Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 6971 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 6971 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 16/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da
NOME COGNOME nato a LAKSHMIPUR SADAR (Bangladesh) il 1°.2.1987, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME del foro di Vicenza
-ricorrente-
Contro
MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI VERONA -SEZIONE DI VICENZA
-intimati-
Avverso il decreto di rigetto del Tribunale di Venezia n. 12253/2024, del 6.6.2024.
Oggetto: protezione internazionale
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5.3.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
─ Il ricorrente, nato a Lakshmipur (Bangladesh) il 1.2.1987, ha impugnato il provvedimento del 23.6.2022, reso dal Ministero dell’Interno Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Verona -Sezione di Vicenza, che ha rigettato la sua domanda di protezione internazionale e, sotto altro profilo, non ha ravvisato i presupposti per il riconoscimento di altre forme di protezione ai sensi della normativa vigente.
In audizione amministrativa, il ricorrente ha riferito di avere svolto attività politica per conto del partito RAGIONE_SOCIALE sin dal 2002 e di essere stato eletto presidente del Chattro per la sezione di Kapasia nel 2005 ma che, in seguito al cambio di governo avvenuto nel 2006, è stato aggredito e preso di mira dai membri dell’Awami League e della Jubo League; per tale motivo, il ricorrente si è dovuto nascondere, chiedendo ospitalità a diversi amici, per poi trasferirsi a Dacca presso la zia paterna, formalizzando poi la domanda per poter entrare in Italia tramite la cosiddetta ‘procedura flussi’ e arrivando in Italia nel 2010 per via aerea.
In caso di rimpatrio teme di essere ucciso o incarcerato.
2.Per quanto qui di interesse il Tribunale ha precisato che:
l’oggetto del giudizio non è la legittimità formale del diniego impugnato, ma l’esistenza del diritto del ricorrente all’ottenimento di una delle forme di protezione previste dall’ordinamento, sia essa internazionale, speciale o per gli altri casi contemplati dal d.lgs. n. 286/1998;
per il rilascio di un permesso per protezione speciale non vi sono elementi per ritenere che il Sig. NOME abbia raggiunto un adeguato livello di integrazione sociale, tenuto conto che non è stata
prodotta documentazione comprovante lo svolgimento di un’attività lavorativa sufficientemente stabile e con retribuzione adeguata.
Le uniche allegazioni documentali si limitano all’UNILAV che attesta l’esistenza di un contratto di lavoro della durata di un mese nel corso del 2023 e la partecipazione ad alcuni corsi di formazione;
c) non è nemmeno sufficiente far riferimento all’astratta condizione del Paese d’origine dell’interessato, ma occorre comunque procedere ad un giudizio individualizzante, nel senso che devono essere dedotti specifici elementi che indichino in che modo tale situazione astratta determina in concreto una situazione di vulnerabilità in relazione al ricorrente;
d) per quanto attiene, invece, alla protezione sussidiaria, il Tribunale ha ritenuto condivisibili i dubbi manifestati dalla Commissione sulla credibilità dell’interessato . Le dichiarazioni rese in merito all’appartenenza e alla militanza politica appaiono estremamente generiche e in parte contraddittorie. Generiche e prive di sufficiente dettaglio appaiono anche le dichiarazioni relative alle attività e agli scopi del partito, al ruolo ricoperto dal ricorrente all’interno di esso e alle funzioni assegnategli, nonché le dichiarazioni afferenti alle minacce e alle aggressioni subìte;
e) quanto al requisito di cui alla lett. c dell’art. 14 d.lgs. n. 251/2007, ovvero la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violazione indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, occorre ricordare che in una nota del gennaio 2008, l’UNCHR (Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati) ha precisato che l’espressione violenza indiscriminata o generalizzata fa riferimento all’esercizio della violenza non mirato ad un oggetto o a un indi viduo specifico e che con l’espressione persone minacciate da violenza indiscriminata si intendono le persone che, al di fuori del paese di origine, non possono rientrare a causa di un
rischio reale (e non solo astratto) di subire minacce alla vita, all’integrità fisica o alla l ibertà a cause di tale violenza;
la protezione sussidiaria ai sensi dell’art. 14, lett. c), del D. Lgs. n. 251/2007 può essere concessa o quando vi è una situazione di conflitto armato che espone personalmente il soggetto al rischio per la propria vita e per la sua incolumità in ragione della sua situazione individuale (regola) oppure quanto il conflitto armato raggiunga un livello di intensità tale da esporre la persona a tale rischio per il solo fatto di trovarsi in loco, a prescindere dalla sua situazione individuale (eccezione);
i n ossequio all’obbligo di cooperazione dell’Autorità giudiziaria nell’accertamento dei fatti rilevanti ai fini del giudizio, il Tribunale ha peraltro acquisito informazioni aggiornate sul Bangladesh da fonti internazionali specificamente indicate e riportate; dall’esame delle fonti indicate, è possibile escludere che in Bangladesh, e nella specifica regione di provenienza del ricorrente, vi sia una situazione assimilabile all a nozione di ‘conflitto armato’;
non può, inoltre, ritenersi che il Bangladesh costituisca una zona a rischio e che la sua popolazione civile soggetta alla ‘minaccia grave e individuale’ in ragione della situazione di povertà diffusa e sovrappopolamento e della condizione di esposizione a violenti fenomeni naturali.
─ NOME COGNOME ha presentato ricorso per cassazione con due motivi.
Il Ministero dell’Interno non si è costituito tempestivamente, limitandosi a depositare atto con cui chiede di poter partecipare all’eventuale udienza di discussione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorrente deduce:
4. ─ Con il primo motivo: Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n.3, c.p.c con erronea e falsa applicazione dei criteri vigenti in materia istruttoria per violazione dell’ obbligo di cooperazione d’ufficio del Giudice nella acquisizione delle prove agli effetti della domanda di protezione sussidiaria ex art 14, lett. b), d.lgs. n 251/2007 e di protezione speciale ex art 19, comma 1, e comma 1.1, TUI prima parte in violazione dell’art.35 bis, comma 9, d.l. n.13/2017 in riferimento all’art. 8, comma 2 e 3, d.lgs. n. 25/2008 e dell’art 27, comma 1 bis, d.lgs. n.25/2008 e con violazione dei criteri previsti dall’ art. 3, comma 3, lett. a, b, e c, e comma 5, lett. a, e c, d.lgs n.251/2007 agli effetti della valutazione di credibilità delle dichiarazioni rese in sede di audizione personale in assenza di prove documentali allegate. Il Tribunale civile di Venezia non avrebbe fatto, nel caso concreto, corretta applicazione in sede di motivazione e di decisione dei principi vigenti in materia istruttoria, perché in materia di protezione internazionale è prevista una attenuazione del principio dispositivo in tema di prova con parziale inversione del relativo onere a favore del richiedente asilo e con correlato obbligo di cooperazione d’ufficio posto a carico del Giudice di merito che deve assumere tutte le informazioni disponibili ed aggiornate relative alla situazione attuale esistente nello Stato di origine del cittadino straniero anche sotto il profilo della tutela effettiva per i diritti umani ivi esistente agli effetti della domanda di protezione internazionale e di quelle subordinate di protezione sussidiaria e protezione speciale, con possibile violazione dei principi contenuti nell’art.8, comm1 2 e 3, d.lgs. n.25/2008 in tema di criteri applicabili in sede di esame della domanda e nell’art. 3, comma 3, lett. a, b, e c, e comma 5, lett. a e c, d.lgs. n.251/2007 relativi all’esame del richiedente asilo ed alla valutazione delle dichiarazioni rese in sede di audizione personale.
4.1 ─ La censura è inammissibile. Questa Corte ha già sostenuto (rispetto ad un’ipotesi di tratta) che nel caso di vittime di particolari condotte persecutorie il giudice deve analizzare le dichiarazioni del migrante -ai sensi del combinato disposto degli artt. 3, comma 5, lett. c, d. lgs. 251/2007, 8, comma 3, e 27, comma 1-bis, d. lgs. 25/2008 – alla luce dei criteri interpretativi indicati dall’U.N.H.C.R. nelle proprie linee guida volte all’identificazione di queste persone tra i richiedenti protezione internazionale, le quali costituiscono una fonte di informazione meritevole di credito utile a verificare la concordanza del racconto offerto con le precipue caratteristiche di chi si trovi in una simile situazione (Cass. 41863/2021; si veda, inoltre, Cass. 25751/2021).
E’ stato anche ulteriormente precisato che in tema di protezione internazionale e umanitaria, la valutazione della credibilità delle dichiarazioni del richiedente non è affidata alla mera opinione del giudice, ma è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi, ma alla stregua dei criteri indicati negli artt. 3 d.lgs. n. 251/2007 e 8 d.lgs. n. 25/2008 (Cass., n. 9858/2023; Cass., n.28214/2022).
Il principio però, va coniugato in relazione al singolo caso ed, infatti, più volte questa Corte ha ribadito che in tema di protezione internazionale, la valutazione di credibilità della narrazione, pur dovendo essere condotta attraverso un’integrazione da parte del giudice, deve comunque fondarsi su canoni minimi di verosimiglianza: ove, invece, il racconto del richiedente asilo risulti affetto da estrema genericità o da importanti contraddizioni interne, non è necessario procedere ad un approfondimento istruttorio ufficioso, nè alla ricerca delle c.d. COI, poiché manca una storia individuale attendibile rispetto alla quale valutare la coerenza esterna, la possibilità e il livello di rischio (Cass., n.2667/2023; Cass., n. 26149/2022).
Il tribunale ha analizzato ogni singola parte delle dichiarazioni del richiedente indicando di volta in volta la motivazione specifica sulla non credibilità per estrema genericità o contraddizione ed ha poi assolto al suo dovere-potere di cooperazione istruttoria consultando ed indicando specificamente le fonti internazionali consultate.
5. -Con il secondo motivo: Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art 360, comma 1, n. 3, c.p.c. in relazione alla domanda di protezione speciale da valutarsi secondo la normativa previgente ancora applicabile nella formulazione introdotta dal d.l. n. 130/2020 ed in vigore fino al 13.03.2023 ai sensi dell’art. 19, commi 1 e 1.1, TUI ed art. 32, comma 3, d.lgs. n.25/2008. Omessa valutazione della integrazione sociale e lavorativa in Italia con possibile violazione dell’art. 8 della CEDU in tema di tutela della vita privata e familiare del cittadino straniero in territorio UE. Mancata applicazione dei criteri di valutazione previsti in materia ed omessa esecuzione del giudizio di comparazione tra condizione di vita attuale in Italia e condizione presumibile in caso di rientro in Bangladesh del richiedente asilo.
In particolare, si osserva che «Infatti il decreto impugnato non ha fatto alcun riferimento in sede di valutazione alla lunga durata del suo soggiorno in Italia, iniziato nel lontano 2010 con regolare ingresso nell’ambito del decreto flussi e con regolare permesso di soggiorno ottenuto per alcuni anni, a conferma di un suo precedente positivo inserimento sociale nel nostro Stato, che si è interrotto per alcuni anni senza sua colpa avendo perso il lavoro, avendo comunque il ricorrente sempre osservato le regole ed i principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico senza commettere alcun reato per vivere durante il periodo di irregolarità e di difficoltà personale, inserimento sociale che è ripreso nel corso del 2022 a seguito della domanda di asilo proposta e del percorso scolastico e formativo intrapreso con una cooperativa di accoglienza per
migranti, che attualmente lo ha assunto come collaboratore con regolare contratto di sei mesi che viene allegato in copia».
5.1 -Il Tribunale di Venezia ha statuito che: «non vi sono elementi per ritenere che il Sig. NOME abbia raggiunto un adeguato livello di integrazione sociale, tenuto conto che non è stata prodotta documentazione comprovante lo svolgimento di un’attività lavorativa sufficientemente stabile e con retribuzione adeguata.
Le uniche allegazioni documentali si limitano all’UNILAV che attesta l’esistenza di un contratto di lavoro della durata di un mese nel corso del 2023 e la partecipazione ad alcuni corsi di formazione.
Non appare decisivo nemmeno il richiamo alla situazione di sicurezza e di rispetto dei diritti umani relativa al Paese d’origine del ricorrente».
La censura è fondata. La motivazione è carente poiché non si fonda su una valutazione complessiva degli esiti probatori, omettendo indagini su aspetti che potrebbero essere decisivi. Non valuta il periodo di permanenza sul nostro territorio risalente a 14 anni fa, poiché il richiedente è arrivato nel nostro Paese nel 2010 con regolare ingresso nell’ambito del decreto flussi e con regolare permesso di soggiorno ottenuto per alcuni anni; non ha indagato sulle motivazioni esistenti per l’interruzione del rappo rto di lavoro; né tantomeno sul suo comportamento durante il periodo di disoccupazione eventualmente rilevante ai fini penali, non ha considerato o meglio comparato la sua situazione familiare nel Paese di origine con quella creatasi in Italia vista la lunga permanenza sul territorio italiano.
6. -Per quanto esposto, il secondo motivo del ricorso va accolto, inammissibile il primo. Il decreto impugnato va pertanto cassato, in relazione alla censura accolta, con rinvio al giudice indicato in dispositivo, il quale si atterrà a quanto sopra indicato e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri elementi identificativi a norma dell’art.52, comma 2, D.lgs. 196/2003.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso. Cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia al Tribunale di Venezia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri elementi identificativi a norma dell’art.52, comma 2, D.lgs. 196/2003.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima Sezione