Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 10248 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 10248 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22044/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in Treviso INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende ,
-ricorrente- contro
Fallimento RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato NOME (CODICE_FISCALE, controricorrente-
avverso il decreto del Tribunale Napoli n. 1029/2021 depositato il 26/07/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.RAGIONE_SOCIALE premesso di aver assunto la veste di mandataria di tre associazioni temporanee di imprese costituite in tempi diversi con la RAGIONE_SOCIALE (di seguito denominata per brevità ‘Campolo’) per la realizzazione di altrettanti lavori per conto di committenti, chiese che fosse ammesso al passivo del Fallimento RAGIONE_SOCIALE il credito complessivo di € 688.124,23 di cui € 447.425,90, in via chirografaria, per aver effettuato anticipazioni di importi in favore della COGNOME sulle somme dovute e mai versate dalle committenti per i lavori che la COGNOME, per la sua parte, aveva eseguito nell’ambito degli appalti in oggetto e per la cessione alla ricorrente di due crediti vantati verso la fallita da parte di due società, ed € 240.698, in via privilegiata, per i pagamenti effettuati in favore dei lavoratori della COGNOME.
2.Il Giudice Delegato respinse la domanda e il Tribunale di Napoli rigettava l’opposizione allo stato passivo proposta da RAGIONE_SOCIALE rilevando quanto segue: i) dalla stessa prospettazione della RAGIONE_SOCIALE in ciascuno dei tre rapporti di committenza si evinceva che la COGNOME, all’atto della sua uscita dalle ATI, continuava ad esser creditrice nei confronti della mandataria di importi per gli effettivi lavori svolti di sua competenza, nonostante le anticipazioni fatte dalla RAGIONE_SOCIALE e anche tenendo conto delle ulteriori partite di credito per le quali la COGNOME chiedeva di esser insinuata al passivo quale cessionaria, per gli importi di € 49.776 ed € 56.974; ii) tale credito, non contestato, era stato oggetto dell’eccezione di compensazione sollevata dal Fallimento ;iii) l’istanza di insinuazione per anticipazioni delle somme sugli importi dovuti alla COGNOME per i lavori eseguiti si fondava su documenti -i rendiconti riepilogativi dei rapporti intercorsi e dei pagamenti ricevuti dai committenti ed effettuati in favore della
COGNOME -inopponibili alla Curatela, in quanto atti di parte; iv) COGNOME non aveva neanche assolto all’onere di fornire prova documentale del presupposto costitutivo della sua pretesa creditoria, vale a dire che, nell’ambito dello svolgimento dei tre rapporti di committenza, nella sua qualità di mandataria, essa ebbe effettivamente a ricevere dalle committenti le somme dell’importo di cui ai rendiconti allegati, in essi rappresentati come inferiori a quelli effettivamente dovute alla COGNOME in forza dei RAGIONE_SOCIALE emessi all’atto dell’uscita della stessa dalle ATI; v) la pretesa restitutoria concernente quanto anticipato ai lavoratori, risultava, in ogni caso estinta per compensazione con il maggior credito per corrispettivi maturato dalla Campolo e non contestato dalla RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per Cassazione sulla base di dieci motivi, illustrati con memoria. Il Fallimento ha svolto difese con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I mezzi di impugnazione possono così riassumersi:
primo motivo: violazione e/o falsa applicazione dell’art.115, comma 1, seconda parte, c.p.c. (principio di non contestazione) in relazione all’art.360, comma 1, n.3, c.p.c., per avere il Tribunale affermato che RAGIONE_SOCIALE non aveva dimostrato che le somme ricevute dalle committenti, nonché l’entità dei rispettivi importi, erano complessivamente inferiori rispetto all’entità delle somme che essa aveva precedentemente anticipato alla Campolo, quando tali circostanze non solo non erano mai state specificamente contestate dal Fallimento in corso di causa, ma erano state addirittura riconosciute dalla procedura che si era limitata a contestare alla mandataria RAGIONE_SOCIALE di non essersi attivata presso le committenti per il recupero delle residue somme da queste dovute alla COGNOME;
secondo motivo : omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360, comma 1, n.5, c.p.c., rappresentato dai (minori) pagamenti ricevuti da RAGIONE_SOCIALE dalle committenti, circostanza evincibile dalla documentazione versata in atti (estratti conto, distinte di bonifici/pagamenti ricevuti dalla capogruppo e mandataria RAGIONE_SOCIALE da parte delle committenti per conto della mandante Campolo);
terzo motivo: violazione e/o falsa applicazione degli artt.115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n.3, c.p.c.; per essersi il Tribunale sostanzialmente rifiutato di prendere in considerazione la copiosa documentazione che RAGIONE_SOCIALE aveva prodotto proprio per fornire la dimostrazione documentale dei fatti posti a fondamento della domanda di ammissione del credito al passivo, il comportamento omissivo dei giudici circondariali rileverebbe anche sotto il profilo del travisamento informazione probatoria;
quarto motivo: nullità della sentenza per violazione dell’art. 99, comma 11, l.fall., e degli artt.111, comma 6, Cost., 132, comma 2, n.4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art.360, comma 1, n.4, c.p.c., per avere il Tribunale, in merito alla mancata dimostrazione da parte di RAGIONE_SOCIALE dei pagamenti avuti dalle committenti, reso una motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, tale comunque da impedire di percepire appieno il ragionamento e la logica enunciativa che sta a fondamento della decisione adottata. In particolare l’affermazione secondo la quale i rendiconti prodotti da RAGIONE_SOCIALE non possono essere considerati valida documentazione del suo credito siccome « inopponibili alla Curatela, in quanto evidentemente atti di parte » appare incomprensibile;
quinto motivo: violazione e/o falsa applicazione degli artt.2697 e sgg. c.c., 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art.360, comma 1, n.3, c.p.c.: il Tribunale avrebbe preso in considerazione il rendiconto come mezzo di prova documentale teoricamente idoneo a fini
probatori, e come tale soggetto alla valutazione da parte del giudice ex artt.115 e 116 c.p.c., e -dall’altro -negato che nel caso di specie esso potesse essere astrattamente opposto al Fallimento in quanto mero atto di parte incorrendo così in un manifesto errore di diritto;
sesto motivo : violazione e/o falsa applicazione dell’art.115, comma 1, seconda parte, c.p.c. (principio di non contestazione) in relazione all’art.360, comma 1, n.3, c.p.c. per avere il Tribunale ritenuto che RAGIONE_SOCIALE non avesse provato l’esatta entità dei pagamenti/anticipazioni che essa aveva fatto alla COGNOME, rilevando al riguardo che vi sarebbero state delle differenze tra la relativa documentazione e le allegazioni contenute nei rendiconti, laddove tale circostanza non era stata oggetto di contestazione da parte del Fallimento;
settimo motivo: nullità della sentenza per violazione dell’art.99, comma 11, l.fall., e degli artt.111, comma 6, Cost., 132, comma 2, n.4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. in relazione all’art.360, comma 1, n.4, c.p.c.: il punto della motivazione sulla mancata prova dell’ammontare delle somme corrisposte dalla mandataria alla mandante sarebbe perplesso e fortemente contraddittorio ed inconciliabile con altre parti del decreto;
ottavo motivo: violazione e/o falsa applicazione degli artt.115 e 116 c.p.c. in relazione all’art.360, comma 1, n.3, c.p.c. : anche in questo caso il Tribunale sarebbe caduto in un travisamento della prova avendo posto a base della sua decisione una scorretta comparazione tra i rendiconti e i bonifici;
nono motivo : violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1176, 1218, 1710 c.c. in relazione all’art.360, comma 1, n.3, c.p.c. per avere il Tribunale malamente riconosciuto la compensazione tra il credito di RAGIONE_SOCIALE a titolo di anticipazioni della mandataria in favore della mandante che avevano superato le somme ricevute dalla prima dalle committenti e il presunto
controcredito vantato dalla COGNOME per differenze tra le somme ricevute dalla mandataria e il maggiore l’importo indicato nelle fatture emesse dalla mandante per l’esecuzione delle opere di sua competenza. La ricorrente censura la decisione del Tribunale che ha ritenuto che RAGIONE_SOCIALE non aveva dimostrato di essersi attivata nei confronti dei committenti per il recupero dei crediti della mandante, senza accertare se l’attività della mandataria fosse stata conforme ai canoni di diligenza del buon padre di famiglia; decimo motivo: violazione e/o falsa applicazione degli artt.1241, 1242, 1243, 1460, 1710, 1713 c.c. e 35, 263 e 264 c.p.c. in relazione all’art.360, comma 1, n.3, c.p.c., la ricorrente sostiene l’insussistenza dei presupposti della compensazione non essendo il credito di Campolo munito dei requisiti di liquidità, certezza ed esigibilità atteso l’asserita condotta inadempiente del mandatario di lavori richiedere alle committenti l’integrale pagamento dei effettuati era tutto da provare.
2 Il primo e il sesto motivo sono infondati.
2.1 Il principio di non contestazione, richiamato dalla ricorrente, non è pertinente alla questione controversa; secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, la mancata contestazione del fatto costitutivo del diritto esonera la controparte dalla prova del fatto stesso, con effetti vincolanti per il giudice, che deve astenersi da qualsiasi controllo probatorio del fatto non contestato acquisito al materiale processuale e deve, perciò, ritenerlo sussistente (cfr. tra le molte Cass. n. 14589/2022, 20556/2021, 3727/2012 e 5356/2009).
2.2 Orbene, se è vero che tale tecnica di semplificazione della prova dei fatti dedotti (v. Cass. n. 5067/17) è certamente applicabile alla verifica dei crediti, è altrettanto incontestabile che la non contestazione va in primo luogo coordinata con i poteri del giudice delegato quanto al regime delle eccezioni rilevabili d’ufficio. Nel senso che la non contestazione del curatore può non
comportare l’automatica ammissione del credito allo stato passivo, attesa la competenza del giudice delegato di sollevare a sua volta, in via ufficiosa, eccezioni circa l’ammissibilità del credito (v. Cass. n. 17731/2022, 16554/15, 19734/17, e 12973/18).
2.3 Questa Corte ha in più occasioni precisato che il giudice è tenuto ad accertare, anche d’ufficio, il fondamento giuridico della domanda, sulla base di fatti costitutivi o impeditivi della pretesa dedotta in giudizio, tranne che si tratti di eccezioni in senso stretto, che devono essere proposte in giudizio soltanto dalla parte interessata. Ciò sta a significare che tutte le ragioni che possono condurre al rigetto della domanda per difetto delle sue condizioni di fondatezza possono essere rilevate anche d’ufficio, in base alle risultanze ritualmente acquisite al processo, nei limiti in cui tale rilievo non sia impedito o precluso in dipendenza di apposite regole processuali (tra varie, Cass. n. 29254/19; n. 4553/22), che non si configurano nel caso in esame.
2.4 Orbene, la ragione creditoria fatta valere da RAGIONE_SOCIALE per aver effettuato anticipazioni di importi in favore della COGNOME sulle somme dovute e non ancora versate dalle committenti per i lavori che la COGNOME, per la sua parte, aveva eseguito nell’ambito dei tre appalti, è stata contestata nella sua interezza sin dalla fase di accertamento dello stato passivo sostenendosi da parte della Fallita che le somme versate dalla mandataria erano dovute per remunerare la mandante dei lavori effettuati in favore delle committenti.
3 Il secondo, terzo ed ottavo motivo sono inammissibili in quanto, contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, il Tribunale di Napoli ha mostrato di aver esaminato il fatto storico costituito dai versamenti effettuati dalla mandataria alla COGNOME ritenendolo in primo luogo non provato in quanto fondato su documentazione non opponibile al fallimento ed in secondo luogo atto dovuto nell’ambito del complessivo rapporto tra i soggetti partecipanti all’ ATI che
aveva stipulato tre contratti di appalto dalla cui esecuzione erano maturati crediti in favore della mandante per i lavori eseguiti.
3.1 Resta fermo il principio secondo cui l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
3.2 Quanto all’asserito vizio di « travisamento dell’informazione probatoria » va rilevato che la valutazione delle prove raccolte costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione.
Il giudice di legittimità, per contro, ha soltanto la facoltà del controllare, sotto il profilo della coerenza logico-formale, le argomentazioni svolte in ordine alla ricognizione della fattispecie concreta dal giudice di merito, così come esposte nella pronuncia impugnata, cui spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere tra le complessive risultanze del processo quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex plurimis , Cass. n. 40872 /2021, 21098/2016 e 27197/2011).
Il compito di questa Corte, in effetti, non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), anche se il ricorrente prospetta (con le prove ammesse ovvero offerte) un migliore e più appagante
(ma pur sempre soggettivo) coordinamento dei dati fattuali acquisiti in giudizio (Cass. n. 12052 /2007).
4 Il quarto e il settimo motivo sono infondati.
4.1 È denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che (come nei casi nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”) si sia tramutata in violazione di legge costituzionalmente rilevante, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass. SU n. 8053 / 2014).
4.2 Il decreto impugnato, dopo aver valutato le prove raccolte in giudizio ed (implicitamente) escluso quelle (asseritamente contrarie) invocate dall’opponente, ha ritenuto, motivando il proprio convincimento sul punto in modo non apparente, perplesso o contraddittorio, che RAGIONE_SOCIALE non avesse fornito la prova documentale del presupposto costitutivo della sua pretesa creditoria, vale a dire che, nell’ambito dello svolgimento dei tre rapporti di committenza, nella sua qualità di mandataria, essa ebbe effettivamente a ricevere dalle committenti le somme dell’importo di cui ai rendiconti allegati, in essi rappresentati come inferiori a quelli effettivamente dovute alla COGNOME.
6 Il quinto motivo è infondato in quanto il Tribunale nel ritenere il rendiconto, oltre che documento inopponibile alla massa dei creditori, inidoneo a dimostrare i fatti costitutivi del credito fatto valere, non ha violato né gli artt. 115 e 116 c.p.c. né l’art. 2967 c.c.
6.1 La violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. rileva nella distinta condizione in cui il giudice abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli; la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è ammessa solo ove si alleghi che il
giudice, nel valutare una prova, non abbia operato secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce a una differente risultanza probatoria (come per es. il valore di prova legale), o al contrario non abbia osservato la specifica regola di valutazione di una prova così stabilita dalla legge; non mai invece ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova (cfr. risolutivamente Cass. Sez. U n. 20867/20).
6.2 La violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti ( ex multis , Cass. 7919/2020, 13395/2018 e 15107/2013).
7 Il nono e il decimo motivo sono inammissibili in quanto investono il tema della compensazione dei crediti, che il tribunale ha considerato mediante un semplice obiter dictum -cosa che risulta dalle chiare ed inequivocabili affermazioni del medesimo tribunale circa il carattere assorbente dell’altra argomentazione incentrata sulla prova (« in via del tutto assorbente rispetto ad ogni altra questione, l’istanza di insinuazione mossa dalla COGNOME per le su esposte causali (anticipazioni somme sugli importi dovuti alla COGNOME per i lavori eseguiti) si fonda su documentazione -i rendiconti di cui si è detto -che sono inopponibili alla Curatela, in quanto evidentemente atti di parte »).
In conclusione il ricorso è rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese presente giudizio che liquida in € 12.200, per compensi, oltre € 200 per esborsi nonchè spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nella Camera di Consiglio tenutasi in data 13 marzo