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Protezione internazionale per fede religiosa: il caso

La Corte d’Appello di Roma ha concesso la protezione internazionale, nella forma dello status di rifugiato, a una cittadina cinese perseguitata nel suo paese d’origine per l’appartenenza alla Chiesa del Dio Onnipotente. La decisione ribalta un precedente diniego, conformandosi a un’ordinanza della Corte di Cassazione. Quest’ultima aveva censurato la precedente valutazione di non credibilità della richiedente e l’omesso esame delle fonti internazionali sulla persecuzione religiosa in Cina. La Corte ha ritenuto il racconto della donna, che include minacce, clandestinità e la fuga dal paese, dettagliato, coerente e riscontrato da numerosi rapporti sui diritti umani che confermano la repressione sistematica attuata dal governo cinese contro i gruppi religiosi non riconosciuti.

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Pubblicato il 14 febbraio 2025 in Diritto Civile, Diritto di Famiglia, Giurisprudenza Civile

Protezione Internazionale per Fede: La Corte d’Appello Riconosce lo Status di Rifugiato

Il diritto alla libertà religiosa è un pilastro fondamentale dei diritti umani. Quando la sua violazione si trasforma in persecuzione, scatta il dovere della comunità internazionale di offrire un riparo. Una recente sentenza della Corte d’Appello di Roma ha riaffermato questo principio, concedendo la protezione internazionale a una cittadina cinese vittima di repressione a causa della sua fede. Questo articolo analizza la decisione, evidenziando il percorso che ha portato al riconoscimento del suo status di rifugiato.

I Fatti di Causa: Una Fuga dalla Persecuzione

La protagonista della vicenda è una donna cinese, seguace della “Chiesa del Dio Onnipotente”, un movimento religioso inviso al governo di Pechino. La sua richiesta di asilo si fonda su una narrazione di persecuzione crescente. Ha raccontato di come le autorità cinesi abbiano intensificato la repressione, in particolare dopo un omicidio attribuito strumentalmente al suo gruppo religioso.

La sua vita è diventata una successione di fughe: ha cambiato spesso abitazione, è stata costretta a nascondersi dopo che un confratello è stato arrestato e torturato, ricevendo un avvertimento da un altro credente infiltrato nella polizia. Ha vissuto per mesi in una stalla per non essere scoperta, terrorizzata dalle continue pressioni delle autorità locali. Alla fine, su consiglio di un amico medico che temeva per la sua vita, ha deciso di lasciare la Cina, arrivando in Italia nel 2016.

L’Iter Giudiziario e l’Annullamento della Cassazione

Il percorso legale della donna in Italia è stato inizialmente in salita. Sia il Tribunale che la prima Corte d’Appello avevano respinto la sua domanda, giudicando il suo racconto generico e poco credibile. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha ribaltato la situazione. Con un’ordinanza cruciale, ha annullato la sentenza d’appello, rilevando due errori fondamentali:

1. Violazione dell’onere probatorio: In materia di protezione internazionale, non si può pretendere dal richiedente una prova piena e incontrovertibile, soprattutto quando fugge da situazioni di caos e persecuzione. La valutazione della credibilità deve tenere conto della sua condizione di vulnerabilità.
2. Omessa cooperazione officiosa: Il giudice ha il dovere di informarsi attivamente sulla situazione generale del paese d’origine (Country of Origin Information – COI). La precedente Corte non aveva adeguatamente considerato le prove schiaccianti sulla persecuzione dei fedeli della Chiesa del Dio Onnipotente in Cina.

Il caso è stato quindi rinviato a una nuova sezione della Corte d’Appello per una nuova valutazione.

La Credibilità e il Ruolo delle Fonti Internazionali

Nel giudizio di rinvio, la Corte d’Appello ha potuto basare la sua decisione su un quadro probatorio più completo, inclusa la trascrizione dell’audizione della donna dinanzi alla Commissione Territoriale. Questo documento ha permesso di superare le precedenti critiche di genericità, rivelando un racconto dettagliato, coerente e ricco di particolari.

Il cuore della decisione, però, risiede nel massiccio ricorso a fonti internazionali autorevoli (Freedom House, Dipartimento di Stato USA, report di ONG) che confermano in modo inequivocabile la brutale repressione dei gruppi religiosi non riconosciuti in Cina. Questi rapporti documentano arresti arbitrari, detenzioni extragiudiziali, torture e una sorveglianza pervasiva, delineando un quadro in cui il timore di persecuzione della richiedente appare assolutamente fondato.

Le Motivazioni della Corte d’Appello

La Corte ha ritenuto che la narrazione della richiedente fosse pienamente credibile e coerente con le informazioni disponibili sulla situazione in Cina. I giudici hanno sottolineato come le azioni del governo cinese contro i cosiddetti ‘xie jiao’ (culti eterodossi) configurino veri e propri atti di persecuzione ai sensi della Convenzione di Ginevra e della normativa italiana. La legislazione cinese, come l’art. 300 del codice penale, viene utilizzata in modo arbitrario e discriminatorio per punire chiunque non si conformi alle regole imposte dal Partito Comunista.

Inoltre, la Corte ha dato peso al timore espresso dalla donna di essere arrestata e torturata in caso di rimpatrio, un rischio concreto e attuale. La persecuzione non si limita al territorio cinese, ma si estende anche all’estero, con programmi di monitoraggio e raccolta di dati sui dissidenti espatriati. La richiesta di protezione internazionale è stata quindi considerata non solo legittima, ma necessaria per tutelare i diritti fondamentali della persona.

Le Conclusioni

Accogliendo l’appello, la Corte ha dichiarato il diritto della donna allo status di rifugiato, ordinando alla Questura competente di rilasciarle il relativo permesso di soggiorno. La sentenza rappresenta un’importante applicazione dei principi di protezione internazionale, ribadendo che la valutazione della credibilità del richiedente deve essere condotta con umanità e supportata da un’analisi approfondita e oggettiva del contesto del paese d’origine. È un monito a non respingere le domande di asilo con leggerezza, specialmente quando le prove di persecuzioni sistematiche sono ampiamente documentate a livello globale.

Cosa è necessario perché una richiesta di protezione internazionale sia ritenuta credibile?
Secondo la sentenza, la credibilità non richiede prove documentali assolute, ma si basa su un racconto sufficientemente dettagliato, coerente, plausibile e non contraddittorio con le informazioni note sulla situazione del paese d’origine. La condizione di vulnerabilità del richiedente deve essere presa in considerazione.

Perché la prima decisione di rigetto è stata annullata dalla Corte di Cassazione?
La Corte di Cassazione ha annullato la precedente decisione perché il giudice d’appello aveva errato nel valutare la credibilità della richiedente e, soprattutto, aveva violato il dovere di ‘cooperazione officiosa’, ovvero non aveva acquisito e considerato adeguatamente le informazioni disponibili sulla sistematica persecuzione religiosa in Cina, un fatto decisivo per la valutazione del caso.

Che ruolo hanno i rapporti internazionali (COI) nelle decisioni sulla protezione internazionale?
I rapporti internazionali (Country of Origin Information) svolgono un ruolo fondamentale. Come dimostra questa sentenza, essi forniscono al giudice un quadro oggettivo e aggiornato sulla situazione dei diritti umani nel paese d’origine del richiedente. Permettono di verificare la fondatezza del timore di persecuzione e di contestualizzare il racconto individuale, rendendolo un elemento di prova cruciale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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