio pubblico quale il INDIRIZZO.
Ne conseguiva, come correttamente osservato nella impugnata sentenza, l’irrilevanza dell’assunto secondo cui i danti causa dei COGNOME avrebbero avuto un altro esclusivo accesso al fondo dall’adiacente propria abitazione a mezzo di una porta che immetteva ad altro fondo confinante con quello oggetto di causa nel quale potevano entrare attraverso un varco munito di un cancello in ferro, successivamente chiuso con rete metallica.
Invero, come dedotto dagli appellanti, tale ultima porta veniva definitivamente chiusa nell’anno 1985, ossia circa trenta anni prima dell’instaurazione del presente giudizio. Peraltro, che effettivamente vi fosse la suindicata ulteriore porta di accesso al fondo era tutt’altro che certo, tenuto conto che il teste COGNOME forniva sul punto una descrizione dei fatti divergente rispetto a quanto dedotto dai COGNOME. Infatti, mentre nel capitolo di prova articolato nella memoria di costituzione veniva fatto riferimento ad un varco munito di cancello che poneva in comunicazione il giardino con un fondo di terzi (al quale i predetti accedevano da una loro proprietà), il teste COGNOME invece dichiarava che ‘la casa di COGNOME aveva una porta con cui si accedeva al giardino che poi fu recintato con la rete’.
Né i COGNOME avevano contestato le allegazioni svolte dalla Opera Pia nel ricorso introduttivo del giudizio relative alla circostanza che in passato il parroco NOME COGNOME all’epoca Presidente della Fondazione, aveva concesso al padre dei COGNOME la mera facoltà di raccogliere la frutta prodotta dagli alberi del giardino e che, dopo il decesso del genitore, COGNOME NOME aveva continuato ad accedere nel fondo con la tolleranza di essa ricorrente e con spirito di generosità.
Quanto allo specifico contenuto delle raccolte deposizioni testimoniali, il Collegio rilevava che non poteva desumersi il ‘possesso’ del fondo da parte dei COGNOME, posto che la nozione di possesso non evoca una circostanza di fatto, essendo invece la manifestazione di un giudizio e potendo formare oggetto di prova testimoniale soltanto l’attività attraverso la quale il potere si manifesta, ma non anche il risultato del suo esercizio nel quale il
possesso si identifica, che implica profili di apprezzamento o di giudizio non demandabili ai testi (cfr. Cass. 24/10/2014, n. 22720; Cass. 9/5/1996, n. 4370).
Inoltre, la riferita coltivazione del terreno, con la messa a dimora di piante e la raccolta dei frutti, non era idonea a provare l’esercizio di un possesso utile alla prospettata usucapione, risolvendosi in un’attività che non necessariamente implica in chi la eserciti la qualità di proprietario del terreno.
Né elementi presuntivi potevano ricavarsi dalla circostanza, riferita dai testi, della realizzazione da parte dei Borrelli di un pozzo artesiano e di un cordolo di cemento sul muro di cinta del terreno, tenuto conto della mancanza di ogni elemento diretto ad evidenziare le ragioni precise per cui i testimoni fossero a conoscenza di tali circostanze, peraltro prive di ogni supporto documentale quanto alle spese sostenute. Inoltre, come pure evidenziato dal giudice di prime cure, riguardo alle opere realizzate dai resistenti il consulente d’ufficio aveva accertato che ‘non risultava che la famiglia COGNOME avesse mai avanzato istanza/comunicazione inerente la realizzazione delle citate opere (pozzo artesiano, manufatti in mattoni e lamiere, nonché cordolo sul muro di recinzione): infatti, il pozzo non era censito, quindi era stato realizzato senza la preventiva autorizzazione dell’Ente territorialmente competente, e comunque non dichiarato.
Alla luce di tali considerazioni doveva escludersi la prova dell’affermato possesso ad usucapionem del giardino in questione, attraverso un’attività di fatto corrispondente in modo inequivoco all’esercizio del diritto di proprietà, tale da escludere il possesso altrui.
COGNOME NOME COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di un motivo di ricorso.
La Fondazione ‘Ente Morale Opera Pia Immacolata Concezione e SS. Nome di Gesù’, ora Onlus ha resistito con controricorso.
Il consigliere delegato ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti.
A seguito di tale comunicazione, il ricorrente a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, ha chiesto la decisione del ricorso.
9 . È stata fissata l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ.
Il ricorrente con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso.
Entrambe le parti con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha nno insistito nelle rispettive richieste.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e falsa applicazione degli articoli 112, 113, 115, 116 c.p.c., degli articoli 1141, 1144, 1158, 2697 e 2729 c.c. (articolo 360 c.p.c. n. 3 -4). Travisamento della prova. Travisamento del fatto. Illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio. Presunzione del possesso. Onere della prova sulla detenzione e sulla tolleranza .
La proposta di definizione del giudizio formulata ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c. è di inammissibilità del ricorso per le seguenti ragioni: E’ tale il ricorso per cassazione che come nel
caso di specie – sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Sez. U, n. 34476 del 27 dicembre 2019; Sez. 1, n. 5987 del 4 marzo 2021).
Invero, la valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, sicché rimane estranea al presente giudizio qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116, commi 1 e 2, c.p.c., in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito.
Per il resto, va ribadito che l’esame dei documenti esibiti e la valutazione degli stessi, come anche il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo
ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 1, n. 19011 del 31 luglio 2017; Sez. 1, n. 16056 del 2 agosto 2016).
In particolare, in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Sez. U., n. 20867 del 30 settembre 2020).
D’altra parte, con i motivi di ricorso per cassazione la parte non può limitarsi a riproporre le tesi difensive svolte nelle fasi di merito e motivatamente disattese dal giudice dell’appello, senza considerare le ragioni offerte da quest’ultimo, poiché in tal modo si determina una mera contrapposizione della propria valutazione al giudizio espresso dalla sentenza impugnata che si risolve, in sostanza, nella proposizione di un “non motivo”, come tale inammissibile ex art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c. (Sez. 1, n. 22478 del 24 settembre 2018).
Il ricorrente con la memoria depositata in prossimità dell’udienza insiste nella richiesta di accoglimento del ricorso e in aggiunta alle deduzioni di cui al ricorso, tenuto conto anche delle
conclusioni della proposta, sostiene che il travisamento della prova esclude che si verta in ipotesi di cosiddetta doppia conforme quanto all’accertamento dei fatti, preclusivo del ricorso per Cassazione ai sensi del novellato art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., essendo tale censura veicolabile ai se nsi dell’art. 360, comma 1, c.p.c., n. 4.
Nello specifico, non troverebbe applicazione la limitazione derivante dalla doppia conforme quando il vizio di motivazione si fonda sul travisamento di una prova, la cui risultanza utilizzata per la decisione è smentita da uno specifico atto processuale, perché in tal caso si sarebbe al di fuori dell’ambito della conforme valutazione dei fatti.
Infatti, il travisamento della prova implica, non una valutazione dei fatti, ma un accertamento che quella informazione probatoria, utilizzata in sentenza è contraddetta da uno specifico atto processuale (Cass. Civ. Sez. I 25/5/2015 n. 10749, Cass. Civ. Sez. 6 n. 28174/2018).
Nella specie sarebbe erroneo per travisamento l’assunto circa l’ accesso esclusivo al giardino passando attraverso un edificio pubblico quale il Palazzo Comunale. Tale circostanza, pacifica tra le parti, era stata già esaurientemente accertata dal C.T.U. in sede di accesso ai sopralluoghi ivi effettuati e confermata nella relazione peritale finale, oltre ad essere stata già confermata dai testi escussi e mai contesta. Sul punto è stato precisato che le chiavi in possesso dei COGNOME erano sia quelle possedute in via esclusiva del cancello in ferro per l’accesso nel giardino, sia quelle ricevute dal Comune per l’accesso al cortile e non certamente agli uffici o locali interni . La C.A., in modo assolutamente illogico e contraddittorio, avrebbe dimenticato inoltre che il C.T.U. nella sua relazione ha dato atto
della presenza del pozzo, del cordolo nonché di altre strutture murarie, tutte realizzate dai COGNOME. Tali opere, seppure presentino profili di contrarietà alla legge urbanistica, conservano la loro positiva valutabilità ai fini della dimostrazione di possesso valido all’usucapione (Cass. Civ. 23/1/2012 n. 871).
La Corte di Appello di Napoli, inoltre, avrebbe posto illegittimamente ed inspiegabilmente la prova della detenzione del fondo, come reclamata dall’attrice, a carico degli appellanti senza tener conto della presunzione di possesso ex art. 1141, comma 1, del codice civile. Per conseguenza, incombe alla parte che invece correla detto potere alla detenzione, provare il suo assunto, in mancanza dovendosi ritenere l’esistenza della prova del possesso ad usucapionem ( ex plurimis Cass. Civ., n.6084 del 4/3/2020).
Nella specie peraltro sarebbe stata data ampia prova del possesso ad usucapionem ovvero dell’usucapione del fondo già maturato a favore degli ascendenti dei resistenti da loro ereditata ed acquisita per possesso ultracentenario. Il Giudice di secondo grado sarebbe caduto in errori che hanno stravolto, travisandola, la ricognizione del contenuto oggettivo dei mezzi di prova esaminati, ovvero delle dichiarazioni della ricorrente e dei resistenti in primo grado, delle dichiarazioni dei testi e degli accertamenti del C.T.U., dei documenti prodotti e provvedimenti istruttori resi nel giudizio di primo grado.
Il contenuto della prova per testi, degli atti istruttori e degli accertamenti del C.T.U., se invece fosse stato recepito dal Giudice di secondo grado in modo fedele, senza gli errori denunciati, avrebbe condotto certamente ad una decisione favorevole agli odierni ricorrenti.
Il motivo di ricorso è in parte inammissibile in parte infondato.
4.1 La memoria del ricorrente non offre argomenti tali da consentire di modificare le conclusioni di cui alla proposta di definizione accelerata.
In primo luogo, è erronea la tesi secondo cui il travisamento della prova può essere fatto valere come violazione processuale. Le sezioni Unite di questa Corte di recente hanno chiarito che: il travisamento del contenuto oggettivo della prova – che ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio – trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, laddove ricorrano i presupposti richiesti dall’art. 395, n. 4, c.p.c., mentre – se il fatto probatorio ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare e, cioè, se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti – il vizio va fatto valere ai sensi dell’art. 360, n. 4, o n. 5, c.p.c., a seconda che si tratti di fatto processuale o sostanziale (Sez. U – , Sentenza n. 5792 del 05/03/2024, Rv. 670391 – 01).
Nella specie il fatto oggetto dell’asserito travisamento riguarda il possesso del terreno da parte dei ricorrenti e, dunque, dovendosi veicolare attraverso l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. incontra i limiti di ammissibilità di cui all’art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c..
Deve ribadirsi, infatti, che: In tema di sindacato di legittimità, l’errore percettivo del giudice di merito su un fatto storico, principale o secondario, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e che risulti idoneo ad orientare in senso diverso la
decisione, può essere fatto valere, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (e nei ristretti limiti di tale disposizione) qualora l’errore consista nell’omesso esame del predetto fatto (e non anche quando si traduca nella mera insufficienza o contraddittorietà della motivazione), sempre che non ricorra l’ipotesi della cd. “doppia conforme” ai sensi dell’art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c.. (Sez. 3 – , Sentenza n. 37382 del 21/12/2022, Rv. 666679 – 04).
Nel caso in esame, infatti, la sentenza impugnata nel rigettare l’appello è conforme a quella di primo grado , il che rende inammissibile la censura di travisamento della prova. Deve farsi applicazione del seguente principio di diritto: Nell’ipotesi di ‘doppia conforme’ prevista dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 5528/2014), adempimento non svolto. Va invero ripetuto che ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, le regole sulla pronuncia cd. doppia conforme si applicano ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del citato decreto (id est, ai giudizi di appello introdotti dal giorno 11 settembre 2012). Peraltro, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che ricorre l’ipotesi di «doppia conforme», ai sensi dell’art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è
interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logicoargomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 7724 del 09/03/2022, Rv. 664193 – 01).
Quanto alla censura di violazione delle norme indicate in rubrica risulta evidente che si fonda su un tentativo di rivalutazione delle prove assunte nel giudizio riguardo alla sussistenza del possesso in capo ai ricorrenti.
La Corte d’Appello peraltro non ha travisato la circostanza che al fondo potesse accedersi dal terreno comunale e non dall’edificio comunale e, infatti, ha precisato che a nulla rileva che si tratti non degli uffici pubblici comunali ma di un’area cortilizia, essendo dirimente la considerazione che comunque detta area sia del Comune di Capodrise.
Inoltre, ha precisato che gli appellanti non avevano la disponibilità in via esclusiva delle chiavi della porta di accesso al cortile comunale del INDIRIZZO, il che confermava quanto fosse inverosimile, come sottolineato dal giudice di prime cure, il presunto accesso esclusivo al giardino passando attraverso un edificio pubblico quale il INDIRIZZO.
I ricorrenti non hanno contestato le allegazioni svolte dalla Opera Pia nel ricorso introduttivo del giudizio relative alla circostanza che in passato il parroco NOME COGNOME all’epoca Presidente della Fondazione, concesse al padre dei COGNOME la mera facoltà di raccogliere la frutta prodotta dagli alberi del giardino e
che, dopo il decesso del genitore, COGNOME NOME aveva continuato ad accedere nel fondo con la tolleranza di essa ricorrente e con spirito di generosità.
La Corte d’Appello , in conformità con la giurisprudenza di questa Corte, ha precisato che la coltivazione del fondo, in mancanza di univoci indizi che tale attività sia svolta uti dominus , non è sufficiente a provare il possesso e ha ritenuto mancanti tali elementi presuntivi non potendoli ricavare dalla circostanza, riferita dai testi, della realizzazione da parte dei Borrelli di un pozzo artesiano e di un cordolo di cemento sul muro di cinta del terreno, tenuto conto della mancanza di ogni elemento diretto ad evidenziare le ragioni precise per cui i testimoni fossero a conoscenza di tali circostanze.
In sostanza i ricorrenti non hanno provato che la loro detenzione materiale del terreno fosse iniziata uti dominus né hanno provato atti di interversione della loro detenzione in possesso.
In conclusione, deve ribadirsi che la valutazione circa la sussistenza o meno dell’ animus possidendi e del corpus possessionis – prendendo le mosse dall’esame dei fatti e delle prove inerenti al processo – è rimessa all’esame del giudice del merito, le cui valutazioni, alle quali il ricorrente contrappone le proprie, non sono sindacabili in sede di legittimità, ciò comportando un nuovo esame del materiale delibato che non può avere ingresso nel giudizio di cassazione.
Il ricorso è rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
6.1 Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380-bis cod. proc. civ. -il terzo e il quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., con conseguente condanna della parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma – nei limiti di legge in favore della cassa delle ammende.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge; condanna altresì la parte ricorrente, ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c., al pagamento, in favore della controricorrente, della ulteriore somma determinata equitativamente in euro 3.000,00, nonché ex art. 96, quarto comma, c.p.c. al pagamento della somma di euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende;
dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda