Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 17338 Anno 2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Civile Ord. Sez. 3 Num. 17338 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/06/2025
SEZIONE TERZA CIVILE
composta dai signori magistrati:
Oggetto:
dott. NOME COGNOME
Presidente
RESPONSABILITÀ CIVILE INGIURIA
dott. NOME COGNOME
Consigliere
dott. NOME COGNOME
Consigliere
dott. NOME COGNOME
Consigliere relatore
Ad. 24/04/2025 C.C.
dott. NOME COGNOME
Consigliere
R.G. n. 1394/2023
ha pronunciato la seguente
Rep.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 1394 del ruolo generale dell’anno 2023, proposto da
COGNOME NOME (C.F.: TARGA_VEICOLO)
avvocat o costituito personalmente in giudizio ai sensi dell’art. 86 c.p.c.
-ricorrente-
nei confronti di
NOME NOME COGNOMEC.F.: LBR MMM 57M52 F549J)
rappresentata e difesa dall’avvocat o NOME COGNOMEC.F.: NCN CODICE_FISCALE
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza del Tribunale di Arezzo n. 1005/2023, emessa in data 30 settembre 2022 e comunicata alle parti in data 3 ottobre 2022;
udita la relazione sulla causa svolta alla camera di consiglio del 24 aprile 2025 dal consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa
L’avvocato NOME COGNOME ha agito in giudizio nei confronti di NOME COGNOME per ottenere il risarcimento dei danni morali che quest’ultima gli avrebbe causato mediante una condotta illecita ingiuriosa.
La domanda è stata accolta dal Giudice di Pace di Arezzo.
Il Tribunale di Arezzo, in riforma della decisione di primo grado, l’ha invece rigettata .
Ricorre lo COGNOME, sulla base di tre motivi.
Resiste con controricorso la COGNOME.
È stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis .1 c.p.c..
Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380 bis .1 c.p.c..
Ragioni della decisione
Con il primo motivo del ricorso si denunzia « nullità della sentenza in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., in conformità ai principi giurisprudenziali in merito al dolo dell’ingiuria e alla prova del danno morale, per violazione e/o falsa applicazione di norme del diritto; nonché per violazione del l’art. 132, co. 2, n. 4, c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., per avere affermato che: ‘L’odierno appellato non ha (…) adeguatamente provato l’elemento soggettivo necessario ad integrare l’ingiuri a, né ha adeguatamente provato, neppure tramite presunzioni, il danno morale conseguente alla lesione dell’onore e della reputazione’ ».
Il motivo va complessivamente disatteso.
1.1 Il ricorrente sostiene, in primo luogo, che non sarebbe necessario il dolo specifico per integrare l’illecito di ingiuria, essendo necessario il solo dolo generico.
La censura non coglie adeguatamente l’effettiva ratio decidendi alla base della statuizione impugnata e, comunque, non risulta sufficientemente specifica.
Il Tribunale ha affermato che non sarebbe stato provato il necessario elemento soggettivo dell’illecito, costituito dal dolo; non ha affatto ritenuto necessario il dolo specifico, come parrebbe affermarsi nel motivo di ricorso in esame.
Non vi è dubbio né che l’elemento soggettivo del dolo sia necessario ai fini dell’illecito in questione, né che esso debba
essere provato dall’attore che si assume danneggiato da tale illecito.
La motivazione della statuizione impugnata è, pertanto, sotto il profilo in esame, da ritenere certamente conforme a diritto e, d’altra parte, essa consente, come è evidente, di comprendere adeguatamente il percorso argomentativo alla sua base e, di conseguenza, non può ritenersi né meramente apparente, né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, onde non è sindacabile nella presente sede, trattandosi, del resto, di una valutazione delle prove, riservata al giudice del merito che non può essere censurata in sede di legittimità.
La mancanza di prova in ordine all’elemento soggettivo dell’illecito che avrebbe provocato i danni allegati dall’attore è, di per sé, sufficiente per escludere la sussistenza del predetto illecito e, di conseguenza, per escludere il diritto al risarcimento dei danni stessi, assorbendo ogni altra questione.
1.2 Per completezza di esposizione, può, comunque, ulteriormente osservarsi che è in parte inammissibile ed in parte manifestamente infondata anche l’ulteriore censura formulata con il motivo di ricorso in esame, relativamente alla statuizione con la quale il Tribunale ha escluso che fosse stata fornita sufficiente prova e, ancor prima, adeguata allegazione del danno morale del quale era stato chiesto il risarcimento.
Sotto tale profilo, infatti, la decisione impugnata risulta, in primo luogo, sostenuta da motivazione certamente adeguata, non meramente apparente, né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, il che esclude che possa ritenersi fondata la prospettata censura di violazione dell’art. 132, co mma 2, n. 4, c.p.c. , non essendo, d’altra parte, neanche indicate altre eventuali norme di diritto che si assumerebbero violate.
La decisione stessa è, inoltre, certamente conforme ai consolidati principi di diritto costantemente enunciati da questa Corte (che il ricorso non offre ragioni idonee ad indurre a rimeditare)
secondo i quali il danno, sia patrimoniale che non patrimoniale e, in particolare, lo stesso danno morale, va sempre provato (quanto meno sulla base di presunzioni) e non può mai ritenersi sussistente di per sé, in re ipsa , solo sulla base della astratta lesione dei diritti fondamentali che integra la condotta illecita imputata al danneggiante (cfr., ex multis : Cass., Sez. 3, Sentenza n. 20987 del l’ 8/10/2007, Rv. 599820 -01; Sez. 3, Sentenza n. 10527 del 13/05/2011, Rv. 618207 -01; Sez. 3, Sentenza n. 13614 del 21/06/2011, Rv. 618822 -01; Sez. L, Sentenza n. 7471 del 14/05/2012, Rv. 622793 -01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 21865 del 24/09/2013, Rv. 627750 -01; Sez. 3, Sentenza n. 11269 del 10/05/2018, Rv. 648606 -01).
D’altra parte, per il profilo in esame, la censura risulta anche viziata da insufficiente specificità, dal momento che, di fronte all’affermazione del Tribunale secondo la quale il danno morale subito non sarebbe stato adeguatamente allegato (ancor prima che provato) dall’attore, ed in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., la parte ricorrente non richiama in modo sufficientemente puntuale il contenuto dei propri atti difensivi dai quali eventualmente possa emergere che siffatte specifiche allegazioni, in proposito, erano state, in realtà, adeguatamente effettuate.
Con il secondo motivo si denunzia « nullità della sentenza in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., in conformità ai principi giurisprudenziali in merito all’ammissibilità della prova testimoniale, per violazione e/o falsa applicazione di norme del diritto; nonché per violazione dell’art. 13 2, co. 2, n. 4, c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., per avere affermato che: ‘L’odierno appellato non ha (…) adeguatamente provato, neppure tramite presunzioni, il danno morale conseguente alla lesione d ell’onore e della reputazione (…). Tale lacuna non può essere colmata neppure con le istanze istruttorie avanzate da NOME COGNOME, essendo le stesse inammissibili: è stato
infatti chiesto di ammettere quali testi il cancelliere, il Pubblico Ministero e il Giudice del sopra richiamato procedimento penale n. r.g. 496/2017′ ».
Il motivo è inammissibile, ancor prima che infondato.
È sufficiente rilevare (sempre per ragioni di completezza di esposizione, atteso il già richiamato carattere assorbente della mancata prova dell’elemento soggettivo dell’illecito) che, in primo luogo, il ricorrente non richiama puntualmente il contenuto dei capitoli di prova testimoniale dei quali lamenta la mancata ammissione (comunque relativi alla prova del danno), il che già sarebbe, di per sé, ragione di inammissibilità della censura.
D’altra parte, egli stesso afferma, in sostanza, che le circostanze sulle quali i testimoni da lui indicati avrebbero dovuto rendere deposizione erano in realtà attestate da atti pubblici facenti prova fino a querela di falso ed erano, addirittura, del tutto pacifiche.
Dunque, non vi è dubbio che la prova orale richiesta fosse inammissibile e che, in ogni caso, il ricorrente non ha interesse effettivo all’impugnazione, sotto il profilo dedotto con il motivo di ricorso in esame.
Con il terzo motivo si denunzia « nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 7 del 2016, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.; per aver affermato ‘3. (…) la contraddittorietà della sentenza del primo Giudicante nella parte in cui, pur avendo riconosciuto la sussistenza dello stato d’ira in capo alla COGNOME, ha ritenuto che tale stato operasse come mera attenuante e non invece -correttamente -come causa di esclusione della punibilità. Giova infatti ricordare che ai sensi dell’art. 4 d.lgs. n. 7 del 2016 il significato dell’art. 4 ‘non è sanzionabile chi ha commesso il fatto previsto dal primo comma lettera a) del presente articolo, nello stato
d’ira determinato dal fatto ingiusto altrui, e subito dopo di esso’ ».
Anche questo motivo è inammissibile.
Si ribadisce che il mancato accoglimento delle censure formulate con i motivi che precedono è assorbente, ai fini dell’esito del ricorso, essendo stati correttamente esclusi dal giudice di merito sia la sussistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito imputato alla convenuta, sia il conseguente danno, onde il profilo oggetto delle censure svolte con il motivo di ricorso in esame resterebbe in ogni caso assorbito.
Ancora una volta per completezza di esposizione è, peraltro, opportuno rilevare che è certamente conforme a diritto l’osservazione svolta dal Tribunale, quale giudice di appello, in ordine alla configurazione dello stato d’ira ( determinato da un fatto ingiusto altrui, subito dopo di esso ) previsto dall’art. 4, comma 3, del decreto legislativo 5 gennaio 2016 n. 7, quale causa di non punibilità per l’illecito di ingiuria, e non, invece, come mera attenuante.
D’altra parte, l’osservazione in questione, pur avendo il Tribunale individuato, sotto tale aspetto, un profilo di contraddittorietà, sul piano giuridico, nella decisione di primo grado, non è stata seguita dall’affermazione della sussistenza, in positivo, della suddetta causa di non punibilità, nel caso di specie, da parte dello stesso Tribunale (quale giudice di secondo grado), onde, non si tratta di una affermazione che può ritenersi costituire realmente ratio decidendi , relativamente al rigetto della do manda risarcitoria e, di conseguenza, non sussisterebbe l’interesse ad impugnare neanche sotto il profilo in esame.
4. Il ricorso è rigettato.
Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o
improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, co. 1 quater , del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.
Per questi motivi
La Corte:
-rigetta il ricorso;
-condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, liquidandole in complessivi € 1.100,00, oltre € 200,00 per esborsi, nonché spese generali ed accessori di legge.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, comma 1 quater , del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, per il versamento al competente ufficio di merito, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Ci-