Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 11912 Anno 2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6244/2024 R.G. proposto da NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME con il se-
guente indirizzo di posta elettronica certificata:
;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e di- feso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, con il seguente indirizzo di posta elettronica certificata: ;
– intimato –
avverso il decreto del Tribunale di Torino depositato il 12 febbraio 2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 dicembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Civile Ord. Sez. 1 Num. 11912 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/05/2025
FATTI DI CAUSA
Con decreto del 12 febbraio 2024, il Tribunale di Torino ha rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e, in subordine, della protezione sussidiaria o di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, proposta da NOME, cittadino del Bangladesh.
Premesso che, a sostegno della domanda, il ricorrente aveva riferito di essersi allontanato dal Paese di origine per motivi economici, dovendo rimborsare ai propri familiari un prestito contratto per un precedente espatrio avvenuto nell’anno 2013 ed un’altra somma dagli stessi pagata a titolo di riscatto a seguito di un rapimento da lui subìto in Libia, il Tribunale ha ritenuto inattendibili tali dichiarazioni, in quanto contraddittorie nella parte riguardante i prestiti ed intrinsecamente incoerenti nella parte riguardante l’espatrio, nonché discordanti dalle informazioni disponibili in ordine all’esercizio del credito in Bangladesh. Ha rilevato inoltre che dalla vicenda narrata non emergeva un rischio di sottoposizione ad atti persecutori né il timore di un danno grave. Ha escluso infine la sussistenza dei presupposti necessari per il riconoscimento della protezione speciale, ritenendo non provata né una condizione di vulnerabilità personale né l’integrazione economica e sociale del ricorrente, il quale aveva prodotto soltanto un attestato di frequenza scolastica.
Avverso il predetto decreto il Mia ha proposto ricorso per cassazione, per due motivi. Il Ministero dell’interno ha resistito mediante il deposito di un atto di costituzione, ai fini della partecipazione alla discussione orale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, va dichiarata l’inammissibilità della costituzione in giudizio del Ministero, avvenuta il 13 agosto 2024, e quindi oltre il quarantesimo giorno dalla notificazione del ricorso per cassazione, effettuata l’8 marzo 2024, mediante il deposito di un atto finalizzato esclusivamente alla partecipazione alla discussione orale.
Premesso infatti che, nel procedimento in camera di consiglio dinanzi alla Corte di cassazione, il concorso delle parti alla fase decisoria deve infatti realizzarsi in forma scritta, attraverso il deposito di memorie, il quale postula che l’intimato si sia costituito ritualmente e tempestivamente (cfr. Cass., Sez. I,
25/10/2018, n. 27124), si osserva che l’atto depositato dalla difesa erariale, oltre ad essere successivo alla scadenza del termine di cui all’art. 370, primo comma, cod. proc. civ. (nel testo, applicabile ratione temporis al presente giudizio, modificato dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149), risulta privo dei requisiti di contenuto-forma prescritti dall’art. 366 cod. proc. civ., applicabili anche al controricorso, ai sensi del secondo comma del medesimo art. 370 cod. proc. civ. (cfr. Cass., Sez. I, 29/01/2024, n. 2599; Cass., Sez. III, 9/02/ 2023, n. 4049).
Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 14, lett. c) , del d.lgs. 19 novembre 2007, n. 251, nonché l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha escluso che in Bangladesh sussistesse una situazione di violenza indiscriminata derivante da un conflitto armato, senza tenere conto delle informazioni desumibili da fonti internazionali, dalle quali emergeva l’esistenza di uno stato di conflittualità diffusa ed incontrollata, tale da impedire l’esercizio dei diritti fondamentali e da compromettere la sicurezza personale e familiare.
Con il secondo motivo, il ricorrente deduce l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando il decreto impugnato per aver omesso di valutare la sua condizione di vulnerabilità, ricollegabile al rischio di trovarsi nuovamente immesso, in caso di rimpatrio, nella situazione di precarietà esistenziale in cui versava prima di allontanarsi dal Paese di origine.
Così riassunte le censure proposte dal ricorrente, si osserva che, unitamente al ricorso, è stata depositata, ai sensi dell’art. 369 cod. proc. civ., una copia autentica del decreto impugnato nella quale mancano la sesta e la settima pagina, recanti l’esposizione dei motivi per cui, a fini del rigetto della domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria, il Tribunale ha escluso la configurabilità della fattispecie di cui all’art. 14, lett. c) , del d.lgs. n. 251 del 2007, nonché di una parte di quelli per cui ha rigettato la domanda di riconoscimento della protezione speciale, e segnatamente dell’individuazione della normativa applicabile ratione temporis alla fattispecie esaminata.
La prima carenza, impedendo di ricostruire il ragionamento in base al
quale è stato ritenuto insussistente il presupposto di fatto necessario per l’applicazione della protezione sussidiaria, si traduce nell’inammissibilità del primo motivo d’impugnazione, avente ad oggetto proprio il diniego di tale misura, non risultando possibile sopperire alla predetta lacuna, a causa della indisponibilità nel fascicolo di altre copie del provvedimento, dalla cui lettura sia possibile desumere il contenuto delle pagine mancanti.
Sebbene infatti, ai fini dell’osservanza dell’art. 369 cod. proc. civ., la produzione di una copia incompleta del provvedimento impugnato debba essere equiparata alla mancata produzione, l’inadempimento dell’onere previsto da tale disposizione non può comportare nella specie la dichiarazione d’improcedibilità del ricorso, la quale presuppone che l’incompletezza della copia prodotta impedisca d’individuare con certezza l’oggetto della controversia e le ragioni poste a fondamento della pronuncia (cfr. Cass., Sez. I, 8/07/2020, n. 14347; Cass., Sez. V, 5/06/2018, n. 14426), e, costituendo la sanzione per un comportamento processuale omissivo, derivante dal mancato compimento di un atto della sequenza di avvio del processo, espressamente configurato come necessario, deve riguardare il ricorso inteso nel suo complesso, senza potersi distinguere tra i singoli motivi, destinati invece a rilevare ai fini della dichiarazione di ammissibilità (cfr. Cass., Sez. I, 23/02/2022, n. 5964).
5. La mancanza parziale della motivazione a sostegno del rigetto della domanda di riconoscimento della protezione speciale non impedisce invece d’individuare le ragioni in diritto che hanno giustificato il diniego della misura, avendo il decreto impugnato richiamato chiaramente, nelle pagine successive a quelle mancanti, le modificazioni apportate all’art. 19, comma 1.1, del d.lgs. n. 286 del 1998 dal d.l. 21 ottobre 2020, n. 130, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 173, ed in particolare l’introduzione del riferimento alla tutela della vita privata e familiare del richiedente, da intendersi nel senso risultante dalla giurisprudenza della Corte EDU (cfr. sent. 14/ 02/2019, in causa n. 57433/15, RAGIONE_SOCIALE; sent. 24/01/2017, in causa n. 25358/12, RAGIONE_SOCIALE), che consente, ad avviso del Tribunale, «una valorizzazione dei percorsi di inserimento lavorativo e sociale compiuti dal cittadino straniero sul territorio nazionale, da cui sia possibile desumere che si è creato un sistema di relazioni che siano significative al
punto da dare luogo a un effettivo legame con il territorio medesimo». E’ in quest’ottica che il decreto impugnato ha ritenuto superflua una specifica indagine in ordine ad un’eventuale condizione di vulnerabilità del ricorrente, attribuendo invece un rilievo preminente all’insufficienza degli elementi di fatto acquisiti in ordine all’integrazione sociale e lavorativa dello stesso sul territorio italiano, in considerazione dell’avvenuta produzione soltanto di un attestato di frequenza scolastica.
Il ricorrente non contesta d’altronde la pertinenza e la correttezza dei principi applicati dal Tribunale, ma si limita a censurare l’accertamento dei fatti dallo stesso compiuto ai fini dell’applicazione della misura in questione, lamentando l’omessa valutazione del rischio, che egli correrebbe in caso di rimpatrio, di venirsi a trovare nuovamente nella situazione di precarietà in cui versava prima di allontanarsi dal Paese di origine. Tale osservazione non attinge tuttavia la ratio decidendi decreto impugnato, il cui riferimento prevalente alla integrazione sociale e lavorativa del ricorrente si pone perfettamente in linea con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità sviluppatosi in tema di protezione speciale, secondo cui, ai fini del riconoscimento della stessa, la seconda parte dell’art. 19, comma 1.1, del d.lgs. 286 del 1998, come modificato dal d.l. n. 130 del 2020, attribuisce rilievo direttamente all’integrazione sociale e familiare in Italia del richiedente asilo, da valutare tenendo conto della natura e dell’effettività dei suoi vincoli familiari, del suo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno e dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d’origine, escludendo pertanto la necessità di procedere ad un giudizio di comparazione con le condizioni esistenti in tale Paese, sia pure nelle forme della comparazione attenuata con proporzionalità inversa (cfr. Cass., Sez. I, 31/03/2023, n. 9080; 15/12/2022, n. 36789; Cass., Sez. VI, 8/06/2022, n. 18455).
6. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo all’irrituale costituzione dell’intimato.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma il 19/12/2024