Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 18541 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 18541 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 31733-2020 proposto da:
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO nello studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli avv.ti NOME COGNOME e COGNOME
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO nello studio dell’avv. NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 479/2020 della CORTE D’APPELLO di POTENZA, depositata in data 22/09/2020
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione ritualmente notificato NOME proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 99/2003 emesso dal Tribunale di Matera, con il quale gli era stato ingiunto il pagamento, in favore di NOME NOME, della somma di € 10.299,65 a titolo di saldo per la fornitura e messa in opera di un impianto termico, idrico, di condizionamento e di gas a servizio di un immobile di proprietà dell’opponente. Quest’ultimo allegava di aver tempestivamente segnalato vizi delle opere eseguite dal COGNOME e di aver quindi sospeso il pagamento del saldo a fronte dell’inadempimento del fornitore, che non aveva ottemperato ai predetti difetti né aveva consegnato i certificati di garanzia e conformità degli impianti installati. Chiedeva quindi dichiararsi non dovuta la somma pretesa dall’ingiungente e condannarsi lo stesso al risarcimento del danno.
Si costituiva il COGNOME resistendo all’opposizione ed eccependo la tardività delle eccezioni mosse al suo operato.
Con sentenza n. 321/2014 il Tribunale accoglieva in parte l’opposizione, dichiarando non dovuta la somma pretesa dal COGNOME, in quanto era stato prodotto in atti del giudizio un preventivo di € 4.535,37 a fronte del quale il COGNOME aveva documentato versamenti addirittura superiori, per € 5.164,57; null’altro, quindi, era dovuto al creditore ingiungente, che non aveva fornito prova dell’esistenza di un proprio maggior credito. Il primo giudice rigettava anche la domanda risarcitoria, ritenendola del pari non provata.
Con la sentenza impugnata, n. 479/2020, la Corte di Appello di Potenza rigettava il gravame principale interposto dal COGNOME avverso la decisione di prime cure, accogliendo invece in parte quello incidentale del COGNOME, e condannando il predetto COGNOME a consegnare allo stesso il certificato di conformità ed il libretto di uso e manutenzione dell’impianto realizzato. Compensava parzialmente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio, ponendole per il resto a carico del COGNOME. La Corte distrettuale confermava la decisione di prime cure, in relazione al difetto della prova tanto dell’esistenza di un credito del COGNOME superiore a quello risultante dal preventivo allegato agli atti del giudizio di merito, che della domanda risarcitoria, avendo il C.T .U. riscontrato la corretta funzionalità dell’impianto installato dal COGNOME; accoglieva invece in parte la domanda di esatto adempimento proposta dal COGNOME, in quanto il fornitore non aveva provveduto a consegnare i documenti attestanti la conformità dell’impianto predetto.
Propone ricorso per la cassazione della suindicata decisione COGNOME NOMECOGNOME affidandosi a due motivi, il secondo dei quali articolato in tre distinti profili.
Resiste con controricorso COGNOME NOME COGNOME.
In prossimità dell’adunanza camerale, la parte ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la parte ricorrente denunzia la violazione degli artt. 111 Cost., 132, 115 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe travisato il contenuto della prova, valorizzando un preventivo redatto su carta intestata della RAGIONE_SOCIALE, riprodotto a pag. 11 del ricorso, privo di data e di firma delle parti, attribuendo allo
stesso una funzione certificativa dell’esistenza di un accordo che in realtà esso non poteva avere. L’unico documento da considerare, secondo il ricorrente, sarebbe la fattura commerciale n. 21/01 da lui emessa, riprodotta a pag. 16 del ricorso.
Con il secondo motivo, il COGNOME si duole invece, in primo luogo, della violazione degli artt. 116 c.p.c. e 2702 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte territoriale avrebbe considerato sub specie di scrittura privata un documento proveniente da un soggetto estraneo al giudizio, privo di firma, non avente quindi i requisiti minimi previsti dalla legge (primo profilo). In secondo luogo, della violazione degli artt. 1474, 1667, 1668, 2225 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte potentina avrebbe erroneamente ritenuto inutilizzabili le conclusioni del C.T.U., ponendo a carico del fornitore la prova dell’esistenza del credito azionato in sede monitoria, senza considerare che il cliente non aveva contestato l’ an ma solo il quantum della debenza; di conseguenza, secondo il COGNOME, era il COGNOME che avrebbe dovuto dimostrare l’esistenza di un credito inferiore a quello preteso da esso fornitore (secondo profilo). Ed in terzo luogo, della violazione degli artt. 157 e 194 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., perché la Corte di seconde cure avrebbe trascurato di considerare che l’eventuale nullità della C.T.U. sarebbe stata sanata per effetto della sua mancata tempestiva eccezione da parte del Di Giacomo; di conseguenza, il giudice di merito avrebbe dovuto tener conto degli accertamenti condotti dal proprio ausiliario (terzo profilo).
I motivi, suscettibili di trattazione congiunta, sono infondati.
La Corte di Appello ha considerato in primo luogo che, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, la fattura commerciale posta a base
della richiesta di pagamento formulata in sede monitoria non ha alcun valore ai fini della prova del credito (cfr. pag. 8 della sentenza impugnata). Tale statuizione è conforme alla più che consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo cui ‘La fattura è titolo idoneo per l’emissione di un decreto ingiuntivo in favore di chi l’ha emessa, ma nell’eventuale giudizio di opposizione la stessa non costituisce prova dell’esistenza del credito, che dovrà essere dimostrato con gli ordinari mezzi di prova dall’opposto’ (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 19944 del 12/07/2023, Rv. 668145; conf. Cass. Sez. 6 -3, Ordinanza n. 5915 del 11/03/2011, Rv. 617411; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5071 del 03/03/2009, Rv. 606941; nonché Cass. Sez. 3, Sentenza n. 17371 del 17/11/2003, Rv. 568223, che ha ad oggetto un contratto di fornitura, e Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10860 del 11/05/2007, Rv. 596784, relativa invece ad un contratto di appalto privato).
La Corte lucana ha poi evidenziato che al C.T.U. erano stati posti due quesiti, il primo concernente la correttezza dei lavori eseguiti dal COGNOME, ed il secondo relativo alla congruità della somma indicata in fattura, e che le parti nulla avevano eccepito al riguardo. Ha poi dato atto che il Tribunale aveva ritenuto condivisibili le conclusioni dell’ausiliario solo in relazione al primo quesito, poiché la C.T.U. non può essere uno strumento per ovviare alla mancata allegazione della prova posta a carico di una delle parti (cfr. ancora pag. 8 della sentenza). Anche tale statuizione è coerente con l’insegnamento di questa Corte, secondo cui ‘La consulenza tecnica d’ufficio non è mezzo istruttorio in senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze. Ne consegue che il suddetto mezzo di indagine non può essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume, ed è quindi legittimamente negata qualora la parte tenda con
essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero di compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati’ (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 8498 del 31/03/2025, Rv. 674241; conf. Cass. Sez. 6 -1, Ordinanza n. 30218 del 15/12/2017, Rv. 647288; Cass. Sez. 6 -L, Ordinanza n. 3130 del 08/02/2011, Rv. 615888; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3191 del 14/02/2006, Rv. 590615). Va infatti data continuità al principio secondo cui ‘In materia di consulenza tecnica d’ufficio, il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza del contraddittorio delle parti, può acquisire, anche prescindendo dall’attività di allegazione delle parti -non applicandosi alle attività del consulente le preclusioni istruttorie vigenti a loro carico-, tutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che non siano diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda e delle eccezioni che è onere delle parti provare e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di documenti diretti a provare fatti principali rilevabili d’ufficio’ (Cass. Sez. U, Sentenza n. 3086 del 01/02/2022, Rv. 663786; conf. Cass. Sez. 6 -3, Ordinanza n. 25604 del 31/08/2022, Rv. 665450; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 32935 del 09/11/2022, Rv. 666142; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 21903 del 21/07/2023, Rv. 668558; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 26144 del 07/09/2023, Rv. 669081). Non v’è dubbio, al riguardo, che, in un giudizio nel quale si controverta della debenza di una determinata somma di denaro, l’esistenza del credito ed il suo ammontare costituiscano elementi costitutivi, e dunque fatti principali, a sostegno della pretesa, che devono essere provati direttamente dalla parte.
Il giudice di merito, in ultima analisi, non ha affatto considerato il preventivo prodotto in atti di causa, la cui valenza probatoria viene contestata dal ricorrente, come scrittura privata, ma ha semplicemente
rilevato che il COGNOME non poteva affidare la prova del quantum del proprio credito alla sola fattura commerciale. Costui, in effetti, avrebbe dovuto dimostrare aliunde l’esistenza e l’ammontare della propria pretesa creditoria, cosa che invece -secondo il giudice di appello- non aveva fatto. I motivi di ricorso non si confrontano in modo adeguato con tale ratio decidendi , poiché il ricorrente non deduce di aver fornito altre prove del proprio credito, oltre alla fattura commerciale già prodotta in fase monitoria, né di tipo documentale, né di carattere orale, ma affida la propria critica alla decisione della Corte di Appello solo in relazione alla mancata considerazione, da parte della stessa, delle risposte fornite dal C.T.U. al secondo quesito che gli era stato posto. Risposte che, peraltro, in nessuna parte del ricorso vengono richiamate, neppure in forma sintetica, con conseguente deficit di specificità delle doglianze in esame.
Queste ultime, dunque, si risolvono in una mera contrapposizione, all’apprezzamento del fatto e delle prove operata dal giudice di merito, di una lettura alternativa del compendio istruttorio, senza tener conto che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui ‘L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra
altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330; cfr. anche Cass. Sez. 1, Sentenza n. 16056 del 02/08/2016, Rv. 641328 e Cass. Sez. 6 -3, Ordinanza n. 16467 del 04/07/2017, Rv. 644812).
Neppure si configura alcuna violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., dovendosi osservare, al riguardo, che la prima è utilmente deducibile in sede di legittimità soltanto quando il giudice di merito ‘… in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio) …’ (Cass. Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037 – 01). Mentre la deduzione della violazione dell’art. 116 c.p.c. è ‘… ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato -in assenza di diversa indicazione normativasecondo il suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile,
ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione’ (Cass. Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037 – 02). Poiché nessuna delle ipotesi suindicate sussiste, avendo il giudice di merito operato semplicemente una valutazione complessiva delle risultanze istruttorie, rilevando la mancanza della dimostrazione del credito vantato dalla parte opposta, le censure sono, anche per questo profilo, destituite di fondamento.
Con specifico riferimento al secondo profilo del secondo motivo, con il quale il ricorrente deduce che il COGNOME non aveva contestato l’ an della pretesa azionata in sede monitoria, ma solo il quantum , va dato atto che con la memoria il COGNOME richiama l’ordinanza di questa stessa Sezione n. 26048/2024, depositata il 04.10.2024, asserendo trattarsi di precedente applicabile alla fattispecie, a fronte della mancata contestazione, da parte del COGNOME, dell’ an della fornitura. In realtà, fermo restando che oggetto di quel precedente è un rapporto negoziale tutt’affatto diverso da quello del quale in questa sede si discute, occorre evidenziare che la fattispecie neppure si attaglia alla presente vicenda, poiché il COGNOME, pur non contestando l’ an della propria obbligazione, ha dedotto e dimostrato di nulla dovere, per aver integralmente adempiuto alla stessa, così come ritenuto, all’esito del doppio grado del giudizio di merito, dalla Corte distrettuale.
Infine, neppure si configura alcun vizio della motivazione, che non è viziata da apparenza, né appare manifestamente illogica, ed è idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dar atto dell’iter logicoargomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830, nonché, in motivazione, Cass. Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023, Rv. 666639).
In definitiva, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P .R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 2.600, di cui € 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda