Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 28084 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Data pubblicazione: 22/10/2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 28084 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE PRIMA SEZIONE CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
NOME COGNOME
Presidente
NOME COGNOME
Consigliere
NOME
Consigliere NOME.
NOME COGNOME
Consigliere
NOME COGNOME
Consigliere
Oggetto:
BANCA
Ad.17/09/2025
CC
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16086 R.G. anno 2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione , rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME e dall’avvocato NOME COGNOME ;
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME ;
contro
ricorrente avverso la sentenza n. 1810/2021 emessa dalla Corte di appello di Salerno il 27 dicembre 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 settembre 2025 dal consigliere relatore NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. ─ RAGIONE_SOCIALE in liquidazione ha impugnato per
Sez. I -RG 16086/2022 camera di consiglio 17.9.2025
cassazione la sentenza della Corte di appello di Salerno pubblicata il 27 dicembre 2021 facendo valere due motivi di ricorso, entrambi afferenti il ricalcolo del saldo di un conto corrente e di alcuni conti ad esso collegati : rapporti – tutti questi intrattenuti dalla società con RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE s.p.a.. Con la pronuncia di primo grado, resa dal Tribunale di Nocera Inferiore, la convenuta RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE era stata condannata al pagamento della somma di euro 240.327,74 oltre interessi. In sede di gravame l’importo dovuto dal la banca è stato rideterminato in euro 45.922,60, oltre interessi.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE.
2 . ─ E’ stata formulata , da parte del Consigliere delegato allo spoglio, una proposta di definizione del giudizio a norma dell’art. 380bis c.p.c.. A fronte di essa, parte ricorrente ha domandato la decisione della causa e in prossimità dell’adunanza camerale ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -La proposta ha il tenore che segue.
«l primo motivo con cui si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 198 c.p.c., 2033 e 2946 c.c. è inammissibile;
« la ricorrente lamenta, in sintesi, che l’apertura di credito idonea a determinare la natura ripristinatoria delle rimesse eseguite potesse desumersi dagli estratti conto prodotti;
«la sentenza impugnata ha però accertato in fatto un difetto di prova al riguardo osservando che ‘ il consulente rinominato in appello ha ben ribadito che dal complesso delle acquisizioni documentali sulla cui scorta ha redatto i propri elaborati (anche in prime cure) non sia emerso alcun contratto di apertura di credito in conto corrente ‘ ;
«in conseguenza, la censura finisce per confutare un accertamento in questa sede non sindacabile;
«infatti: la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso
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sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa: ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti (Cass. 6 marzo 2019, n. 6519; Cass. 28 novembre 2014, n. 25332); per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c. occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo «prudente apprezzamento», pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento (Cass. Sez. U. 30 settembre 2020, n. 20867; Cass.9 giugno 2021, n. 16016); il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa, viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito (Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26110; Cass. 4 aprile 2013, n. 8315); l’evocazione
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dell’art. 198 c.p.c. che disciplina l’esame contabile non può di certo veicolare, in sede di legittimità, il riesame del valore probatorio degli elementi sottoposti all’esame del c.t.u.;
«anche il secondo motivo, con cui ci si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 1422, 2033 e 2946 c.c. è inammissibile;
«la ricorrente lamenta che la Corte di appello avrebbe recepito la rielaborazione del consulente in cui non si sarebbe adottato il criterio del c.d. saldo rettificato;
«anzitutto non risulta affatto evidente che la modalità di calcolo adottata dal c.t.u. sia affetta da errore: la tabella inserita a pag. 12 del ricorso non fornisce intellegibili indicazioni al riguardo;
«comunque non è spiegato, in modo esauriente, quale sarebbe la decisività della censura: la ricorrente menziona, a pag. 13 del ricorso, l’esito della consulenza tecnica esperita in primo grado, recante un saldo superiore rispetto a quello accertato dalla Corte di appello, ma l’indicazione è priva di consistenza, dal momento che la pronuncia di primo grado aveva respinto l’eccezione di prescrizione, che invece il Giudice del gravame ha accolto, pervenendo, in conseguenza, a un risultato contabile meno favorevole alla società correntista: non è chiaro, allora, come il supposto errore abbia inciso sul risultato finale;
«in terzo luogo, il mezzo di censura non reca menzione del passaggio della sentenza impugnata in cui sarebbe stata espressa l’opzione per il criterio del saldo rettificato, né spiega, nel rispetto del principio di autosufficienza, come la questione circa la necessità di adottare tale metodo di calcolo, asseritamente disatteso dal consulente tecnico, sia stata sottoposta avanti alla Corte di appello: si deve osservare, al riguardo, che l’indicazione dei documenti o degli atti processuali sui quali il ricorso si fondi può avvenire alternativamente o riassumendone il contenuto o trascrivendone i passaggi essenziali (Cass. 19 aprile 2022, n. 12481) e che la ricorrente si è invece limitata a menzionare alcuni atti processuali senza illustrarne, nell’uno o
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nell’altro modo, il preciso contenuto; poiché, dunque, la sentenza non fa menzione della questione circa il saldo rettificato e la deduzione dell’avvenuta proposizione della predetta questione avanti al giudice di merito è priva della necessaria specificità, il tema di indagine proposto sfugge alla cognizione di questa Corte, visto che in sede di legittimità non è consentita la proposizione di nuove questioni di diritto, ancorché rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, quando esse presuppongano o richiedano, come nel caso in esame, nuovi accertamenti o apprezzamenti di fatto (Cass. 8 febbraio 2016, n. 2443; Cass. 5 maggio 2006, n. 10319)».
Il Collegio reputa che il ricorso sia effettivamente inammissibile.
Quanto al primo motivo, non si vede come desumere dal mero riferimento della sentenza al «complesso delle acquisizioni documentali» (menzionato nella memoria, a pag. 3) la conclusione secondo cui la Corte di appello avrebbe (illegittimamente) ritenuto che la prova dell’apertura di credito «potesse essere fornita esclusivamente mediante la produzione di un contratto formale e scritto».
Con riferimento al secondo mezzo, se ne rimarca la carenza di specificità, in quanto, in mancanza di alcuna enunciazione della Corte di merito quanto all’applicazione del «saldo banca» in luogo del «saldo ricalcolato», il ricorso non reca alcuna puntuale evidenza dell’errore in cui la stessa Corte sarebbe incorsa, ma ne affida l’individuazione a controvertibili interpretazioni del materiale di causa e, in dissonanza dal principio richiamato nella proposta, non reca alcuna trascrizione, nelle parti che interessano, delle deduzioni con cui la questione sarebbe stata realmente proposta al Giudice del gravame. Ma la spiegata impugnazione non dà nemmeno conto della decisività dell’errore in cui sarebbe incorsa la Corte di appello, visto che questa ha escluso che sia stata fornita prova dell’apertura di credito : e la distinzione tra «saldo banca» e «saldo ricalcolato» assume rilievo in presenza di un conto
affidato, al fine di differenziare correttamente le rimesse solutorie da quelle ripristinatorie (si veda, sul punto, Cass. 19 maggio 2021, n. 9141, secondo cui, ove il cliente agisca in giudizio per la ripetizione di importi relativi ad interessi non dovuti e la banca sollevi l’eccezione di prescrizione, « al fine di verificare se un versamento abbia avuto natura solutoria o ripristinatoria, occorre previamente eliminare tutti gli addebiti indebitamente effettuati dall’istituto di credito e conseguentemente rideterminare il reale saldo passivo del conto, verificando poi se siano stati superati i limiti del concesso affidamento ed il versamento possa perciò qualificarsi come solutorio »).
3 . -Le spese di giudizio seguono la soccombenza.
Tr ovano applicazione le statuizioni di cui all’art.96, comma 3 e comma 4, c.p.c. , giusta l’art. 380 -bis , comma 3, c.p.c..
P.Q.M.
La Corte
dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, dell’ulteriore somma di euro 4.000,00; condanna la parte ricorrente al pagamento della somma di euro 2.500,0 0 in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende; ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione Civile, in data 17 settembre 2025. Il Presidente
NOME COGNOME