Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 14389 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 14389 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7889/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDICOGNOME, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
NOME, elettivamente domiciliato in INDICOGNOME, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDICOGNOME, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO NOME n. 4440/2020 depositata il 24/09/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 3 maggio 2024 dal consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
con atto di citazione del 9 maggio 2007 RAGIONE_SOCIALE convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Roma RAGIONE_SOCIALE.a. chiedendo il risarcimento del danno nella misura di Euro 50.409,00. Espose l’attrice quanto segue . RAGIONE_SOCIALE aveva ottenuto dal RAGIONE_SOCIALE di Roma numerose autorizzazioni per l’installazione di impianti pubblicitari, corrispondendo un canone al RAGIONE_SOCIALE e percependo un corrispettivo per i propri spazi dalle imprese che intendevano esporre manifesti pubblicitari. Nel giugno 2006 trentasette impianti pubblicitari del tipo ‘parapedonali’, che si trovavano lungo la INDICOGNOME, regolarmente autorizzati essendo di proprietà comunale e dati in concessione all’attrice, erano stati clandestinamente rimossi dalla società convenuta per la realizzazione
di lavori per conto del RAGIONE_SOCIALE di Roma. Nuovi impianti parapedonali erano stati quindi ricollocati dalla società attrice, che aveva dovuto provvedere ad acquistarli e metterli in opera. Chiamato in causa il RAGIONE_SOCIALE di Roma, cui l’attrice estese la domanda, il Tribunale adito rigettò la domanda, reputando non provato sia che gli impianti rimossi fossero di proprietà attrice ed installati sulla base di una concessione comunale (la società convenuta aveva affermato che non era riconoscibile l’apposita targhetta ), sia che fossero stati acquistati ed installati nuovi impianti in sostituzione di quelli rimossi (la fattura di acquisto era antecedente la rimozione). Avverso detta sentenza propose appello l’attrice. Con sentenza di data 24 settembre 2020 la Corte d’appello di Roma rigettò l’appello.
La corte territoriale osservò quanto segue: «in primo luogo non è vero che la convenuta in primo grado non abbia contestato la titolarità del diritto della RAGIONE_SOCIALE a richiedere il risarcimento essendo, in comparsa di costituzione della RAGIONE_SOCIALE, messo in dubbio il diritto della RAGIONE_SOCIALE in quanto gli impianti erano privi di targhetta identificativa. Anche il RAGIONE_SOCIALE, poi, attesta che gli impianti erano di proprietà comunale e soltanto “gestiti” dalla RAGIONE_SOCIALE Tale ammissione, tuttavia, non appare sufficiente ad esonerare, ad avviso della Corte, l’appellante dal dimostrare il rapporto concessorio intrattenuto con il RAGIONE_SOCIALE rispetto agli impianti rimossi nonché l’esistenza di autorizzazione alla loro nuova installazione. Il principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c. ha per oggetto i fatti storici sottesi alla domanda e non opera in difetto di specifica allegazione dei fatti che dovrebbero essere contestati. Nella specie, la società appellante, come correttamente rilevato dal Tribunale, non ha indicato specificatamente il titolo da essa vantato sui 37 impianti rimossi né tale lacuna può dirsi colmata dalle difese del RAGIONE_SOCIALE Roma che altrettanto genericamente ha allegato che i parapedonali erano di proprietà comunale e soltanto gestiti dalla società
appellante
. Sarebbe stato, invero, sufficiente il deposito degli atti di concessione e della documentazione inerente ai corrispettivi pagati a titolo di canone concessorio. Né alla mancata produzione dell’atto concessorio può supplirsi, trattandosi di atto per cui è richiesta la forma scritta ad substantiam, invocando il principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c. (tra le tante Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 25999 del 17/10/2018), né mediante prova testimoniale».
Aggiunse, quanto alla condanna alle spese disposta in primo grado, che il motivo per il quale si invocava la riforma con la previsione della compensazione appariva generico alla luce del disposto dell’art. 92 c.p.c., non essendo il riferimento al danno subito idoneo a consentire il controllo sulle circostanze a base della compensazione.
Ha proposto ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE sulla base di otto motivi e resistono con distinti controricorsi RAGIONE_SOCIALE e Roma Capitale. E’ stato fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 cod. proc. civ.. E’ stata presentata memoria.
Considerato che:
Preliminarmente va rilevata l’inammissibilità del controricorso proposto da Roma Capitale, sia perché la procura speciale prodotta non è relativa all’odierno ricorso, sia perché tardivamente notificato (a fronte del termine di scadenza del 3 maggio 2021, il controricorso è stato notificato in data 7 maggio 2021).
Con il primo motivo si denuncia violazione degli artt. 132 cod. proc. civ. e 111 Cost., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che la motivazione della sentenza è incomprensibile nella parte in cui si afferma ch e l’appellante non avrebbe indicato il titolo vantato sugli impianti e che non sarebbe provata l’esistenza di un atto autorizzatorio, nonostante il riconoscimento da parte del RAGIONE_SOCIALE dell’affidamento in gestione, il che implica l’esistenza dell’autorizzazi one, e nonostante la mole di
risultanze probatorie. Aggiunge che non risulta spiegato perché sarebbe ‘generica’ e comunque irrilevante l’ammissione da parte del RAGIONE_SOCIALE della legittimità dello sfruttamento commerciale da parte della ricorrente degli impianti in questione. Conclude nel senso dell’apparenza della motivazione.
Con il secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 132 cod. proc. civ. e 111 Cost., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che è stato omesso l’esame del motivo nell’atto di appello con cui era stato evide nziato che la società convenuta aveva ammesso di avere rimosso i parapedonali perché previsto dal progetto esecutivo dell’appalto e che l’eccezione sulla targhetta identificativa si riferiva solo alla presunta impossibilità per l’appellata di avvisare preventivamente l’appellante della rimozione. Aggiunge che nella sentenza vi sono affermazioni apodittiche che lasciano non spiegato in base a quale altro rapporto il RAGIONE_SOCIALE avrebbe potuto autorizzare la ricorrente a ‘gestire’ gli impianti e che risulta del tutto ignorata la CTU disposta in primo grado.
Con il terzo motivo si denuncia omesso esame del fatto decisivo e controverso ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.. Osserva la ricorrente, in via subordinata, che quanto osservato nel motivo precedente rileva anche quale omesso esame di fatto decisivo.
Con il quarto motivo si denuncia violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che vi è stato difetto di contestazione dei fatti storici chiaramente indicati nella citazione di primo grado, il che implica che devono essere ritenuti incontroversi.
Con il quinto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2725 cod. civ. e del R.D. n. 2440 del 1923, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che i limiti legali della prova valgono quando il contratto è invocato quale
fonte di diritti e obblighi, ma non quando, come nel caso di specie, quale fatto storico.
Con il sesto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che, dal punto di vista del fatto illecito, è irrilevante il titolo in base al qua le SRAGIONE_SOCIALE ‘gestisse’ gli impianti, risultando provato lo sfruttamento commerciale e che irrilevante è anche quando i nuovi impianti siano stati acquistati, perché risulta provato che essi sono stati utilizzati per sostituire quelli rimossi, mentre la fattura dimostrava solo il valore degli impianti.
Con il settimo motivo si denuncia violazione degli artt. 101, 115, 244 cod. proc. civ., 24 e 111 Cost., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che è errata anche la valutazione di irrilevanza della prova testimoniale e dell’in terrogatorio formale richiesti in via subordinata nell’atto di appello.
Con l’ottavo motivo si denuncia violazione dell’art. 92 cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che la motivazione è apparente anche in relazione alla invocata compensazione per le spese di primo grado perché il grave danno subito costituisce una specifica circostanza idonea a consentire il controllo sulle circostanze a base della compensazione.
Il primo ed il secondo motivo, da trattare congiuntamente, sono fondati per quanto di ragione.
Va premesso che è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed
obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. sez. U. n. 8053 del 2014).
Le censure in esame, nella parte in cui censurano la motivazione mediante il raffronto con le risultanze processuali, sono inammissibili. Sono invece fondate nella parte in cui evidenziano una obiettiva non percepibilità della ratio decidendi , tale da rendere apparente la motivazione. Non si comprende, in particolare, perché il riconoscimento da parte del RAGIONE_SOCIALE di una ‘gestione’ da parte della ricorrente degli impianti comporti la persistenza dell’onere probatorio circa l’esistenza del rapporto concessorio. In disparte l’esistenza dell’allegazione nell’atto di citazione della proprietà comunale degli impianti (si veda la trascrizione della citazione alle pagine 22 e 23 del ricorso), contrariamente al rilievo da parte della corte territoriale dell’assenza di indicazione del titolo vantato dall’attrice sugli impianti, e dunque l’inesistenza della lacuna sul piano delle allegazioni, non si comprende poi, anche a voler ipotizzare l’esistenza della lacuna, perc hé non spieghi efficacia sul piano del giudizio di fatto il riconoscimento da parte del RAGIONE_SOCIALE della proprietà comunale degli impianti e del fatto che fossero gestiti dalla società appellante, tale da richiedere comunque la produzione della concessione. Peraltro, non comprensibile è il richiamo al principio di non contestazione perché, anche a voler seguire il ragionamento della corte territoriale, non vi è stata vera contestazione da parte del RAGIONE_SOCIALE, avendo quest’ultimo allegato proprio la circostanza favorevole alla prospettazione difensiva attorea, e cioè la proprietà comunale degli impianti ed il loro affidamento in gestione all’attrice.
Si tratta di profili di incomprensibilità della ratio decidendi che conducono ad un giudizio di apparenza della motivazione, la quale si esaurisce, peraltro, proprio nelle affermazioni evidenziate, e di cui si è illustrata l’oscurità. L’incomprensibilità della motivazione non consente,
infine, di valutare se vi sia stata l’omessa pronuncia su motivo di appello, denunciata con il secondo motivo.
Il quinto motivo è fondato. Nella parte in cui la corte territoriale esclude che possa essere fornita la prova orale della concessione, fa evidentemente riferimento alla convenzione accessiva all’atto concessorio. Al riguardo va rammentato che i limiti legali di prova di un contratto per il quale sia richiesta la forma scritta “ad substantiam” o “ad probationem”, così come i limiti di valore previsti dall’art. 2721 c.c.per la prova testimoniale, operano esclusivamente quando il suddetto contratto sia invocato in giudizio come fonte di reciproci diritti ed obblighi tra le parti contraenti e non anche quando se ne evochi l’esistenza come semplice fatto storico influente sulla decisione del processo ed il contratto risulti stipulato non tra le parti processuali, ma tra una sola di esse ed un terzo (da ultimo Cass. n. 5880 del 2021).
La regolazione del rapporto fra RAGIONE_SOCIALE e società rileva, nel caso di specie, non come fonte di diritti ed obblighi, ma quale fatto storico rilevante ai fini del rapporto risarcitorio dedotto in giudizio dalla ricorrente per il fatto illecito che sarebbe stato asseritamente commesso dalla società convenuta. Di qui la non pertinenza del richiamo al limite probatorio che imporrebbe la prova documentale.
L’ottavo motivo è infondato. Non ricorre il vizio di motivazione apparente in relazione al mancato accoglimento del motivo di appello avente ad oggetto l’invocazione della compensazione delle spese del processo di primo grado. La ratio decidendi è chiaramente percepibile nella parte in cui si afferma che il riferimento al danno subito non è idoneo a consentire il controllo sulle circostanze a base della compensazione. In realtà, la censura mira a confutare il giudizio di fatto in ordine alla idoneità del danno subito a costituire ragione di compensazione, giudizio evidentemente riservato al giudice del merito, e non sindacabile in sede di legittimità.
L’accoglimento dei motivi precedenti determina l’assorbimento di terzo, quarto, sesto e settimo motivo.
P. Q. M.
Accoglie il primo, il secondo ed il quinto motivo di ricorso e rigetta l’ottavo motivo, con assorbimento per il resto del ricorso; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il giorno 3 maggio 2024