Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 18834 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 18834 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa da ll’ AVV_NOTAIO, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’AVV_NOTAIO , in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente-
Contro
BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A. rappresentata e difesa dall’ AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliata presso il suo studio, in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
Avverso la sentenza dalla Corte di Appello di Catania n. 445/2020 pubblicata il 20.2.2020, non notificata.
Oggetto:
Conto corrente
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 31.5.2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. ─ RAGIONE_SOCIALE citava in giudizio dinanzi al Tribunale di Siracusa, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE SpA deducendo di avere intrattenuto sin dal 1995 presso la Filiale di RAGIONE_SOCIALE della RAGIONE_SOCIALE convenuta un rapporto di conto corrente contraddistinto dal n. 1450/08, e lamentando: 1) violazione dell’art. 1284 c.c. relativamente alla determinazione degli interessi in misura ultralegale ovvero in violazione della normativa antiusura introdotta dalla legge n.108/96; 2) violazione dell’art. 1283 c.c. per illegittima capitalizzazione degli interessi passivi; 3) applicazione di c.m.s. non dovute siccome non previste in contratto.
In via istruttoria chiedeva l’ espletamento di c.t.u. contabile volta a ricalcolare il saldo del rapporto dedotto in giudizio applicando il tasso di interesse legale, eliminando la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi e la commissione di massimo scoperto e non conteggiando alcun interesse ove gli interessi fossero risultati usurari.
Concludeva chiedendo, in via principale, di dichiarare non dovuto il credito vantato dalla banca come esposto nelle scritture contabili della stessa; di condannare la banca convenuta al risarcimento dei danni in favore dell’attrice per illecita condotta contrattuale nella misura di € 52.000 o nella misura maggiore o minore che sarà determinata in corso di causa, disponendo, ove ne ricorrano i presupposti, la compensazione giudiziale con quanto risulterà dovuto dalla correntista alla banca in esito all’espletanda c.t.u.; in via subordinata, di condannare parte convenuta al pagamento in favore di essa attrice dell’indennizzo per la diminuzione patrimoniale subita ai sensi dell’art. 2041 c.c.; infine, di condannare parte convenuta al pagamento di spese e compensi del giudizio.
-Con la sentenza n.1013/14 depositata in data 8.5.2014, l’adito tribunale prendeva in esame la preliminare eccezione di nullità dell’atto di citazione per violazione dell’art.163, n. 4, c.p.c. sollevata dalla convenuta e l’accoglieva, ritenutane la fondatezza. Assumeva che l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda fosse generica non avendo parte attrice indicato le presunte operazioni contabili illegittime, né avendo prodotto idonea documentazione a sostegno della domanda. Disponeva l’integrale compensazione tra le parti delle spese di lite con le spese della CTU a carico dell’attrice.
3.La società proponeva gravame dinanzi alla Corte di Appello di Catania, che con la sentenza non definitiva n. 666/2019 ha rigettato l’eccezione di nullità dell’atto di citazione del giudizio di I grado e ha dichiarato nulla la clausola del contratto di conto corrente che prevedeva la capitalizzazione degli interessi passivi, disponendo il prosieguo del giudizio.
Per quanto qui di interesse la Corte di merito ha statuito che:
la nullità della citazione – comminata dall’art. 164, comma 4, c.p.c.- si produce solo quando l’esposizione dei fatti costituenti le ragioni della domanda sia stata omessa o risulti assolutamente incerta, con valutazione da compiersi caso per caso, occorrendo tenere conto sia che l’identificazione della “causa petendi” della domanda va operata con riguardo all’insieme delle indicazioni contenute nell’atto di citazione e dei documenti ad esso allegati, sia che la nullità della citazione deriva dall’assoluta incertezza delle ragioni della domanda, risiedendo la sua “ratio” nell’esigenza di porre immediatamente il convenuto nelle condizioni di apprestare adeguate e puntuali difese;
Nel caso di specie, l’esame dell’intero contesto dell’atto introduttivo, costituito dall’insieme delle indicazioni in esso contenute, consente di identificare senz’altro le ragioni delle domande proposte, come, del resto, comprovato dal comportamento
di parte convenuta che, avendo spiegato in seno alla comparsa di costituzione e risposta una precisa e compiuta linea difensiva, si è mostrata in grado di comprendere agevolmente quali fossero le richieste dell’attrice;
c) la banca convenuta ha prodotto il contratto di conto corrente, intercorso tra le parti in data 17.11.95, con ciò dando prova che le condizioni economiche regolanti il rapporto – per quanto attiene al tasso di interesse debitore e creditore ed alla commissione di massimo scoperto – sono state validamente determinate, mentre va dichiarata nulla la clausola – pure contenuta nel contratto inter partes (art.7) – prevedente la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi per violazione del disposto di cui , all’art.1283 c.c.;
avuto riguardo alle risultanze della CTU espletata in I grado, che ha proceduto al ricalcolo del saldo applicando la capitalizzazione degli interessi passivi su base annua, sostituendo il tasso convenzionale con il tasso legale ed eliminando la CMS, è necessario rimettere sul ruolo il giudizio al fine di disporre nuova CTU diretta alla rielaborazione del saldo con l’eliminazione della capitalizzazione trimestrale fino al 3.12.2003 e con la sua applicazione fino alla chiusura del conto;
non sussistono i presupposti della domanda di arricchimento senza giusta causa ex art. 2041 c.c. posto che la stessa ha funzione sussidiaria ex art. 2042 c.c. e nella fattispecie sussiste la effettivamente svolta azione ex contractu.
All’esito del deposito della CTU la Corte di merito con sentenza n. 445/2019, qui impugnata ha statuito che:
la domanda risarcitoria con riferimento ai danni «da illegittima ed illecita condotta contrattuale nella misura di € 52.000 o a quella maggiore o minore che il decidente riterrà equa, disponendo, ove ne ricorrano i presupposti, la compensazione giudiziale con quanto risulta dalla ctu (competenze illegittimamente determinate al 30/9/2007, maggiorate degli interessi di legge al soddisfo» deve
rigettarsi in quanto è destituita di prova in ordine al quantum del preteso danno e una volta che sia stato ricalcolato l’importo a debito legittimamente dovuto dalla società correntista. Non sussistono i presupposti della domanda di arricchimento senza causa ex art. 2041 c.c. posto che la stessa ha funzione sussidiaria ex art. 2042 c.c., e nella fattispecie sussiste la effettivamente svolta azione ex contractu;
Le spese di entrambi i gradi, compensate per 1/3 vanno per la rimanente parte poste a carico della RAGIONE_SOCIALE liquidate come in dispositivo.
Parimenti nella misura rispettivamente di 1/3 e di 2/3 gravano in via definitiva le spese di ctu di primo grado e quelle relative all’integrazione effettuata in appello.
─ RAGIONE_SOCIALE ha presentato ricorso per cassazione con due motivi.
RAGIONE_SOCIALE ha presentato controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La ricorrente deduce:
-Con il primo motivo: omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360, comma 1, n.5, c.p.c. su un punto decisivo della controversia. La Corte non ha preso in considerazione le allegazioni prodotte sul danno lamentato.
5.1 -La censura è inammissibile. Questa Corte ha più volte ribadito che L’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della
contro
versia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. (Cass., S.U., n. 8053/2014; Cass., n. 9253/2017; Cass., n. 27415/2018).
Le allegazioni ricorrenti concretano l’omesso esame di meri elementi istruttori, sì che esse risultano estranee al perimetro del vizio denunciato,
La censura, poi, non si confronta con la ratio decidendi del provvedimento impugnato. Il danno lamentato consisterebbe nel mancato utilizzo della differenza tra il fido accordato di € 52.000 e quello effettivamente utilizzato di € 17.237,52 pari a € 34.762,48.
Il mancato utilizzo della somma però, è effetto della revoca dell’affidamento (revoca affermata dalla stessa controparte a p. 9). La corte di merito ha evidenziato che la ricorrente non ha mai pro posto domanda di risarcimento del danno per l’avvenuta revoca né ha mai contestato la legittimità dell’atto; pertanto , correttamente, la Corte territoriale ha ritenuto che non sia stata fornita alcuna prova della condotta illegittima o illecita della banca né tantomeno della quantificazione del danno.
Quanto poi alla pretesa sussistenza di un comportamento scorretto della banca per aver conteggiato nel conto corrente partite rivelatesi nel giudizio non dovute e di aver segnalato alla Centrale rischi un ‘esposizione per una somma ben superiore a quella che era
effettivamente dovuta a seguito degli accertamenti della CTU resta incensurata l’affermazione che non vi è prova del danno .
E’ opportuno ricordare, inoltre, che i l potere di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., costituisce espressione del più generale potere di cui all’art. 115 c.p.c. ed il suo esercizio rientra nella discrezionalità del giudice di merito, dando luogo ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa, con l’unico limite di non potere surrogare il mancato accertamento della prova della responsabilità del debitore o la mancata individuazione della prova del danno nella sua esistenza (Cass., n. 13515/2022; Cass., n. 28429/2023).
─ Con il secondo motivo: Violazione e falsa applicazione in relazione all’art. 360 c.p.c. degli artt. 91 e 92 c.p.c. e carenza e illogicità della motivazione relativamente alla parziale compensazione delle spese di lite.
6.1 -La censura è inammissibile. La valutazione operata dal giudice di merito sulla parziale reciproca soccombenza può essere censurata in cassazione soltanto se le spese sono poste a carico della parte totalmente vittoriosa ovvero quando la motivazione sia illogica e contraddittoria e tale da inficiare, per inconsistenza o erroneità, il processo decisionale (Cass., n. 24531/2010; Cass., n.516/2020).
7 .-Per quanto esposto, il ricorso va dichiarato inammissibile con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in € 5.000 per compensi e € 200 per esborsi oltre spese generali, nella misura del 15% dei compensi, ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30.5.2002, n.115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, l. 24 dicembre 2012, n.
228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima Sezione