Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 7224 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 7224 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso 15129-2022 proposto da:
NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE – RAGIONE_SOCIALE, soggetta all’attività di direzione e coordinamento di RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3868/2021 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 06/12/2021 R.G.N. 3268/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/01/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
Fatti di causa
La Corte d’appello di Roma, con la sentenza in atti, ha rigettato l’appello proposto da NOME e
Rep.
Ud. 30/01/2024
CC
confermato la sentenza del tribunale che aveva accolto il ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE volto ad ottenere la condanna dell’appellata alla restituzione della somma di euro 19.539,92 oltre accessori alla stessa corrisposta indebitamente a seguito della notifica e relativo precetto della sentenza del tribunale di Roma che aveva condannato RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore della NOME dell’importo di lire 29.504.799, sentenza successivamente riformata in appello.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME con due motivi ai quali ha resistito RAGIONE_SOCIALE con controricorso illustrato da memoria.
Il collegio ha riservato il deposito della motivazione all’esito della camera di consiglio.
Ragioni della decisione
1.Col primo motivo si deduce la violazione o falsa applicazione degli articoli 421, 167 e 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 cpc n. 3 per avere la Corte d’appello affermato che la lavoratrice non avesse contestato puntualmente quanto dedotto e prodotto dalla controparte in merito al pagamento della somma in contestazione, laddove all’opposto la lavoratrice aveva sempre contestato, in primo grado e in appello, di non aver ricevuto il pagamento in oggetto anche in seguito alla ammissione di un documento contabile ex art 421 c.p.c. da parte del giudice di primo grado.
2.Col secondo motivo si deduce violazione o falsa applicazione degli articoli 2697, 2729, 2727 c.c. in relazione all’articolo 360 n. 3 c.p.c. per avere la Corte d’appello attribuito valenza probatoria ai fini della dimostrazione del pagamento ad elementi privi di gravità, concordanza e precisione come: la fotografia di una schermata di un software prodotta in giudizio ed acquisita ex art 421 c.p.c.
all’udienza dell’11.04.17, la semplice esistenza di una sentenza di condanna favorevole alla NOME.
3.- Va premesso che secondo la Corte d’appello la prova dell’avvenuto pagamento della somma di cui si tratta doveva ritenersi raggiunta in via prioritaria in base al principio di non contestazione. Ciò in quanto la società appellata aveva dedotto con il ricorso introduttivo, in modo analitico e puntuale, di aver provveduto al pagamento in favore di NOME NOME della somma totale di lire 37.834.544, di cui lire 29.504 799 per sorte e lire 8.329.755 per interessi, producendo altresì l’atto di precetto notificato dalla medesima NOME, nonché una richiesta stragiudiziale di restituzione di tale importo, ricevuta dall’odierna appellante in data 10/07/2014.
Diversamente, a fronte di tale dettagliata deduzione ed allegazione, NOME non ha mosso una specifica contestazione, limitandosi ad affermare genericamente che il pagamento non era mai avvenuto e senza, tra l’altro, motivare il mancato riscontro alla richiesta stragiudiziale di restituzione della somma percepita in virtù della sentenza del tribunale di Roma n. 299064/2000.
Ha poi aggiunto la Corte d’appello che l’affermazione secondo cui la NOME, una volta notificato l’atto di precetto, non avrebbe ricevuto il pagamento di alcuna somma da parte di RAGIONE_SOCIALE e che, ciononostante, non avrebbe perseverato nel portare avanti la procedura esecutiva nei confronti di un debitore certamente solvibile, era generica e non supportata da elementi puntuali e/o circostanze di fatto che la contestualizzassero e la connotassero in termini di effettiva verosimiglianza.
Inoltre, ha rilevato ancora che, come correttamente ritenuto dal giudice di prime cure, la prova del pagamento poteva essere fornita anche per presunzioni (Cass. 23816/2010; Cass 12802/2006, Cass. 23142/2009); e che nel caso in
esame gli elementi sopraindicati e consistenti nell’emissione della statuizione di condanna favorevole in primo grado alla NOME, nell’attivazione della procedura esecutiva, nella diffida stragiudiziale di RAGIONE_SOCIALE ricevuta da l’appellante in data 10/07/2014 e rimasta senza riscontro, dovessero ritenersi, se vagliati unitariamente, idonei a integrare quei gravi precisi e concordanti indizi, nel senso dell’avvenuta solutio desumibile dai fatti noti come conseguenza ragionevolmente possibile secondo un crit erio di normalità.’ dell’avvenuto pagamento in fatto della sentenza, dall”esibizione contabile estratto dalla documentazione obbligatoria di RAGIONE_SOCIALE estratti lista partite
4. Ciò posto, deve essere preliminarmente rilevato che la sentenza impugnata nulla dice della prova documentale , costituita, come risulta dalla parte del documento telematica creditori’. Riguardo a questo documento la Corte di appello tace, limitandosi ad affermare, invece, in prima battuta, che la ricorrente non aveva contestato specificamente i fatti allegati da RAGIONE_SOCIALE.
5.- In materia di non contestazione deve essere allora ricordato, anzitutto, che secondo la giurisprudenza di questa Corte, una circostanza dedotta da una parte può ritenersi provata se essa sia stata esplicitamente ammessa dalla controparte o se questa, pur non contestandola in modo specifico, abbia improntato la difesa su circostanze o argomentazioni incompatibili col suo disconoscimento.
Nel caso di specie non si è verificata nessuna delle situazioni processuali richiamate, posto che, a fronte dell’affermazione del fatto principale, costituito dall’avvenuto pagamento della somma, la lavoratrice ha affermato il contrario, dato che, come risulta anche dal controricorso, ha sempre negato di aver ricevuto il pagamento in questione.
L’altro fatto ricordato dalla Corte d’appello è la notificazione di un precetto, ma a tale proposito non si capisce cosa
dovesse contestare la ricorrente che aveva proceduto alla stessa notificazione.
Il terzo fatto a cui è stata annessa rilevanza dalla Corte di merito è una richiesta di restituzione somme da parte di RAGIONE_SOCIALE, ma non si intuisce cosa altro avrebbe dovuto aggiungere in proposito la lavoratrice, una volta affermato di non aver ricevuto in precedenza nessuna somma da parte della stessa RAGIONE_SOCIALE.
Vale sul punto l’insegnamento, pure proveniente dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui quando la mancata espressa contestazione della circostanza si fonda sull’assunto della non pertinenza del fatto dedotto nel giudizio, l’attore non è esonerato dall’onere di provare il fatto stesso (Cass. n. 23816 del 24/11/2010); essendosi pure precisato che l’onere della specifica contestazione gravante sul convenuto va coordinato con quello di allegazione dei fatti di causa che incombe sull’attore, sicché la mancata allegazione puntuale dei fatti costitutivi, modificativi o estintivi rispetto ai quali opera il principio di non contestazione esonera il convenuto, che abbia genericamente negato il fatto altrettanto genericamente allegato, dall’onere di compiere una contestazione circostanziata (Cass. 26908 del 26/11/2020).
6.- Oltre che sulla non contestazione, la sentenza della Corte di appello risulta fondata sul ragionamento presuntivo e di verosimiglianza. In sostanza la Corte sostiene che non sarebbe verosimile che dopo la notifica del precetto la lavoratrice si sia fer mata nel dar corso all’azione esecutiva, senza nulla ricevere, senza percepire niente e senza che sia stato addotto un motivo sul perché non abbia dato seguito alla azione esecutiva; posto che aveva pure di fronte una società solvibile; e se non l’ha fatto è perché probabilmente era stata pagata. Alla luce di questa prima circostanza è stata valorizzata anche l’altra , costituita dalla assenza di motivazione sul mancato riscontro alla richiesta stragiudiziale
di restituzione della somma percepita in virtù della sentenza del tribunale di Roma.
Anche sul punto il Collegio ritiene che il ragionamento condotto nella sentenza impugnata abbia violato le regole vigenti in materia di presunzioni, finendo per attribuire valore ai fini della prova del fatto controverso a circostanze né precise, né gravi, né concordanti e altresì violando il divieto di doppia presunzione.
Secondo questa Corte in tema di presunzioni, qualora il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione (gravità, precisione, concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti, il relativo ragionamento è censurabile in base all’art. 360, n. 3, c.p.c. (e non già alla stregua del n. 5 RAGIONE_SOCIALE stesso art. 360), competendo alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se la norma dell’art. 2729 c.c., oltre ad essere applicata esattamente a livello di declamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione concreta, censurando il ragionamento del giudice di merito laddove ‘fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota’ (Cass. n. 9054 del 21/03/2022).
In effetti la prima circostanza valorizzata dalla Corte di merito, come la mancata prosecuzione di un’azione esecutiva (fatto noto), non denota con precisione la percezione della somma di cui al precetto notificato (fatto ignoto), potendo la prima avvenire per una serie indeterminata di circostanze. E lo stesso vale per il mancato riscontro della richiesta stragiudiziale di restituzione della somma asseritamente percepita (fatto noto), il quale del pari non porta a dimostrare in modo univoco che sia stato ricevuto il pagamento (fatto
ignorato) di cui si dice nella richiesta cui non si dà riscontro. In sostanza la Corte ha valorizzato nel ragionamento presuntivo circostanze di fatto e di diritto totalmente svincolate dalla dazione in denaro che avrebbero dovuto dimostrare. Pertanto, il ragionamento inferenziale svolto dalla corte romana risulta del tutto privo di aderenza all’id quod plerumque accidit ed al senso comune e, dunque, esprime l’applicazione di una presunzione hominis del tutto priva dei requisiti previsti dalla legge.
Sulla scorta di tali premesse, occorre quindi accogliere il ricorso principale. La sentenza deve essere cassata in relazione al ricorso accolto, con rimessione della causa al giudice di rinvio indicato in dispositivo per una nuova valutazione sulla scorta di tutti gli elementi ritualmente acquisti al giudizio e la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.
8.- Si dà atto della insussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo pari a quello previsto per il ricorso, ex art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso principale; cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Roma in diversa composizione per la prosecuzione della causa e la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della insussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale ed incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis RAGIONE_SOCIALE stesso art. 13, se dovuto
Così deciso in Roma all’udienza del 30 gennaio 2024.
La Presidente
AVV_NOTAIOssa NOME COGNOME