Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 16332 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 16332 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13359/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’ AVV_NOTAIO NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’ AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’ AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO;
-controricorrenti- per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Trieste n. 45/2021, depositata il 23 febbraio 2021.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29 maggio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. –NOME COGNOME citava in giudizio avanti al Tribunale di Trieste NOME COGNOME e NOME COGNOME premettendo che negli anni intercorrenti tra il 2006 e il 2009 aveva effettuato nei loro riguardi dei versamenti, parte a mezzo di assegni bancari e parte in denaro contante, per consentire loro di fare fronte alle rate di un asserito mutuo ipotecario contratto con un istituto di credito. L’importo totale ammontava ad euro 38.600,00 che i signori COGNOME si erano impegnati a restituire non appena il figlio NOME COGNOME, grazie al quale avevano fatto la conoscenza, avrebbe concluso un progetto economico che stava creando in Messico e a cui partecipavano i genitori. Non avendo ottenuto la restituzione delle somme, NOME COGNOME li conveniva in giudizio.
I convenuti si costituivano esponendo che le dazioni di denaro effettuate da NOME COGNOME avrebbero in realtà integrato l’ adempimento del suo obbligo di restituzione della quota di spettanza del capitale di credito erogato alla società costituitasi tra il loro figlio, NOME COGNOME, e lo stesso COGNOME. In particolare, i convenuti affermavano che il loro figlio avrebbe richiesto agli stessi di stipulare, in sua vece, un contratto di mutuo ipotecario per poter finanziare la costituenda società ‘RAGIONE_SOCIALE Caribe’ e che COGNOME, dichiaratosi ai convenuti socio del figlio, si sarebbe impegnato a rimborsare, nei limiti della quota di partecipazione sociale, quanto essi avrebbero dovuto restituire alla banca mutuante. I convenuti concludevano chiedendo di respingere la domanda attorea in quanto infondata.
All’esito dell’istruttoria, assunte le proprie testimoniali, con sentenza n 336/2019, pubblicata il 24 maggio 2019, il Tribunale di Trieste condannava NOME COGNOME e NOME COGNOME, in solido tra loro, a pagare a NOME COGNOME l’importo di 38.600,00 euro a titolo di restituzione del denaro ricevuto in prestito, oltre gli interessi legali dalla domanda al saldo e alla rifusione delle spese del giudizio.
-Avverso detta sentenza, NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto appello chiedendo la riforma della pronuncia di prime cure.
Si costituiva NOME COGNOME chiedendo il rigetto dell’appello.
La Corte di appello di Trieste, con sentenza depositata il 23 febbraio 2021, ha accolto l’appello, rigettando la domanda proposta da NOME COGNOME e condannando quest’ultimo al pagamento delle spese di entrambi i gradi del giudizio.
–NOME COGNOME ha proposito ricorso per cassazione.
NOME COGNOME e NOME COGNOME si sono costituiti in giudizio.
-Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.
Il ricorrente ha depositato una memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con il primo motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 132 cod. proc. civ. in riferimento all’art. 360, comma 1 , n. 4 cod. proc. civ. La Corte di appello riteneva di non condividere quanto deciso dal giudice di primo grado in ordine all’idoneità delle dichiarazioni rese dai testi sentiti NOME COGNOME e NOME COGNOME a provare la dazione di una somma di denaro a titolo di mutuo da parte di NOME COGNOME a favore di NOME COGNOME e NOME COGNOME. In particolare, secondo la Corte, quanto dichiarato da NOME COGNOME, secondo cui nel corso del 2006 avrebbe assistito a un colloquio in cui – a fronte delle confidate sopravvenute difficoltà economiche di NOME COGNOME e NOME COGNOME di onorare le rate di un mutuo ipotecario acceso per aiutare il figlio NOME COGNOME aveva consegnato mensilmente l’importo di circa 700,00 euro corrispondente all’ammontare di ciascuna rata, si poneva in contrasto con tre dati che risultavano dalla documentazione prodotta dalla difesa dei convenuti (la data di accensione del prestito, lo stato di difficoltà economica in cui si sarebbero trovati NOME COGNOME e NOME
COGNOME e l’utilizzazione da parte di questi ultimi del denaro ricevuto da NOME COGNOME). Quanto esposto portava la Corte di appello a negare attendibilità alle dichiarazioni del teste COGNOME in ordine alla conclusione del contratto di mutuo, atteso che quello avrebbe fissato la conclusione dell’accordo nel 2006, anno in cui NOME COGNOME e NOME COGNOME non avevano ancora acceso il mutuo con la Banca, a una loro immaginaria situazione di difficoltà economica e una finalità inesistente di pagare le rate del mutuo. Parte ricorrente ritiene che la motivazione data dalla Corte di appello sia apparente, in quanto offrirebbe una interpretazione del tutto discrezionale della documentazione prodotta dagli appellanti, scegliendone, tra le innumerevoli che avrebbero potuto sussistere, quella che confermava quanto sostenuto dagli appellanti.
Con il secondo motivo di ricorso si prospetta la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 132 cod. proc. civ. in riferimento all’art. 360 , primo comma, n. 4 cod. proc. civ. Dalla lettura della sentenza, inoltre, emergerebbe in modo inequivocabile un’altra anomalia motivazionale, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Nel voler dimostrare che tra le parti non era stato concluso in forma orale alcun contratto di mutuo, a pag. 9 la sentenza finirebbe per affermare il contrario di quanto invece scritto nella pag. 5. In tal senso, dopo aver sostenuto che in un rapporto di parentela, di affinità, di affetto, di amicizia, di buon vicinato e simili, la prova del contratto di mutuo può essere data anche per testimoni, subito dopo affermerebbe che nel caso in esame non è entrata alcuna significativa circostanza da cui desumere che il rapporto di amicizia tra le parti era così consolidato dal dover soprassedere dalla forma scritta del contratto.
1.1. -Le doglianze, da trattarsi congiuntamente, sono inammissibili.
Il mutuo va annoverato tra i contratti reali, il cui perfezionamento avviene, cioè, con la consegna del denaro o delle
altre cose fungibili che ne sono oggetto; ne consegue che la prova della materiale messa a disposizione dell’uno o delle altre in favore del mutuatario e del titolo giuridico da cui derivi l’obbligo della vantata restituzione costituisce condizione dell’azione, la cui dimostrazione ricade necessariamente sulla parte che la res oggetto del contratto di mutuo chiede in restituzione (Cass., Sez. II, 22 novembre 2021, n. 35959).
L’attore che chiede la restituzione di somme date a mutuo è tenuto a provare, ai sensi del primo comma dell’art. 2697 cod. civ., gli elementi costitutivi della domanda, e quindi non solo la consegna, ma anche il titolo della stessa, dal quale derivi l’obbligo della reclamata restituzione, senza che la contestazione del convenuto – il quale, riconoscendo di aver ricevuto la somma, deduca una diversa ragione della dazione di essa – si tramuti in eccezione in senso sostanziale, sì da invertire l’onere della prova (Cass., Sez. II, 29 novembre 2018, n. 30944; Cass., Sez. III, 13 marzo 2013, n. 6295; Cass., Sez. III, 19 agosto 2003, n. 12119).
Nella specie, vi è da osservare che la Corte ha fornito una puntuale motivazione delle ragioni che l’hanno indotta a negare l’esistenza di un contratto di mutuo (scarsa attendibilità delle dichiarazioni a fronte delle risultanze documentali, assenza di prova dell’entità della somma ritenuta oggetto del mutuo; assenza di ragioni idonee a spiegare la mancanza della prova documentale), per cui la doglianza mira a una inammissibile rivalutazione delle risultanze istruttorie, preclusa in sede di legittimità.
In tema di ricorso per cassazione, deve ritenersi inammissibile il motivo di impugnazione con cui la parte ricorrente sostenga un’alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, pur ove risultino allegati al ricorso gli atti processuali sui quali fonda la propria diversa interpretazione, essendo precluso nel giudizio di legittimità un vaglio che riporti a un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio nel suo insieme (Cass., Sez. II, 23 aprile 2024, n. 10927).
In relazione all’art. 115 cod. proc. civ., l’errore di percezione, cadendo sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, non può ravvisarsi laddove la statuizione di esistenza o meno della circostanza controversa presupponga un giudizio di attendibilità, sufficienza e congruenza delle testimonianze, che si colloca interamente nell’ambito della valutazione delle prove, estranea al giudizio di legittimità (Cass., Sez. IV, 8 ottobre 2019, n. 25166).
Non sussiste, inoltre, alcun vizio della motivazione sotto il profilo del contrasto dedotto nel secondo motivo, avendo la Corte di appello escluso nella sua motivazione -a fronte della giurisprudenza di questa Corte che ha definito i criteri in base ai quali è possibile, ai sensi dell’art. 2721 cod. civ., dar prova anche attraverso testimoni di un mutuo stipulato in forma orale -che nella fattispecie sussistesse un rapporto particolare tra le parti tale da giustificare la conclusione di un contratto di mutuo.
-Il ricorso va dunque rigettato.
Le spese processuali, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
-Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro
4.300,00, di cui euro 4.100,00 per compensi, oltre alle spese generali nella misura del 15% e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 , della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione