Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 2897 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 2897 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 31/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23934/2021 (cui è riunito l’atto iscritto al n.NUMERO_DOCUMENTO R.G.)
proposto da
NOME COGNOME , in proprio e quale erede di NOME COGNOME ; rappresentata e difesa dall’ AVV_NOTAIO ( ), in virtù di procura su foglio separato;
-ricorrente-
nei confronti di
NOME COGNOME ; rappresentato e difes o dall’AVV_NOTAIO ( ), in virtù di procura in calce al
contro
ricorso;
-controricorrente –
Corte di Cassazione – copia non ufficiale
nonché di
C.C. 13.11.2023 N. R.G. 23934/2021 Pres. RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE COGNOME
NOME COGNOME ; rappresentato e difeso dall ‘ AVV_NOTAIO ( ), in virtù di procura apposta al controricorso;
-controricorrente-
e di
NOME COGNOME ;
-intimato-
per la cassazione della sentenza n. 626/2021 del la CORTE d’APPELLO di TORINO, pubblicata il 4 giugno 2021, notificata il 14 giugno 2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13 novembre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Asti, NOME COGNOME e NOME COGNOME, quali eredi di NOME COGNOME, nonché NOME COGNOME e NOME COGNOME, deducendo che:
aveva partecipato, insieme a NOME COGNOME e NOME COGNOME, ai festeggiamenti per il Capodanno 2003, svoltisi presso un hotel di Asti;
in vista di questi festeggiamenti, NOME COGNOME si era recato presso l’ armeria COGNOME , in quell’epoca gestita da NOME COGNOME, ed aveva acquistato dei fuochi pirici non liberamente vendibili ai privati cittadini;
nella serata del 31 dicembre 2003, nel corso dei festeggiamenti, NOME COGNOME aveva acceso uno dei fuochi, denominato ‘RAGIONE_SOCIALE Crisantemo ‘ di IV categoria, in modo imprudente, cosicché egli era stato investito della detonazione che ne era seguita, subendo gravi lesioni personali;
C.C. 13.11.2023 N. R.G. 23934/2021 Pres. RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE COGNOME
sia i suoi compagni di festeggiamenti, NOME COGNOME e NOME COGNOME, sia l’armiere NOME COGNOME erano stati sottoposti a procedimento penale, per i reati di lesioni personali colpose (art. 590 cod. pen.) e, il secondo, per il reato di vendita di artifici pirici a soggetto privo di autorizzazione al porto ed alla detenzione (art. 35 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza di cui al R.D. n.773 del 1931 e succ. mod.);
nelle more del giudizio penale, in cui egli si era costituito parte civile, era deceduto NOME COGNOME, cosicché nei confronti di quest’ultimo era stata emessa pronuncia di non doversi procedere per estinzione del reato, mentre le statuizioni penali di condanna erano state emesse soltanto nei confronti di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, che, con sentenza passata in giudicato, erano stati anche condannati in via generica al risarcimento del danno da lui subìto, con rimessione davanti al giudice civile e con liquidazione di una provvisionale di Euro 50.000, che egli aveva debitamente percepito.
Sulla base di queste deduzioni, NOME COGNOME domandò, pertanto, che NOME COGNOME e NOME COGNOME, quali eredi di NOME COGNOME, nonché NOME COGNOME e NOME COGNOME, venissero condannati, in solido, al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale da lui complessivamente subìto.
Il Tribunale di Asti, con sentenza 26 settembre 2019, n. 815, accolse la domanda e condannò tutti i convenuti, in solido tra loro, a pagare all’attore , a titolo di risarcimento del danno, la somma di circa 256.000 Euro, oltre accessori.
Propose appello NOME COGNOME, in proprio e quale erede di NOME COGNOME, nel frattempo deceduta.
C.C. 13.11.2023 N. R.G. 23934/2021 Pres. RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE COGNOME
La Corte d’appello di Torino, con sentenza 4 giugno 2021 , n. 626, ha rigettato l’impugnazione, sui rilievi:
Iche correttamente il Tribunale civile aveva valutato le emergenze istruttorie a sua disposizione, dando conto, in particolare, del contenuto della sentenza resa all’esito del dibattimento penale e correttamente affermando che dalla stessa emergeva la prova della sussistenza dei fatti ascritti a NOME COGNOME, con conseguente sussistenza, a suo carico -indipendentemente dall’accertamento della sua responsabilità penale -degli elementi costitutivi dell’illecito aquiliano, ex art. 2043 c od. civ., donde era sorta l’obbligazione risarcitoria trasmessa alle sue eredi, di cui il danneggiato NOME COGNOME aveva invocato l’adempimento ;
IIche, in particolare, sussisteva la prova del fatto che NOME COGNOME aveva venduto degli artifici pirici ad un soggetto (NOME COGNOME) non legittimato alla loro detenzione ed al loro trasporto, così concorrendo a cagionare le lesioni poi subite da NOME COGNOME e commettendo un illecito extracontrattuale di cui dovevano rispondere i suoi eredi;
IIIche, in termini generali, il giudice civile, in assenza di divieti di legge, ben può formare il proprio convincimento anche in base a prove atipiche , come quelle raccolte in un altro giudizio tra le stesse o tra altre parti, delle quali la sentenza ivi pronunciata costituisce documentazione, fornendo adeguata motivazione della relativa utilizzazione, senza che rilevi la divergenza delle regole, proprie di quel procedimento, relative all ‘ ammissione e all ‘ assunzione della prova;
IVche deve pertanto escludersi che la sentenza penale non possa di per sé costituire fonte di convincimento del giudice civile, pur in assenza di ulteriori riscontri, per lo meno nei limiti in cui nella stessa
C.C. 13.11.2023 N. R.G. 23934/2021 Pres. RAGIONE_SOCIALE. RAGIONE_SOCIALE siano adeguatamente illustrati i fatti accertati all’esito del giudizio penale, le emergenze istruttorie ed i motivi della decisione;
Vche, nel caso di specie, la sentenza penale illustrava adeguatamente gli elementi a sostegno della decisione, atteso che a carico di NOME COGNOME erano emersi i seguenti elementi di prova: i) le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio da NOME COGNOME, che aveva confessato di essere stato lui ad acquistare i fuochi pirotecnici, precisando di averli acquistati presso l’armeria RAGIONE_SOCIALE; ii) le dichiarazioni di NOME COGNOME, fratello della persona offesa, il quale aveva riferito di essersi recato presso l’armeria COGNOME verso la fine del febbraio 2004, ove aveva acquistato dei razzi simili a quelli utilizzati la notte di Capodanno, appartenenti alla ‘quarta categoria’ e, dunque, non oggetto di libera vendita; iii) la conseguente inattendibilità delle dichiarazioni rese da NOME COGNOME alla Polizia Giudiziaria, nella parte in cui aveva riferito che non deteneva artifici pirici vietati; iiii) le sommarie informazioni rese da tale NOME COGNOME, che aveva riferito di avere raccolto, la mattina del 1° gennaio 2004, i residui di carta e di cartone dei razzi (tutti uguali fra loro) e di avere conservato la punta di uno dei razzi esplosi, che aveva poi consegnato alla Polizia Giudiziaria;
VIche, ancora, le ricordate dichiarazioni di NOME COGNOME, rese in qualità di testimone nel processo penale, erano attendibili, in quanto ‘riscontrate’ da uno ‘scontrino’ di acquisto prodotto in giudizio dallo stesso danneggiato e in quanto i razzi acquistati dal dichiarante erano stato oggetto di accertamenti peritali che ne avevano accertato l’appartenenza alla ‘quarta categoria’, ovverosia alla categoria dei fuochi di cui era vietata la libera vendita.
C.C. 13.11.2023 N. R.G. 23934/2021 Pres. RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE COGNOME
Per la cassazione della sentenza della Corte piemontese ricorre NOME COGNOME, sulla base di sette motivi. Rispondono con controricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME. Non svolge difese in questa sede di legittimità NOME COGNOME, che resta intimato.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale, ai sensi dell’art.380 -bis .1 cod. proc. civ..
Il pubblico ministero presso la Corte non ha depositato conclusioni scritte.
Le tre parti costituite hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente si dà atto che, con separata ordinanza resa all’esito della camera di consiglio, si è disposta la riunione, ai sensi dell’art.335 cod. proc. civ., del ricorso contrassegnato con il n. NUMERO_DOCUMENTO R.G., più recente, al ricorso più risalente, contrassegnato con il n. NUMERO_DOCUMENTO R.G..
Con il primo motivo viene denunciata , ai sensi dell’art.360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione degli artt. 150 cod. pen. e 116 cod. proc. civ..
La ricorrente censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che la sentenza emessa nel procedimento penale costituisse prova atipica nei confronti suoi e della deceduta NOME COGNOME, non ostante si trattasse di una sentenza che attestava l’estinzione del reato imputato a NOME COGNOME.
Richiamando argomenti già sviluppati nei precedenti gradi di giudizio, NOME COGNOME sostiene, in sintesi, in primo luogo, l’inconferenza de i riferimenti all ‘ efficacia probatoria, in sede civile, delle sentenze penali di patteggiamento, atteso che la posizione di NOME COGNOME non era stata definita in sede penale con pena patteggiata, bensì
C.C. 13.11.2023 N. R.G. 23934/2021 Pres. RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE COGNOME
con pronuncia di non doversi procedere per estinzione del reato a seguito di morte dell’imputato; evidenzia, in secondo luogo, che, comunque, la sentenza penale di patteggiamento non ha, nel giudizio civile, l’ efficacia di una sentenza di condanna, sicché, a fortiori , non potrebbe essere attribuita tale efficacia ad una sentenza di non doversi procedere.
1.1. Il motivo è infondato.
1.1.a. Non è dubbio che la sentenza di patteggiamento, al contrario di quella di condanna e di assoluzione (cfr., rispettivamente, gli artt. 651 e 652 cod. proc. pen.) non ha efficacia di giudicato nel giudizio civile di danno; tuttavia, essa nel giudizio civile può essere assunta come elemento di prova di cui il giudice può tenere conto, non essendogli precluso di valutare autonomamente, nel contraddittorio tra le parti, ogni elemento dotato di efficacia probatoria, in ragione dell ‘ assenza di un principio di tipicità della prova nel giudizio civile e della possibilità delle parti di contestare, in detto giudizio, i fatti accertati in sede penale (cfr., da ultimo, Cass.07/11/2023, n.31010).
Più in generale -come correttamente ritenuto dalla Corte territoriale -il giudice civile, in assenza di divieti di legge, può formare il proprio convincimento anche in base a prove atipiche , come quelle raccolte in un altro giudizio tra le stesse o tra altre parti, delle quali la sentenza ivi pronunciata costituisce documentazione, fornendo adeguata motivazione della relativa utilizzazione, senza che rilevi la divergenza delle regole, proprie di quel procedimento, relative all ‘ ammissione e all ‘ assunzione della prova ( ex aliis , Cass. 20/01/2015, n.840; Cass.10/10/2018, n.25067).
Pertanto, l’ argumentum a fortiori utilizzato dalla ricorrente è del tutto infondato, in quanto, a prescindere dalla regola che governa la
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sentenza di patteggiamento, non rilevante nella presente fattispecie, il giudice del merito, nella vicenda in esame, ben poteva attribuire inferenza probatoria alla sentenza di estinzione del reato emessa in confronto dell’imputato deceduto, NOME COGNOME , la quale, stante il principio del libero convincimento, ben avrebbe potuto essere assunta a fondamento dello stesso, non sussistendo tra l’altro, in relazione alle sentenze di non doversi procedere -che costituiscono una peculiare species del genus sent enze di proscioglimento, contrapposta all’altra species , rappresentata dalle sentenze di assoluzione -una norma espressa che ne proclami l’inefficacia agli effetti civili ; norma, invece, esistente in relazione alle sentenze di patteggiamento (art. 445, comma 1bis , cod. proc. pen.).
1.1.b. Va, peraltro, precisato che, nella fattispecie, il giudice civile, in entrambi i gradi del giudizio di merito, ha formato il proprio convincimento, non tanto sulla base della pronuncia di non doversi procedere emessa nei confronti di NOME COGNOME, quanto sulla base di quella di condanna emessa con la medesima sentenza nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME, atteso che i fatti accertati nel giudizio penale, documentati in tale sentenza, le emergenze istruttorie da essa risultanti e i motivi posti a fondamento della relativa decisione avevano fatto emergere il concorso della condotta antigiuridica di NOME alla causazione dell’evento lesivo subìto da NOME COGNOME (donde erano poi derivate le lamentate conseguenze dannose patrimoniali e non patrimoniali) ed avevano pertanto consentito di accertare la sussistenza (anche) in capo a NOME, degli elementi costitutivi dell’ illecito civile, da cui era scaturita l’obbligazione risarcitoria gravante, iure hereditario , su NOME COGNOME e NOME COGNOME.
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In proposito, l’ idoneità di tale sentenza ad essere dedotta come mezzo di prova documentale atipico in funzione della dimostrazione dell’ illecito civile imputato (anche) a NOME, non era inficiata dalla circostanza che essa riguardava parti diverse, attesa la possibilità per le parti del giudizio civile di esercitare in modo pieno il diritto al contraddittorio sulla formazione della prova nelle forme consentite da tale giudizio in relazione alle prove documentali precostituite dedotte nello stesso, sia, sul piano sostanziale, contestando, in detto giudizio, i fatti accertati in sede penale, sia, sul piano formale, deducendo l’irritualità o la tardività della produzione.
Il primo motivo, dunque, deve essere rigettato.
Con il secondo motivo viene denunciata , ai sensi dell’art.360 n.3 cod. proc. civ., la violazione degli artt. 651 cod. proc. pen. e 101 cod. proc. civ., nonché degli artt. 27 e 111 Cost..
La ricorrente censura la sentenza impugnata per avere valutato la sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato « a tutti gli effetti come una sentenza di condanna passata in giudicato ».
2.1. Anche questo motivo è infondato, alla luce dei rilievi compiuti in relazione al motivo precedente, che vanno qui ribaditi.
La Corte di merito, infatti, non ha attribuito alla sentenza emessa dal giudice penale efficacia di giudicato quanto all’accertamento della sussistenza del fatto ascritto a NOME COGNOME, della sua illiceità penale e all’affermazione che egli lo aveva commesso, ma si è limitata a trarre da quella sentenza (che aveva la predetta efficacia di giudicato unicamente nei confronti dei soggetti condannati all’esito del dibattimento, NOME COGNOME e NOME COGNOME), il libero convincimento della imputabilità (non già del reato, bensì) del fatto illecito dannoso, ex art. 2055 cod. civ., anche a NOME COGNOME, avuto riguardo alle
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emergenze istruttorie da essa risultanti, alle circostanze di fatto accertate e ai motivi della decisione del giudice penale.
Anche il secondo motivo va, dunque, rigettato.
Con il terzo motivo viene denunciata , ai sensi dell’art. 360 n.3 cod. proc. civ., la violazione degli artt. 2043 e 2059 cod. civ., nonché dell’art. 185 cod. pen..
La ricorrente deduce che né il suo dante causa, NOME COGNOME, né essa stessa, quale erede del primo, avrebbero potuto essere chiamati a « rispondere ex art. 2043 c.c. perché i fatti dedotti in giudizio dall’attore integrano una fattispecie -reato oggetto di valutazione in procedimento penale e quindi suscettibile di divenire titolo per il risarcimento del danno ex art. 2059 c.c. e 185 c.p. in detta sede ».
Sostiene che, avendo l’attore ‘scelto’ di esercitare l’azione civile nel procedimento penale con la costituzione di parte civile, l’obbligazione risarcitoria sarebbe potuta discendere soltanto dall’accertamento della responsabilità penale dell’imputato.
Asserisce che il « il giudice del processo penale, qualora vi sia stata costituzione di parte civile, con conseguente pretesa risarcitoria, può, con la sentenza di condanna, liquidare il danno oppure condannare l’imputato con condanna generica, demandando l’accertamento del quantum in altra sede» e che, « in tale ipotesi, la parte civile può accedere al giudice civile all’unico scopo di ottenere la quantificazione del danno perché la sua pretesa è già stata riconosciuta nel processo penale con sentenza passata in giudicato »; pertanto, mentre l’accesso al giudice civile era consentito per ottenere la liquidazione del credito risarcitorio in confronto di NOME COGNOME e NOME COGNOME (la cui responsabilità penale era stata debitamente e definitivamente accertata), tale accesso sarebbe stato invece precluso « nei confronti
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dell’odierna ricorrente né in proprio né nella sua qualità di erede in quanto il de cuius non era stato condannato in primo grado , con esclusione di qualsiasi statuizione nei suoi confronti ».
3.1. Il motivo è manifestamente infondato poiché poggia su due postulati erronei in iure .
3.1.a. Il primo postulato è quello per cui, nell’ipotesi di costituzione di parte civile, l’accertamento del reato avrebbe carattere pregiudiziale rispetto all’accertamento della responsabilità civile: la ricorrente, infatti, afferma che la sussistenza del l’obbligazione risarcitoria avrebbe potuto essere affermata solo in ipotesi di avvenuto accertamento della responsabilità penale; accertamento che era avvenuto per gli altri imputati ma non per NOME COGNOME.
3.1.a.1. Il postulato è erroneo, poiché nel l’attuale assetto delle relazioni tra processo civile e processo penale (informato, diversamente da quello risultante dal codice del 1930, ai principi dell’autonomia e della separazione), mentre, nell’ipotesi in cui l’azione civile per le restituzioni o il risarcimento venga esercitata nella sua sede propria in pendenza di un processo penale per lo stesso fatto, non trova più applicazione, salvo ipotesi eccezionali, la regola della c.d. pregiudizialità penale , nella diversa ipotesi in cui la domanda risarcitoria venga proposta con la costituzione di parte civile nel processo penale, i rapporti tra azione civile e poteri cognitivi del giudice penale continuano ad essere informati al principio dell’ ‘accessorietà’ dell’azione civile rispetto a quella penale .
Questo principio -che rinviene il suo fondamento «nelle esigenze, di interesse pubblico, connesse all’accertamento dei reati e alla rapida definizione dei processi», e che ha quale naturale implicazione quella
C.C. 13.11.2023 N. R.G. 23934/2021 Pres. AVV_NOTAIO RAGIONE_SOCIALE COGNOME per cui l’azione civile, ove esercitata all’interno del processo penale, «è destinata a subire tutte le conseguenze e gli adattamenti derivanti dalla funzione e dalla struttura» di questo processo (Corte cost. n. 12 del 2016, n. 176 del 2019) -trova la sua principale espressione nella regola secondo la quale il giudice penale « decide » sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno proposta con la costituzione di parte civile, « quando pronuncia sentenza di condanna » (art.538, comma 1, cod. proc. pen.).
La condanna penale, dunque, costituisce il presupposto indispensabile del provvedimento del giudice penale sulla domanda civile: se emette sentenza di proscioglimento, tanto in rito (sentenza di non doversi procedere: artt. 529 e 531 cod. proc. pen.) quanto nel merito (sentenza di assoluzione: art.530 cod. proc. pen.), il giudice penale non deve provvedere sulla domanda civile; se invece emette sentenza di condanna (art.533 cod. proc. pen.), provvede altresì sulla domanda restitutoria o risarcitoria, accogliendola o rigettandola.
Diversamente da quanto ritenuto dalla ricorrente, deve pertanto escludersi che il mancato accertamento della responsabilità penale dell’imputato, conseguente ad una pronuncia di proscioglimento, precluda la possibilità di adire il giudice civile con azione risarcitoria nei confronti dell’ imputato medesimo o dei suoi eredi; ben al contrario, invece, la pronuncia di proscioglimento, proprio perché implica il necessario non liquet del giudice penale sulla domanda civile proposta dalla parte civile, consente che il rimedio risarcitorio possa essere esperito unicamente nella sua sede propria.
Va, peraltro, precisato che, proposta la domanda risarcitoria dinanzi al giudice civile dopo l’emissione di una pronuncia di proscioglimento nel processo penale , l’accertamento sull’illecito civile è
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assolutamente autonomo e non risente dell’esito del diverso accertamento già compiuto (e ormai definito) sull’illecito penale (cfr., ex multis , Cass. 15/10/2019, n. 25918; Cass. 13/01/2021, n. 457; Cass. 21/03/2022, n. 8997; Cass. 18/10/2022, n. 30496; v., anche, Cass. pen., Sez. Un., 28/01/2021-04/06/2021, n.22065).
Infatti -avuto riguardo, per un verso, alla necessità di rispettare il diritto alla presunzione di innocenza , tutelato sia nell’ordinamento convenzionale (cfr., tra le altre, Corte EDU, Grande Camera, Allen c. Regno Unito, 12 luglio 2013; Corte EDU, Terza Sezione, COGNOME c. San Marino, 20 ottobre 2020; Corte EDU; Prima Sezione, Marinoni c. Italia, 18 novembre 2021) , sia nell’ordinamento eurounitario ( Corte di giustizia UE 19 settembre 2018, C310/2018, COGNOME; Corte di giustizia UE 5 settembre 2019, C377/2018, Ah e altri); e tenuto conto, per altro verso, della ontologica autonomia e dei connotati di specificità dell’illecito civile quale illecito distinto da quello penale (Corte cost. 30/07/2021, n. 182; Corte cost. 12/07/2022, n.173) -il giudice civile non deve accertare, neppure in via meramente incidentale , se si sia integrata la fattispecie tipica contemplata dalla norma incriminatrice in cui si iscrive il fatto di reato che era stato oggetto di contestazione in sede penale e se da essa siano derivate conseguenze dannose, patrimoniali o non patrimoniali (art.185 cod. pen.), ma deve invece accertare se si sia integrata la diversa fattispecie atipica dell’illecito civile (art.2043 cod. civ.) in tutti i suoi elementi costitutivi (cfr., tra le più recenti, Cass. 18/10/2022, n. 3049; Cass. 03/02/2023, n.3368).
3.1.b. Il secondo postulato su cui poggia l’argomentazione svolta con il motivo di ricorso in esame e quello per cui, in ipotesi di condanna generica ai danni emessa nel processo penale ai sensi dell’art. 539 cod. proc. pen., la rimessione al giudice civile avrebbe ad oggetto
C.C. 13.11.2023 N. R.G. 23934/2021 Pres. RAGIONE_SOCIALE. COGNOME esclusivamente l’individuazione del quantum debeatur : la ricorrente, infatti, afferma che « in tale ipotesi, la parte civile può accedere al giudice civile all’unico scopo di ottenere la quantificazione del danno »; ciò che, nella fattispecie, il danneggiato NOME COGNOME avrebbe potuto fare (ed aveva effettivamente fatto) nei confronti dei condannati NOME COGNOME e NOME COGNOME (rispetto ai quali l’ an della pretesa risarcitoria era già stato definitivamente accertato con la condanna penale), ma non anche nei confronti degli eredi dell’imputato NOME COGNOME, rispetto al quale non era stata emessa una statuizione di condanna.
3.1.b.1. Il postulato è erroneo perché confonde, sotto il profilo processuale, il piano della sentenza di condanna specifica con quello della condanna generica e, sotto il profilo sostanziale, il piano del danno-evento (e della causalità materiale) con quello del dannoconseguenza (e della causalità giuridica).
La condanna generica, ai sensi dell’art. 539 cod. proc. pen., in quanto fondata sull’avvenuto accertamento degli elementi costitutivi del reato, attiene esclusivamente alla causalità materiale di cui agli artt. 40 e 41 cod. pen., ovverosia al nesso eziologico che lega la condotta all’evento di danno, in quanto tale dotato di potenzialità lesiva.
Essa non contiene, pertanto, l’accertamento dell’ulteriore elemento costitutivo dell’illecito civile, costituito dalla causalità giuridica di cui agli artt. 1223 e 2056 cod. civ., ovverosia dal nesso eziologico che lega l’evento di danno al danno -conseguenza.
Tale ulteriore elemento, indispensabile in funzione dell’integrazione dell’illecito civile (quale illecito ontologicamente distinto da quello penale: Corte cost. nn. 182 del 2021 e 173 del 2022, citt. ) -e in
C.C. 13.11.2023 N. R.G. 23934/2021 Pres. RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE COGNOME
mancanza del quale non è configurabile il diritto al risarcimento -viene accertato dal giudice civile in sede di rinvio ( ex aliis , Cass. 05/05/2020, n. 8477 e Cass. 02/08/2022, n. 23960).
Non è dunque vero che, in seguito alla condanna generica, l’azione dianzi al giudice civile ha lo scopo esclusivo di consentire la quantificazione di un credito risarcitorio già accertato in sede penale, in quanto la predetta condanna reca l ‘accertamento dell ‘evento dannoso ma non esime il creditore dal provare (e il giudice dall’ accertare) nel giudizio civile gli ulteriori elementi costitutivi dell’ illecito aquiliano, ed in primo luogo delle conseguenze risarcibili del detto evento dannoso.
3.1.c. Alla luce delle esposte considerazioni, deve escludersi sia che, a seguito dell’azione civile esercitata da NOME COGNOME, al giudice civile fosse precluso l’accertamento del l’obbligazione risarcitoria sorta in capo a NOME e trasmessa ai suoi eredi, per non essere stata emessa nei suoi confronti una statuizione di condanna penale; sia che al medesimo giudice civile fosse inibito procedere al (invece, doveroso) accertamento dell’illecito civile, per non essere stato esso accertato in sede penale; correttamente invece, il Tribunale di Asti in primo grado e la Corte territoriale torinese in grado di appello, hanno proceduto, traendo il proprio convincimento dalle risultanze della sentenza penale, all’autonomo accertamento della responsabilità civile solidale dei coimputati, indipendentemente dal differente esito del processo penale.
Anche il terzo motivo di ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
Con il quarto motivo viene denunciata , ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione degli artt.115 cod. proc. civ. e 2909 cod. civ..
C.C. 13.11.2023 N. R.G. 23934/2021 Pres. RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE COGNOME
La ricorrente deduce che la Corte d’appello, avendo tratto il proprio convincimento da una sentenza penale che non faceva stato né nei confronti di NOME né nei confronti dei suoi eredi, per un verso avrebbe omesso di porre a fondamento della sua decisione le prove proposte dalle parti (così violando il principio dispositivo), per altro verso avrebbe violato i limiti del giudicato.
4.1. Anche il quarto motivo è infondato alla luce dei rilievi più sopra svolti e che qui vanno ribaditi.
L’orientamento, ormai da tempo affermatosi nella giurisprudenza di questa Corte (cfr., ad es., tra le più recenti, Cass. 01/02/2023, n. 2947 e Cass. 06/04/2023, n. 9507), secondo il quale i mezzi di prova espressamente tipizzati dal legislatore non costituiscono un numerus clausus implica che il giudice del merito , nell’esercizio dei poteri discrezionali che derivano dal principio del libero apprezzamento di cui all’art. 116 cod. proc. civ., può attribuire inferenza probatoria anche a strumenti di convincimento non esplicitamente menzionati nel codice, i quali abbiano tuttavia l’attitudine a fornire la dimostrazione diretta o indiretta di fatti storici (c,d. prove innominate o atipiche ), senza che da ciò risulti violato il principio della disponibilità delle prove.
Nell’ambito di tali strumenti rientrano le sentenze emesse in altri processi anche tra parti diverse, la cui efficacia probatoria nel processo ad quem dipende, non già dall’ attitudine al giudicato, che è circoscritto alle parti del processo a quo (oltre che ai loro eredi ed aventi causa: art.2909 cod. civ.), m a dall’ idoneità della sentenza, quale elemento di prova documentale precostituito, a rappresentare una o più circostanze di fatto ed a permetterne la conoscenza (Cass. 25/02/2011, n. 4652; Cass. 20/01/2015, n.840, cit. ; Cass.10/10/2018, n. 25067).
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Pertanto, nel trarre il proprio convincimento dai fatti accertati all’esito del giudizio penale e rappresentati nella relativa sentenza, ritualmente acquisita agli atti del giudizio civile, dalle emergenze istruttorie da essa risultanti e dai motivi della decisione del giudice penale, il giudice del merito non ha violato né il principio dispositivo né i limiti del giudicato, con conseguente necessità di rigettare anche il quarto motivo di ricorso.
Con il quinto motivo, formulato subordinatamente al mancato accoglimento del quarto, viene denunciata , ai sensi dell’art. 360 nn. 3 e 4 cod. proc. civ., l’assoluta illogicità della motivazione (nella parte in cui affermerebbe che i fatti accertati in sede penale sarebbero utilizzabili nel processo civile), nonché la sua inesistenza (nella parte in cui sarebbe stata affermata la responsabilità aquiliana della ricorrente senza chiarire quale condotta illecita essa abbia compiuto); viene altresì denunciata, sempre ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione degli artt. 111 Cost. e 2909 cod. civ., per essere stata accertata la responsabilità di NOME e dei suoi eredi sulla base di una sentenza che non aveva efficacia di giudicato nei loro confronti, nonché in violazione del contraddittorio.
5.1. Il quinto motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
5.1.a. È inammissibile nella parte in cui denuncia il vizio di motivazione, omettendo di considerare che, in seguito alla riformulazione dell’art. 360 n. 5 c od. proc. civ. , disposta dall’art. 54 del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in q uanto il sindacato di legittimità attiene all’esistenza in sé della motivazione e alla sua coerenza, e resta circoscritto alla
C.C. 13.11.2023 N. R.G. 23934/2021 Pres. RAGIONE_SOCIALE verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost. e, nel processo civile, dall’art.132 n.4 c od. proc. civ., la cui violazione -deducibile in sede di legittimità quale nullità processuale ai sensi dell’art. 360 n. 4 c od. proc. civ. -sussiste qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. Sez. Un., 07/04/2014, nn. 8053 e 8054; Cass. 12/10/2017, n. 23940; Cass. 25/09/2018, n. 22598; Cass. 03/03/2022, n. 7090).
Ciò posto, nella fattispecie in esame le gravi lacune motivazionali censurabili per cassazione, oltre ad essere recisamente escluse dal chiaro, articolato e coerente corredo argomentativo della sentenza impugnata, non sussistono neppure alla stregua delle allegazioni della ricorrente, poiché l’affermazione che il giudice civile può trarre il proprio convincimento dai fatti accertati all’esito del giudizio penale non è illogica, mentre del tutto pretestuosa appare la denuncia di inesistenza della motivazione con riguardo al mancato accertamento della condotta illecita degli eredi del l’ autore del fatto dannoso, chiamati a risponderne iure hereditario .
5.1.b. Il motivo è invece infondato con riguardo alla denuncia di violazione del principio del giudicato (rispetto alla quale va richiamato quanto esposto in sede di esame del precedente motivo) e a quella di violazione del principio del contraddittorio, rispetto alla quale giova ribadire che, nell’ipotesi in cui il giudice del m erito pone a base del proprio convincimento le prove ‘ atipiche ‘ idonee ad offrire sufficienti elementi di giudizio e non smentite dal raffronto critico con le altre
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risultanze istruttorie (tra le quali rientrano anche le risultanze emergenti da una sentenza penale, pur emessa tra parti diverse, a prescindere dal l’efficacia formale attribuitale dalla legge nell’ambito del giudizio civile), non è configurabile la violazione del principio di cui all’art. 101 cod. proc. civ., dal momento che il contraddittorio sui mezzi istruttori si instaura con la loro formale produzione nel giudizio civile e la conseguente possibilità per le parti di farne oggetto di valutazione critica e di stimolare la valutazione giudiziale (in termini, Cass. 11/02/2023, n. 2947, cit. ).
Anche il quinto motivo deve pertanto essere rigettato.
6. Con il sesto motivo, formulato subordinatamente al mancato accoglimento del quinto, viene denunciata , ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., la violazione degli artt. 132 cod. proc. civ. e 111 Cost., « per mancata valutazione dei fatti storici accertati in sede penale »; viene, inoltre, denunciata , ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 2697 cod. civ., per essere stata disposta « un’indebita inversione dell’onere della prova ».
La ricorrente lametta che la Corte d’appello avreb be omesso di esaminare il documento prodotto in giudizio (lo ‘scontrino’ dell’acquisto operato da NOME COGNOME, fratello della vittima, tra l’altro mancante della descrizione della merce acquistata) unitamente alla restante documentazione depositata dalle parti (in particolare, il registro di carico e scarico regolarmente tenuto dall’armiere NOME COGNOME), la cui considerazione avrebbe condotto il giudice del merito ad una decisione opposta a quella assunta.
Sostiene che non sarebbe credibile che l’ armeria RAGIONE_SOCIALE, negozio conosciuto e stimato, sottoposto a tutte le verifiche di legge, abbia venduto fuochi d’artificio a persona priva di porto d’armi , per lucrare
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pochi spiccioli, e che abbia anche ripetuto tale vendita, dopo qualche mese dall ‘ incidente, al fratello della vittima, anche egli privo di autorizzazione alla detenzione.
6.1. Il motivo è manifestamente inammissibile.
Esso deduce principalmente la censura di omesso esame di fatto decisivo e controverso, pur evocando formalmente anche quelle di vizio motivazionale costituzionalmente rilevante e di violazione di legge con riferimento all’art. 2697 cod. civ. .
6.1.a. Questi due ultimi vizi non sono ipotizzabili neppure alla stregua delle affermazioni della ricorrente, a fronte, da un lato, quanto al primo, del già rilevato carattere chiaro, articolato e coerente del corredo argomentativo della sentenza impugnata che esclude la sussistenza di lacune motivazionali censurabili in sede di legittimità; ed in considerazione , dall’altro lato, quanto al secondo, che la Corte di merito non ha indebitamente attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risultava gravata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla distinzione tra fatti costitutivi ed eccezioni (nel che soltanto sarebbe ravvisabile la violazione del l’art.2697 cod. civ.: cfr., ex multis , Cass. 29/05/2018, n. 13395 e Cass. 23/10/2018, n.26769) ma, al contrario, sulla base del motivato apprezzamento delle esaminate risultanze istruttorie, ha ritenuto assolto dall’attore l’onere probatorio a lui spettante.
6.1.b. Quanto alla censura di omesso esame, che costituisce l’ oggetto principale delle doglianze veicolate con il motivo in disamina, deve ugualmente affermarsene l’ inammissibilità, sia alla luce della regola di cui all’art. 348 -ter , ultimo comma, cod. proc. civ., applicabile ratione temporis , attualmente replicata nella nuova formulazione dell’art. 360, penultimo comma, stesso codic e (Cass. 18/12/2014, n.
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26860; Cass. 22/12/2016, n. 26774; Cass. 06/08/2019), sia alla luce del principio che esclude la deducibilità di tale censura per omesso esame di elementi istruttori, costituendi o -come nella specie -precostituiti, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. Un., 07/04/2014, n. 8053; Cass. 29/10/2018, n. 27415; Cass. 08/09/2016, n. 17761).
Non può, poi, sottacersi che, al di là della formale intestazione, la doglianza in esame, nel contestare l’inferenza probatoria e l’attendibilità attribuita ad elementi di prova lecitamente assunti in giudizio e nel reputare ‘ non credibile’ la ricostruzione dei fatti operata nella sentenza impugnata, lungi dal denunciare ammissibilmente vizi di legittimità, tende, indebitamente, a suscitare da questa Corte un apprezzamento di merito alternativo a quello operato dalla Corte d’ appello e ad essa esclusivamente (ed insindacabilmente) riservato.
Il sesto motivo deve dunque essere dichiarato inammissibile.
7 . Con il settimo motivo viene denunciata , ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione degli artt.490, secondo comma, n.1, 456 e 2043 cod. civ..
La sentenza impugnata è censurata perché avrebbe trascurato -« in aperto contrasto con il dettato dell’art. 490 cod. civ., posto a tutela degli eredi e dell’art. 456 c.c. che determina il momento dell’apertura della successione » – che le « obbligazioni nascenti da un fatto-reato debbono ritenersi estinte con la morte del reo se detta morte sia intervenuta in epoca antecedente a qualsivoglia statuizione o decisione, poiché tale evento estingue la pretesa penale e tutte le conseguenze ad essa riconducibili ».
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Pres. COGNOME
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7.1. Il motivo è manifestamente infondato.
Al riguardo è sufficiente evidenziare che l’obbligazione risarcitoria era sorta in capo a NOME nel momento in cui era stato posto in essere il fatto illecito, sebbene lo stesso fosse stato successivamente accertato, e che essa obbligazione, come tutte le altre situazioni giuridiche soggettive, attive e passive, insistenti sulla sfera giuridica patrimoniale del soggetto al momento della sua morte, si era trasferita in capo agli eredi, che ben potevano essere evocati in giudizio per il suo adempimento, indipendentemente dall’esito del processo penale e dall’ accertamento o meno di una distinta e autonoma responsabilità penale del de cuius .
Sotto il profilo processuale, poi, l’ accertamento della predetta obbligazione risarcitoria ritualmente è avvenuto (non in sede penale ma) autonomamente in sede civile, in confronto dei successori del debitore danneggiante, passivamente legittimati, in quanto eredi, rispetto all’azione risarcitoria .
In definitiva, il ricorso proposto da NOME COGNOME deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità relative ai rapporti processuali vertenti tra la ricorrente e i controricorrenti NOME COGNOME e NOME COGNOME seguono la soccombenza e vengono liquidate nella misura indicata in dispositivo; sulle spese del giudizio di legittimità concernenti il rapporto processuale vertente tra la ricorrente e l’intimato NOME COGNOME, invece, non vi è luogo a provvedere, stante l’ indefensio di quest ‘ultimo.
Avuto riguardo al tenore della pronuncia, va infine dato atto -ai sensi dell’art.13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte
C.C. 13.11.2023 N. R.G. 23934/2021 Pres. RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE COGNOME della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente a rimborsare ai controricorrenti NOME COGNOME e NOME COGNOME le spese del giudizio di legittimità, che liquida, per ciascuno dei due controricorrenti, in Euro 7.600,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art.13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione