Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 6448 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 6448 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 32629/2019 R.G. proposto da:
COGNOME c.f. CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliato in Roma presso di Lui, nel suo studio in INDIRIZZO
ricorrente
contro
COGNOME c.f. CODICE_FISCALE, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma presso di Lui, nel suo studio in INDIRIZZO
contro
ricorrente Roma, avverso la sentenza n.5329/2019 della Corte d’Appello di depositata il 3-9-2019,
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28-22025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.NOME COGNOME, quale unico erede testamentario di NOME COGNOME, ha convenuto avanti il Tribunale di Roma NOME COGNOME deducendo che NOME COGNOME aveva contratto matrimonio con NOME COGNOME, madre di NOMECOGNOME e che NOME COGNOME
OGGETTO:
successione legittima prova del rapporto di coniugio
RG. 32629/2019
C.C. 28-2-2025
era deceduta lasciando quali unici eredi la figlia NOME COGNOME nata da precedente matrimonio- e il marito NOME COGNOME ha chiesto perciò la divisione dell’asse ereditario di NOME COGNOME
NOME COGNOME è rimasta contumace e con sentenza n. 5681/2017 il Tribunale di Roma ha rigettato la domanda, sulla base dell’assunto che l’allegato rapporto di coniugio con la defunta doveva essere provato mediante gli atti dello stato civile, che nella fattispecie l’attore non aveva prodotto.
NOME COGNOME ha proposto appello, che la Corte d’appello di Roma ha rigettato con sentenza n. 5329/2019 depositata il 3-9-2019.
La sentenza ha rigettato la richiesta dell’appellante di ammissione del giuramento decisorio e ha rigettato l’appello nella parte in cui aveva criticato la valutazione dei mezzi istruttori; ha dichiarato che la qualità di erede, quale titolo di vocazione nella successione legittima, doveva essere provata attraverso la produzione degli atti di stato civile dai quali risultasse il rapporto di parentela e che solo in caso di impossibilità di produrre gli atti dello stato civile la prova poteva essere data con qualsiasi mezzo, ma nel caso di specie non era stato provato lo smarrimento o la distruzione dell’atto di stato civile.
2.Avverso la sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di sei motivi.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380bis.1 cod. proc. civ. e in prossimità dell’adunanza in camera di consiglio la controricorrente ha depositato memoria illustrativa.
All’esito della camera di consiglio del 28-2-2025 la Corte ha riservato il deposito dell’ordinanza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 co. 1 n.3 cod. proc. civ. ‘ per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116
c.p.c., artt. 74 c.c., 565 c.c., 2697 c.c., 2700 c.c.’, la ricorrente evidenzia che in primo grado, nel termine per il deposito dei documenti, aveva prodotto l’atto di compravendita rogato il 30 -10-2012 dal notaio NOME COGNOME avente a oggetto una casa sita in Catania facente parte dell’asse ereditario di NOME COGNOME nel quale erano venditori NOME COGNOME e NOME COGNOME, quali eredi di NOME COGNOME e NOME COGNOME era dichiarato proprietario della quota di 8/22 in virtù della successione legittima della moglie NOME COGNOME Il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata, dichiarando che la qualità di erede debba essere provata attraverso gli atti dello stato civile, non abbia applicato i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità secondo i quali anche la produzione di dichiarazione sostitutiva di atto notorio o documenti possono provare la qualità di erede, richiamando in tal senso Cass. Sez. U 12065/2014 e Cass. 15026/2019. Evidenzia che la dichiarazione presente nell’atto notarile del 2012 circa il rapporto di coniugio tra NOME COGNOME e NOME COGNOME abbia valenza equipollente, se non superiore, a quella della dichiarazione sostitutiva di atto notorio; quindi rileva che la Corte d’appello avrebbe dovuto considerare tale dato, anche alla luce del comportamento processuale di NOME COGNOME la quale in appello si era limitata a dichiarare che NOME COGNOME non aveva diritto alla ripartizione dell’eredità di NOME COGNOME e perciò a eseguire una contestazione generica.
2.Con il secondo motivo proposto ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ. il ricorrente deduce ‘ omessa motivazione su un punto decisivo della controversia che era stato oggetto di discussione tra le parti’ ; rileva che in primo grado aveva prodotto il doc. 3 denominato ‘lettera della Sig.ra NOME del 29 -92006′, nella quale la stessa NOME NOMECOGNOME rivolgendosi a NOME COGNOME, dichiarava ‘…certo ricorderai che mamma, prima che vi sposaste …’ , e aveva prodotto anche il rogito del 30-10-2012, nel quale si dava atto del
diritto successorio; lamenta che la Corte d’appello abbia omesso l’esame di entrambi i documenti e rileva che la sentenza di primo e quella di secondo grado hanno motivazione difforme.
3.Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 4 cod. proc. civ. il ricorrente sostiene che ‘ non aver valutato le prove documentali offerte’, integri errore processuale e quindi ulteriormente evidenzia di avere prodotto la lettera di cui al doc. 3, il verbale di pubblicazione del testamento olografo di NOME COGNOME a favore di NOME COGNOME e il rogito del 30-10-2012.
4.Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ. ‘ per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 2697 c.c.’, il ricorrente ulteriormente deduce di avere depositato il rogito del 30-10-2012 e la lettera del 29-9-2006; rileva che il rapporto di coniugio, oltre a non essere stato contestato in primo grado dalla parte contumace, non era stato contestato specificamente in appello dall’appellata costituitasi, perché l’appellata si era limitata a dedurre che Michele COGNOME non aveva alcun diritto sull’eredità di NOME COGNOME sostiene che il principio di non contestazione di cui all’art. 115 cod. proc. civ. debba essere applicato anche in appello e che quindi la Corte d’appello abbia errato nel non considerare come provato il rapporto di coniugio.
5.Con il quinto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 4 cod. proc. civ. ‘ per violazione dell’art. 116 c.p.c.’, il ricorrente dichiara che la lettera 29-9-2006 a firma di NOME COGNOME non era stata oggetto di disconoscimento né ai sensi dell’art. 2719 cod. civ. né ai sensi dell’art. 215 cod. proc. civ. ; sostiene che la lettera costituisca una forma di confessione stragiudiziale ai sensi dell’art. 2735 cod. civ., fatta direttamente alla parte e perciò con lo stesso valore di prova legale della confessione giudiziale.
6.Con il sesto motivo, proposto ‘ ai sensi e per gli effetti dell’art. 360 n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 132 co.2 n. 4 c.p.c. e all’art. 118 co.1 disp. att. c.p.c.’, il ricorrente lamenta che la sentenza, senza entrare nel merito della controversia e della documentazione prodotta e senza fare alcun riferimento ai motivi di appello, abbia una motivazione astratta, avulsa dal caso concreto e perciò meramente apparente.
7.Deve essere esaminato per primo il sesto motivo di ricorso, che è manifestamente infondato in quanto, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, la motivazione della sentenza impugnata non è apparente e soddisfa pienamente il minimo costituzionale entro il quale è circoscritto il sindacato di legittimità (cfr. Cass. Sez. U 7-42014 n. 8053 Rv. 629830-01, Cass. Sez. 3 12-10-2017 n. 23940 Rv. 645828-01, Cass. Sez. 1 3-3-2022 n. 7090 Rv. 664120-01, per tutte). Infatti, è evidente che, nel momento in cui la sentenza ha dichiarato che il rapporto di coniugio che costituiva titolo della successione legittima doveva essere necessariamente provato attraverso gli atti dello stato civile, nella fattispecie non prodotti senza dedurne lo smarrimento o la distruzione, non aveva ragione di prendere in esame gli altri documenti e le risultanze istruttorie sulla base delle quali l’appellante pretendeva di provare tale rapporto di coniugio.
8.Ne consegue che deve essere esaminato il primo motivo, al fine di accertare se il principio sul quale la sentenza impugnata ha basato la decisione sia effettivamente corretto, a fronte di quanto sostiene il ricorrente.
Il primo motivo è infondato, in quanto è acquisito nella giurisprudenza di legittimità il principio, al quale deve essere data continuità, secondo il quale, in tema di successione legittima, il rapporto di parentela e di coniugio con il de cuius, quale titolo che, a norma dell’art. 565 cod. civ., conferisce la qualità di erede, deve essere
provato tramite gli atti dello stati civile; quando tali atti manchino o siano andati distrutti o smarriti o omettano la registrazione di un atto, la prova dei fatti oggetto di registrazione -quali la nascita, la morte o il matrimonio-può essere data con q ualsiasi mezzo ai sensi dell’art. 452 cod. civ. (Cass. Sez. 2 6-10-1973 n. 2506 Rv. 365944-01, Cass. Sez. 2 10-2-1995 n. 1484 Rv. 490370-01, Cass. Sez. 2 4-5-1999 n. 4414 Rv. 525973-01, Cass. Sez. 2 29-3-2006 n. 7276 Rv. 587734-01, Cass. Sez. 2 14-10-2020 n. 22192 Rv. 659330-01, Cass. Sez. 2 12-7-2024 n. 19254 Rv. 671727-01). Quindi, è soltanto l’impossibilità per chi vanti la qualità di erede di produrre in giudizio gli atti di stato civile, per fatti indipendenti dalla sua volontà, a non giustificare il diniego della vocazione ereditaria in favore di colui che è designato erede dalla legge; la disposizione dell’art. 452 cod. civ. , per il carattere generale e astratto del suo dettato, serve a sopperire, anche nel processo, all’esigenza di prova che potrà essere data con qualsiasi mezzo, nel ricorrere dei presupposti in essa previsti -mancanza, distruzione, smarrimento dei registri dello stato civile o mancanza per qualsiasi ragione di registrazione o di annotazione del matrimonio-.
Non pone alcun principio di segno diverso Cass. Sez. U 29-5-2014 n. 12065 (Rv. 630997-01) richiamata dal ricorrente che, con riguardo alla prova della qualità di erede che deve fornire colui che intervenga in un giudizio o lo riassuma a seguito di interruzione assumendo di essere erede di una delle parti originarie del giudizio, ha confermato che la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà di cui agli artt. 46 e 47 d.P.R. 28-12-2000 n. 445 non costituisce di per sé idonea prova di tale qualità, esaure ndo i suoi effetti nell’ambito dei rapporti con la Pubblica Amministrazione e nei relativi procedimenti amministrativi.
9.Le Sezioni Unite con la sentenza n. 12065/2014 hanno altresì rilevato e la questione si sposta all’ambito di applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ. posta dal quarto motivo di ricorso- che il giudice deve,
ove sia prodotta la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà , valutare adeguatamente, anche ai sensi dell’art. 115 cod. proc. civ. come novellato dalla legge 69/2009, in conformità del principio di non contestazione, il comportamento in concreto assunto dalla parte nei cui confronti la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà viene fatta valere, con riferimento alla verifica della contestazione o meno della predetta qualità di erede e, in ipotesi affermativa, al grado di specificità di tale contestazione, strettamente correlato e proporzionato al livello di specificità del contenuto della dichiarazione sostitutiva suddetta (nello stesso senso, Cass. Sez. 6-3 10-5-2018 n. 11276 Rv. 64891601 e Cass. Sez. 2 31-5-2019 n. 15026, non massimata pagg. 16 e 17).
Nella fattispecie è pacifico che non è neppure stata prodotta dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, in quanto il ricorrente sostiene che lo stesso principio enunciato dalle Sezioni Unite debba valere per i documenti che egli ha prodotto . E’ altresì pacifico che l’appellata NOME COGNOME nel momento in cui si è costituita in appello, ha contestato che NOME COGNOME fosse erede di sua madre e si esclude che la sentenza impugnata, nel non esaminare il grado di tale contestazione, sia incorsa nella violazione dell’art. 115 cod. proc. civ.: come enunciato dalle Sezioni Unite, il grado di specificità della contestazione è strettamente correlato e proporzionato al livello di specificità del contenuto della dichiarazione da contestare e nella fattispecie i documenti ai quali si riferisce il ricorrente, secondo la sua stessa tesi, contenevano soltanto l’affermazione che NOME COGNOME era erede in qualità di coniuge di NOME COGNOME e ciò comporta che era sufficiente alla controparte contestare tale qualità. Infatti, il ricorrente non allega che la sua affermazione sulla qualità di coniuge in capo a NOME COGNOME fosse stata corroborata dall’individuazione della data e del luogo del matrimonio di NOME COGNOME con NOME COGNOME nonché dal l’ind ividuazione delle modalità con le quali NOME COGNOME
avesse riacquistato lo stato libero che le consentiva il nuovo matrimonio; considerato che lo stesso ricorrente allega che NOME COGNOME era figlia di NOME COGNOME nata da precedente matrimonio’ , l’allegazione della morte del primo marito, o dell’intervenuto divorzio, erano elementi che avrebbero circostanziato l’allegazione dell’attore e avrebbero quindi imposto una contestazione specifica della controparte; ugualmente, il ricorrente non allega una qualche ragione per la quale abbia ritenuto di fondare la prova del rapporto di coniugio soltanto sui documenti prodotti in causa, anziché ricorrere alla produzione degli atti di stato civile, né allega una qualche ragione che impedisse o rendesse anche soltanto difficoltoso l’acquisizione degli atti di stato civile. Quindi, a fronte della carenza di specificità delle allegazioni dell’attore appellante, la Corte d’appello non aveva ragione di richiedere un maggiore livello di specificità alla contestazione dell’appellata.
Ne consegue che, per le ragioni esposte, è infondato il quarto motivo di ricorso.
10. Procedendo all’esame de l quinto motivo, con il quale il ricorrente sostiene che la lettera 29-9-2006 sottoscritta da NOME Geremia avesse valore di confessione, in primo luogo si rileva che il motivo presenta profili di inammissibilità per novità della censura. La sentenza impugnata non esamina la questione del valore di confessione di quella lettera e il ricorrente, seppure deduca di avere prodotto quella lettera già in primo grado, non sostiene di averne allegato anche il valore di prova legale, in quanto avente contenuto di confessione stragiudiziale eseguita alla parte e perciò da equiparare alla confessione giudiziale. Diversamente, al fine di evitare il rilievo di inammissibilità della censura per novità, il ricorrente avrebbe dovuto allegare di avere dedotto già nel giudizio di merito che la lettera integrasse prova legale, specificando in quali atti di causa e in quali
termini avesse sostenuto la tesi (Cass. Sez. 2 9-8-2018 n. 20694 Rv. 650009-01, Cass. Sez. 6-1 13-6-2018 n. 15430 Rv. 649332-01).
Ad ogni modo, il motivo risulta anche manifestamente infondato, perché il ricorrente pretende di attribuire il valore di dichiarazione confessoria del rapporto di coniugio tra NOME COGNOME e NOME COGNOME a quanto la figlia di NOME COGNOME aveva scritto nella lettera del 29-9-2006, allorché la madre era ancora in vita, essendo il suo decesso collocato dallo stesso ricorrente in data 2-11-2008. Infatti, una dichiarazione è qualificabile come confessione soltanto quando sussistano un elemento soggettivo, consistente nella consapevolezza e volontà di ammettere e riconoscere la verità di un fatto a sé sfavorevole e favorevole all’altra parte, e un elemento oggettivo, che si ha qualora dall’ammissione del fatto obiettivo, il quale forma oggetto della confessione escludente qualsiasi contestazione sul punto, derivi un concreto pregiudizio all’interesse del dichiarante e, al contempo, un corrispondente vantaggio nei confronti del destinatario della dichiarazione (Cass. Sez. L 23-5-2018 n. 12798 Rv. 648983-01, Cass. Sez. U 25-3-2013 n. 7381 Rv. 62555901). L’elemento soggettivo e l’elemento oggettivo vanno evidentemente valutati nel momento in cui la dichiarazione è stata resa e quindi non sono neppure in linea astratta individuabili nel caso in cui la dichiarazione di cui si pretende il valore confessorio sia stata resa prima dell’insorgere della controversia tra le parti.
11.Dalle ragioni esposte consegue, in via assorbente rispetto a ogni ulteriore questione, la manifesta infondatezza anche del secondo e del terzo motivo di ricorso. In mancanza anche d ell’allegazione in ordine alla distruzione o allo smarrimento degli atti di stato civile attestanti il rapporto di coniugio in capo al soggetto che vantava la qualità di erede legittimo, contestata dalla controparte, legittimamente la Corte d’appello non ha proceduto a esaminare gli altri documenti dai
quali il ricorrente pretendeva di trarre la prova della qualità di coniuge della de cuius in capo a NOME COGNOME.
12.In conclusione il ricorso è integralmente rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
In considerazione dell’esito del ricorso, ai sensi dell’art. 13 co . 1quater d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente alla rifusione a favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 6.000,00 per compensi, oltre 15% dei compensi a titolo di rimborso forfettario delle spese, iva e cpa ex lege.
Sussistono ex art.13 co.1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n.115 i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co.1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione