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Protezione speciale: Cassazione sulla pericolosità sociale

Un cittadino serbo di etnia rom si è visto negare la protezione speciale dal Tribunale a causa della sua presunta pericolosità sociale e della non credibilità del suo racconto. La Corte di Cassazione ha annullato la decisione, stabilendo che la valutazione sulla pericolosità non può essere un automatismo basato su vecchi precedenti penali, ma deve essere concreta e attuale. Inoltre, il giudice di merito ha errato nel non considerare la vulnerabilità del richiedente legata alla sua appartenenza etnica, un fattore decisivo per la protezione speciale. La causa è stata rinviata al Tribunale per un nuovo esame.

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Pubblicato il 9 dicembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Protezione Speciale e Pericolosità Sociale: La Cassazione Fissa i Paletti

L’ordinanza della Corte di Cassazione, sez. I Civile, n. 27539 del 23 ottobre 2024, affronta due temi cruciali nel diritto dell’immigrazione: la valutazione della protezione speciale per i richiedenti appartenenti a minoranze vulnerabili e il corretto approccio al giudizio di pericolosità sociale. Questa decisione chiarisce che il riconoscimento di un diritto fondamentale non può essere negato sulla base di automatismi o di valutazioni incomplete, riaffermando la necessità di un’analisi concreta e individualizzata della situazione del richiedente.

I Fatti del Caso: Una Lunga Storia tra Integrazione e Precedenti Penali

Il caso riguarda un cittadino serbo di etnia rom, in Italia dal 1993. L’uomo aveva richiesto la protezione internazionale narrando una drammatica vicenda personale legata al suo passato in Bosnia durante la guerra, sostenendo di essere stato costretto ad arruolarsi in una formazione paramilitare da adolescente e di essere fuggito dopo aver disertato. La sua famiglia, secondo il suo racconto, sarebbe stata sterminata per rappresaglia. In Italia, pur avendo costruito un percorso di integrazione, con attività di volontariato presso note associazioni, aveva accumulato anche alcuni precedenti penali.

La Decisione del Tribunale e i Motivi del Ricorso

Sia la Commissione Territoriale che, in seguito, il Tribunale di Venezia avevano respinto la sua domanda. Il Tribunale, in particolare, aveva ritenuto il racconto del richiedente inattendibile e generico. Per quanto riguarda la protezione speciale, il diniego si fondava su due pilastri: la mancanza di prova di un rischio effettivo in Serbia, considerata “Paese di origine sicuro”, e un giudizio di complessiva pericolosità sociale del richiedente, basato sui suoi precedenti. Contro questa decisione, l’uomo ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando l’omessa valutazione della sua vulnerabilità come membro dell’etnia rom e l’errata applicazione delle norme sulla pericolosità sociale.

La Valutazione della Protezione Speciale secondo la Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, cassando il decreto del Tribunale e rinviando la causa per un nuovo esame. I giudici hanno individuato due errori fondamentali nel ragionamento del giudice di merito.

L’Errore sull’Automatismo della Pericolosità Sociale

Il Tribunale aveva negato la protezione basandosi su precedenti penali, alcuni dei quali risalenti nel tempo, senza svolgere alcuna indagine sulla condotta di vita attuale del richiedente. La Cassazione ha ribadito un principio consolidato: la valutazione della pericolosà sociale non può essere automatica. Deve essere, al contrario, concreta, attuale e basata su un bilanciamento proporzionato tra gli interessi della sicurezza pubblica e i diritti umani fondamentali della persona. Il giudice deve considerare l’intero percorso di vita dell’individuo, inclusi gli sforzi di integrazione e i legami sociali costruiti nel tempo, elementi che il ricorrente aveva documentato.

La Mancata Considerazione della Vulnerabilità Etnica

Il secondo errore, ancora più grave, è stato l’aver completamente ignorato la condizione oggettiva di vulnerabilità del richiedente in quanto appartenente alla minoranza rom. Lo stesso decreto del Tribunale riportava fonti internazionali (COI) che descrivevano i Rom in Serbia come “la minoranza etnica più vulnerabile”, soggetta a “un elevato livello di discriminazione”. Nonostante questa premessa, il giudice non ha poi valutato se questa condizione, di per sé, potesse costituire un ostacolo al rimpatrio e fondare il diritto alla protezione speciale. La Cassazione ha chiarito che questa valutazione era doverosa, a prescindere dalla credibilità del racconto personale sulla persecuzione passata.

Le Motivazioni della Corte

La Corte ha sottolineato che, anche di fronte a un Paese designato come “sicuro”, il giudice ha il potere-dovere di verificare se la situazione particolare del singolo richiedente lo esponga a rischi specifici. In questo caso, l’appartenenza a un gruppo etnico notoriamente discriminato è un fatto decisivo che doveva essere esaminato approfonditamente. Il Tribunale, omettendo questa analisi, ha violato il suo dovere di approfondimento istruttorio.
Per quanto riguarda la pericolosità sociale, la Cassazione ha evidenziato come il giudizio del Tribunale fosse stato un mero “lapsus calami”, collegando una condanna del 2010 a fatti del 2017 e fondando il diniego su un automatismo che la legge e la giurisprudenza, sia nazionale che europea, non consentono. L’esigenza di un bilanciamento ragionevole e proporzionato impone un’analisi della situazione attuale della persona.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza rafforza la tutela dei diritti umani nel contesto dell’immigrazione. Stabilisce in modo netto che una valutazione sulla pericolosità sociale deve essere sempre ancorata alla realtà attuale e non può basarsi su condanne passate in modo acritico. Soprattutto, riafferma che la vulnerabilità derivante dall’appartenenza a gruppi discriminati è un elemento centrale che il giudice deve sempre considerare ai fini del riconoscimento della protezione speciale, anche quando la storia personale del richiedente presenta delle lacune. La decisione impone ai tribunali un approccio più rigoroso e individualizzato, garantendo che nessuna condizione di vulnerabilità venga trascurata.

La condanna per un reato o un giudizio di pericolosità sociale impedisce automaticamente di ottenere la protezione speciale?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che non opera alcun automatismo. Il giudice deve effettuare una valutazione concreta e attuale della condotta della persona, bilanciando la sicurezza pubblica con i diritti umani fondamentali del richiedente, tenendo conto anche del suo percorso di integrazione.

L’appartenenza a un’etnia discriminata nel Paese d’origine è rilevante per la protezione speciale anche se il racconto personale del richiedente non è credibile?
Sì. La Corte ha chiarito che il giudice ha il dovere di valutare autonomamente la condizione di vulnerabilità oggettiva, come l’appartenenza a una minoranza etnica soggetta a discriminazione, ai fini del riconoscimento della protezione speciale, anche se la narrazione principale del richiedente non è stata ritenuta attendibile.

Il fatto che un Paese sia nella lista dei “Paesi di origine sicuri” esclude la possibilità di ottenere protezione in Italia?
No. L’inserimento in tale lista comporta un onere della prova più gravoso per il richiedente, ma non elimina il dovere del giudice di indagare se, nella situazione particolare e individuale della persona, sussistano gravi motivi per ritenere che il Paese non sia sicuro per lui, specialmente ai fini della protezione speciale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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