Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 8385 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 8385 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 13185/2024 proposto da:
NOME, elett.te domiciliato presso l’avv. NOME COGNOME dal quale è rappresentato e difeso, per procura speciale in atti;
-ricorrente –
-contro-
MINISTERO DELL’INTERNO, in p ersona del Ministro p.t. elett.te domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato dalla quale è rappres. e difesa;
-intimato- avverso il decreto del Tribunale di Palermo, n. 2961/2024, depositato il 23/04/2024;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/02/2025 dal Cons. rel., dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con decreto del 23.4.24 il Tribunale di Palermo ha rigettato la domanda di protezione internazionale proposta da NOME COGNOME, cittadino tunisino, osservando che: non sussistevano i presupposti dello status di rifugiato, risultando condivisibili le valutazioni operate dalla Commissione la quale aveva ritenuto non credibili le dichiarazioni dell’istante inerenti alla controversia sull’eredità, alla falsa accusa di aggressione, al periodo trascorso in detenzione e alle minacce e atti di violenza che avrebbe subito prima dell’espatrio; la circostanza che il richiedente fosse stato sottoposto a un procedimento penale fondato su una falsa accusa e, in seguito, detenuto per circa un anno era del tutto priva di riscontri documentali, oltre che essere stata descritta in termini estremamente vaghi; pertanto, i fatti esposti dal ricorrente, oltre ad essere scarsamente credibili, apparivano riconducibili a ragioni private e familiari; non sussistevano, poi, le condizioni per l’accoglimento della domanda di riconoscimento dell a protezione sussidiaria, non potendosi nella specie ravvisare un pericolo di ‘danno grave’ nell’accezione delineata dall’art. 14 D.lgs. 251/2007; quanto alla sussistenza dei presupposti di cui al punto c) del citato art. 14, avuto riguardo alle più aggiornate informazioni disponibili in ordine all’attuale contesto socio -politico-religioso della Tunisia emergeva che nel Paese in questione non sussisteva alcun conflitto armato interno contrassegnato da una pervasività, da un’estensione territoriale e da un livello di violenza indiscriminato tali da porre in ogni caso a rischio l’incolumità pers onale del ricorrente; peraltro, con decreto interministeriale del 4 ottobre 2019, la Tunisia è stata inserita nel novero dei Paesi di origine sicura, a conferma di quanto rassegnato sulla situazione di generale sicurezza del paese, recentemente
confermata con decreto ministeriale del 17 marzo 2023; la domanda di protezione internazionale – successiva al 5.10.2018, pertanto successiva all’entrata in vigore del D.L. 113/2018 abrogato tuttavia per il tramite della novella legislativa di cui al D.L.130/2020, che deve pertanto ritenersi applicabile al caso concreto- era infondata anche in ordine alla protezione speciale; invero, il ricorrente, giunto in Italia ad agosto del 2022, non ha fornito adeguata prova della sua effettiva integrazione economico-sociale tramite svolgimento di stabile e regolare attività lavorativa idonea a garantirne il sostentamento o altra circostanza (attività formative, di studio o di qualsiasi altro genere) idonea a dimostrare il suo effettivo inserimento sociale; quanto all’attività lavorativa non era indicativa dell’effettiva integrazione la stipula di un contratto di lavoro come addetto alle pulizie della sola durata di quattro mesi (dal 30/12/2023 al 30/04/2024), di cui, peraltro, non risultava neppure documentato l’effett ivo svolgimento, essendo state prodotte solo le comunicazioni obbligatorie unilav; né tantomeno era da considerarsi sufficiente la lettera di assunzione datata 07/07/2023 e prodotta in atti, in quanto riferita ad un rapporto di lavoro futuro ed eventuale, come tale inidonea a provare una pregressa effettiva integrazione del ricorrente nel territorio nazionale; né il ricorrente ha fornito prova dell’esistenza di legami familiari in Italia di natura ed effettività tali da precluderne il rimpatrio.
Lo straniero ricorre in cassazione avverso il suddetto decreto, con tre motivi. Il Ministero, non costituito nei termini, ha depositato atto chiedendo di partecipare all’eventuale udienza di discussione.
RITENUTO CHE
Il primo motivo denunzia violazione -di cui all’art. 360 comma 1 nn. 3 e 5 c.p.c.- degli artt. 32 comma 3 del D.lgs n. 25/2008, art. 19 commi 1, 1.1 e 1.2. D.Lgs. 286/1998, art. 115 co. 2 c.p.c., e dell’art 8 CEDU,
nonché omessa valutazione di tutti gli elementi dedotti, afferenti al divieto di espulsione in ragione dell’effettivo inserimento sociale del ricorrente e dell’assenza di legami familiari nel Paese di origine.
Al riguardo, il ricorrente lamenta che il Tribunale ha omesso: di considerare il fatto che non era titolare di regolare permesso di soggiorno, richiesto con due diverse istanze di sospensione, entrambe rigettate dallo stesso Tribunale, nonché il ragionevole sforzo compiuto dal ricorrente per documentare il proprio percorso di integrazione lavorativa; di valutare l’assenz a di legami nel Paese di origine, rappresentati dai fratelli adottivi che lo avrebbero picchiato e scacciato di casa per questioni ereditarie.
Pertanto, il ricorrente lamenta altresì che il Tribunale: ha fornito una motivazione insufficiente ed illogica, erroneamente applicando le norme relative al divieto di espulsione ed alla concedibilità della protezione speciale ai sensi dell’art. 19 TUI, ne lla formulazione ratione temporis applicabile al caso di specie; sarebbe incorso nella violazione di cui all’art. 115 comma 2 cpc., non ponendo a base della decisione la nozione di fatto rientrante nella comune esperienza, ed a più riprese dedotta da parte ricorrente, della circostanza che il mancato possesso del permesso di soggiorno impediva al ricorrente la prova della sua integrazione sociale e lavorativa, e non considerando che l’istante ha documentato lo svolgimento di ulteriore attività lavorativa presso un’importante azienda, producendo l’atto di proroga di un contratto di lavoro con scadenza il 30.04.2024, con facoltà di ulteriori proroghe.
Il secondo motivo denunzia violazione- di cui all’art. 360 comma 1 nn. 3 e 5 c.p.c.- e falsa applicazione degli artt. 32 comma 3 e 35 bis comma 4 del D.lgs n. 25/2008, art. 19 commi 1, 1.1 e 1.2 D.Lgs. 286/1998, art. 115 co. 1 c.p.c., e dell’art 8 CEDU, nonché violazione del principio di non contestazione con riferimento alla documentazione
lavorativa prodotta dal ricorrente, ancora in validità al momento della decisione, essendo stato prodotto il contratto relativo alla proroga sino al 30.04.2024 ‘ con facoltà di ulteriori proroghe ‘ del rapporto di lavoro ancora in essere al momento della decisione del Tribunale (23.04.2024) , unitamente all’Unilav, fatto mai contestato nel giudizio. Il terzo motivo denunzia violazione -di cui all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. -e falsa applicazione degli artt. 28 bis comma 2, 35 bis commi 3 e 4 del D.lgs 25/2008, omessa declaratoria della sospensione ex lege per mancato rispetto dei termini della procedura accelerata, applicata all’esame delle domande di protezione internazionale presentate da persone provenienti da POS, come nel caso di specie, che avrebbe comportato l’automaticità dell’effetto sospensivo .
Sul punto, il ricorrente lamenta, in particolare, che tale violazione gli aveva reso eccessivamente difficile la prova dell’effettivo svolgimento dell’attività lavorativa, nonché la possibilità di documentare qualsiasi aspetto della sua integrazione sociale.
Il primo motivo è inammissibile. Il Tribunale ha rilevato che ‘ quanto all’attività lavorativa non è indicativa dell’effettiva integrazione la stipula di un contratto di lavoro come addetto alle pulizie della sola durata di quattro mesi Nè tanto meno è da considerarsi sufficiente la lettera di assunzione datata 07.07.2023 e prodotta in atti, in quanto riferita ad un rapporto di lavoro futuro ed eventuale, come tale inidonea a provare una pregressa effettiva integrazione del ricorrente nel territorio nazionale ‘.
Il ricorrente invoca l’orientamento per cui, in tema di protezione internazionale complementare, ai sensi della disciplina prevista dal d.l. n. 130 del 2020, conv. con modif. dalla l. n. 173 del 2020, considerando il principio per cui il livello di integrazione raggiunto nel territorio nazionale dal ricorrente deve intendersi
rappresentato da ogni apprezzabile sforzo di inserimento nella realtà locale di riferimento, dimostrabile anche attraverso la produzione di corsi di alfabetizzazione o di contratti di lavoro (Cass., n. 29159/2024). Tuttavia, nel caso concreto, la motivazione non è censurabile, anche alla luce del rilievo del Tribunale per cui ‘ non risulta neppure documentato l’effettivo svolgimento dell’attività lavorativa essendo state prodotte solo le comunicazioni obbligatorie unilav’, non essendo state prodotte le buste-paga o altra documentazione afferente allo svolgimento del rapporto di lavoro, seppure limitato a quattro mesi. Né è rilevante il fatto che al ricorrente non sia stato concesso in precedenza il permesso di soggiorno, ciò che gli avrebbe impedito di acquisire occasioni diverse di lavoro.
Inoltre, il ricorrente non allegato altri elementi espressivi di un apprezzabile sforzo d’integrazione , mentre il riferimento alla mancanza di rapporti affettivi in Tunisia è irrilevante, nel senso che la vicenda delle violenze subite ad opera dei fratelli adottivi non è risultata credibile.
Il secondo motivo è inammissibile, in quanto non emerge nessuna mancata contestazione in ordine alla documentazione prodotta dal ricorrente; fatto, peraltro, irrilevante nel senso che essa è stata ritenuta inidonea a dimostrare l’integrazione socio -lavorativa.
Il terzo motivo è parimenti irrilevante, nel senso che non è dato comprendere la doglianza afferente alla violazione dei termini dimezzati e quale sia il diritto leso, considerando che la cd. procedura accelerata attiene alla diversa fattispecie del trattenimento dello straniero, che non viene in rilievo nella fattispecie.
Invero, in tema di protezione internazionale, il termine dimezzato di quindici giorni per ricorrere al Tribunale contro la decisione della Commissione territoriale opera solo se la procedura è stata adottata
sin dall’inizio nelle forme accelerate, già in occasione della proposizione della domanda alla questura del migrante, oppure quando quest’ultimo è stato trattenuto nei centri di cui all’art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998; in tutti gli altri casi, anche in presenza di un provvedimento di rigetto della commissione per manifesta infondatezza, il termine per proporre il ricorso è quello ordinario di trenta giorni (Cass., n. 24593/24).
Nulla per le spese, poiché il Ministero non ha svolto difese.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.p.r. n.115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Dispone che ai sensi dell’art. 52 del d.lgs. n. 196/03, in caso di diffusione della presente ordinanza si omettano le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.
Così deciso nella camera di consiglio della prima sezione civile del 20