Ordinanza interlocutoria di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 13150 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 13150 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/05/2025
NOME COGNOME
Presidente
COGNOME
Consigliere- Rel.
NOME COGNOME
Consigliere
NOME COGNOME
Consigliere
NOME COGNOME
Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso 13304/2024 proposto da:
NOMECOGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME per procura speciale in atti;
-ricorrente –
-contro-
MINISTERO DELL’INTERNO, in p ersona del Ministro p.t., PREFETTURA DELLA PROVINCIA DI FROSINONE, in persona del Prefetto p.t.;
-intimati- avverso la sentenza emessa dal Giudice di pace di Frosinone, pubblicata in data 10 maggio 2024;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9/04/2025 dal Cons. rel., dott. NOME COGNOME
espulsione; ricorso avverso il diniego di protezione
internazionale.
Ud. 09/04/2025 CC CC
R.G.N. 13304/2024
RILEVATO CHE
Con ricorso depositato telematicamente in data 15.01.2024 il cittadino egiziano NOME impugnava il decreto di espulsione emesso nei suoi confronti dal Prefetto di Frosinone il 15/12/2023, con il consequenziale ordine di lasciare il territorio nazionale.
Con sentenza del 10.3.2024 il giudice di pace rigettava il ricorso sui presupposto dell’espulsione – accogliendo il solo motivo sulla riduzione del periodo d’espulsione – osservando che: non poteva essere motivo di annullamento del decreto impugnato la pendenza del giudizio avente ad oggetto la richiesta di protezione internazionale, presentata solo dopo l’emissione dello stesso decreto, che restava sospeso nella sua efficacia ; al momento dell’espulsione, era stata accertata la mancanza del permesso di soggiorno perché scaduto e non rinnovato; il Prefetto aveva considerato che il ricorrente risultava già attinto da un precedente decreto di espulsione del 25.11.2010, con ordine del Questore di lasciare il territorio nazionale entro 7 giorni, notificato in pari data, e che tuttavia il medesimo si era trattenuto in territorio italiano senza giustificato motivo; doveva dunque ritenersi che il decreto di espulsione in esame fosse atto dovuto anche perché non sussistevano per il ricorrente legami familiari tali da poter ritenere leso il diritto all’unità familiare, tenuto conto che il fratello, al pari di esso ricorrente, risultava essere stato fino ad ora detenuto, non avendo potuto nella lunga detenzione instaurare un vero e proprio rapporto di unità familiare con il ricorrente, e che parimenti l’esistenza del rapporto affettivo con il nipote (figlio del predetto fratello) e con la cognata, cittadina italiana, certamente non risultavano essere stati favoriti dalla lunga permanenza in carcere e dunque non apparivano costituire effettivi vincoli familiari; quanto all’ultimo motivo di doglianza relativo
al divieto di rientrare in Italia non prima di 5 (cinque) anni disposto dal prefetto nel decreto impugnato, detto periodo ben poteva essere ridotto a 3 (tre) anni ai sensi e per gli effetti di cui all’art.13 co.14 T.U.I. avendo il ricorrente provato comunque di aver tenuto nel periodo di detenzione una condotta corretta e conforme alle disposizioni dell’ordinamento penitenziario, avendo conseguito il diploma di maturità dell’Istituto d’istruzione dei servizi alberghieri ed essendosi iscritto al corso di lau rea per la formazione Scienza dell’Educazione e della Formazione, sostenendo diversi esami ed avendo anche esercitato attività lavorativa all’interno del carcere e di avere av uto anche un’offerta di lavoro; dunque il ricorso veniva accolto solo parzialmente in relazione a tale ultimo motivo.
Lo straniero ricorre in cassazione, avverso la suddetta sentenza, con sei motivi.
Non si sono costituiti gli intimati.
RITENUTO CHE
Il primo motivo denunzia violazione dell’art. 360 c.p.c. n. 5 per omessa valutazione circa un fatto decisivo per la controversia, nonchè violazione dell’art. 35 del d.lgs. 25/2008 c.7 in relazione al punto 3 c. 1 dell’art. 360 c.p.c.
Il ricorrente lamenta che il giudice di pace, nel motivare la sentenza non ha minimamente preso in considerazione, né in sede processuale né nella motivazione della detta sentenza, la circostanza che l’istante stava attendendo la risposta della Commissione territoriale e che in caso di rigetto avrebbe potuto proporre, come in effetti poi ha fatto, ricorso dinanzi al Tribunale di Roma avverso il provvedimento di rigetto, come prevede l’attuale normativa a seguito delle riforme introdotte dal cosiddetto Decreto COGNOME, tanto che il giudice adito con apposito decreto aveva disposto la fissazione dell’udienza con
contestuale sospensione del provvedimento di rigetto; pertanto, considerando che l’espulsione è un atto successivo al diniego, il giudice di pace avrebbe dovuto prendere in considerazione tale possibilità, ma soprattutto rispettare i termini che la legge prevede per presentare il ricorso al Tribunale ordinario che sono diversi da quello per impugnare un’espulsione (nel caso di specie rispettivamente 30 e 20 giorni).
Il secondo motivo denunzia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 10 bis d.lgs. 286/1998 in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 del c.p.c. , per non aver il Tribunale considerato che in caso di rimpatrio si troverebbe proiettato in un Paese lasciato 14 anni orsono, nel quale non c’è più nulla per lui, mentre in Italia, pur condannato al carcere per 10 anni, la sua vita era cambiata tanto da intraprendere un percorso che lo aveva portato a studiare e lavorare in carcere, frequentando anche un corso universitario, ed avendo pronto un impegno di assunzione da parte di un datore di lavoro, motivo per cui ha necessità del permesso di soggiorno, ad oggi risiedendo a Veroli presso una struttura della Caritas.
Il terzo motivo denunzia violazione dell’art. 111 cost. in relazione all’art. 360 3 c., c.p.c. per omessa ovvero insufficiente motivazione, ridotta a mera formula di stile.
Al riguardo, il ricorrente si duole che la decisione nulla ha dedotto in ordine alla pericolosità della situazione che potrebbe trovare in Egitto, non avendo minimamente fatto accenno al ricorso pendente tutt’oggi dinanzi al Tribunale di Roma avverso il diniego di domanda di rinnovo del permesso di protezione speciale, con la conseguenza che sussiste un grave vizio motivazionale e una violazione del principio del chiesto e pronunciato.
Il quarto motivo deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in ordine al
diritto al riconoscimento del permesso per protezione speciale, considerato che il Prefetto e il giudice di pace non hanno considerato appieno le reali situazioni personali dell’attuale ricorrente, omettendo di valutare tutti quegli elementi che di fatto valgono il diritto a richiedere ed ad ottenere il rilascio del permesso di soggiorno per protezione internazionale, per lo meno nella subordinata protezione speciale, poiché in caso di rientro nel paese d’origine sarebbe oltremodo esposto al rischio concreto di subire danni gravi alla sua persona ed alla propria incolumità, con pregiudizio dei diritti e delle libertà fondamentali.
Il quinto motivo deduce nullità della sentenza o del procedimento, per violazione del potere-dovere officioso del giudice di acquisire informazioni e documenti rilevanti, nonché per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, ex art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c.
Il ricorrente lamenta che il giudice di pace avrebbe dovuto, in virtù del carattere officioso dei procedimenti in questione, assumere ogni informazione o documento ritenuto necessario sulla critica situazione del paese di provenienza, come evidenziava il rapporto di Amnesty International , mentre lo stesso si è semplicemente limitato ad aderire al ragionamento del Prefetto.
Il sesto motivo deduce, ex art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto della discussione tra le parti, in ordine alla condizione di pericolosità e le situazioni di violenza generalizzata esistenti nel paese d’origine , che avrebbe dovuto consentire il riconoscimento della protezione sussidiaria o, comunque, della protezione umanitaria, in conseguenza dei gravi rischi che il ricorrente correrebbe in caso di rimpatrio.
Il ricorso è fondato, in primo luogo, sul rilievo che il ricorrente ha presentato domanda di protezione internazionale dopo essere stato
raggiunto dal decreto di espulsione e che l’efficacia esecutiva del provvedimento di diniego reso dalla Commissione territoriale è stato sospeso dal Tribunale di Roma. Avrebbe quindi errato il giudice di pace a dare rilievo solo al provvedimento negativo della Commissione territoriale, senza considerare che esso non era definitivo e quindi la circostanza che ella è, in pendenza del giudizio per il riconoscimento della protezione internazionale, persona non espellibile.
Nella giurisprudenza di questa Corte si afferma che in tema di immigrazione, nel caso in cui la domanda di protezione internazionale dello straniero sia proposta dopo l’adozione del decreto di espulsione del medesimo, detto decreto non è colpito da sopravvenuta invalidità, restandone soltanto sospesa l’efficacia, con la conseguenza che il giudice di pace adito a norma dell’art. 13, comma 8, del d.lgs. n. 286 del 1998 non può, in ragione della proposizione della menzionata domanda, pronunciarne l’annullamento (Cass. n. 5437 del 27/02/2020; Cass. n. 26633 del 15/09/2023). Con queste ordinanze e segnatamente con la n. 5437/2020, si è precisato in che termini opera la affermazione, resa da precedenti arresti di questa Corte, che il cittadino straniero richiedente asilo ha diritto di rimanere nel territorio dello Stato per tutto il tempo durante il quale la sua domanda viene esaminata, anche se è stata presentata dopo l’emissione del decreto di espulsione (Cass. n. 19819 del 26/07/2018). Si è osservato, con la citata ordinanza n. 5437/2020, che la giurisprudenza della CGUE esclude che la presentazione di una domanda di asilo da parte di una persona soggetta ad una procedura di rimpatrio abbia l’effetto d’invalidare de iure la relativa decisione che fosse stata precedentemente adottata e che la legislazione nazionale in conformità alla direttiva europea prevede che il soggetto espulso possa continuare a essere trattenuto quando ha presentato una domanda successiva al
provvedimento di espulsione che appare strumentale. Si è anche osservato che nel caso in cui lo straniero espulso presenti una domanda ottiene un autonomo titolo di soggiorno (provvisorio) il quale cesserà però di produrre i suoi effetti con la pronuncia su tale domanda, salvo quanto previsto, per l’ipotesi di successivo ricorso giurisdizionale, dall’art. 35 bis, comma 3 e comma 4, d.lgs. n. 25/2008. Sulla scorta di queste considerazioni si è affermato che il procedimento di opposizione al decreto di espulsione in simili casi può comunque concludersi e che lo straniero potrebbe -nel caso in cui l’amministrazione tenti di portare a esecuzione il decreto nonostante la proposizione della domanda di asilo- promuovere un’autonoma azione di accertamento oppure opporsi in sede di convalida del provvedimento di accompagnamento alla frontiera.
Deve tuttavia osservarsi che la tesi della temporanea privazione di efficacia del decreto di espulsione, e che nulla osta in tale caso alla conclusione del procedimento di opposizione, si fonda su due presupposti impliciti: il primo, che la domanda di asilo presentata successivamente alla espulsione possa essere rapidamente esaminata e -nella maggior parte dei casi- respinta; il secondo, che il diritto ad un ricorso effettivo venga assicurato dalla possibilità di opporsi in sede di esecuzione.
A parere di questo Collegio la questione merita un approfondimento dovendosi rilevare che, pur se la domanda di asilo presentata dopo il decreto di espulsione e in stato di trattenimento viene esaminata con la procedura accelerata prevista dall’art. 28-bis del D.lgs. 25/2008 e quindi decisa dalla Commissione nel breve termine di cui al comma 2, è possibile che l’iter processuale sia più lungo ed articolato quandocome nel caso di specie- la decisione della Commissione venga impugnata e ne è sospesa l’efficacia esecutiva; inoltre è pur sempre
possibile l’innesto di vicende anomale nella procedura accelerata, quali il mancato rispetto dei termini (Cass. sez. un. n. 11399/2024) oppure la mancata ovvero tardiva notificazione del provvedimento di rigetto all’interessato, con conseguente dilatazione dei tempi della impugnazione.
In altre parole, va considerata la possibilità che la definizione della richiesta di asilo non sia di così pronta e veloce spedizione e che l’efficacia esecutiva del primo provvedimento di diniego venga sospesa con conseguente dilatazione dei tempi in cui il richiedente è autorizzato a soggiornare sul territorio nazionale, essendo (temporaneamente) inespellibile. Ciò porta ad interrogarsi sulla utilità pratica di considerare ancora valido anche se temporaneamente non eseguibile l’originario decreto di espulsione quando venga successivamente presentata una domanda di protezione internazionale, posto che la espulsione dello straniero non può avvenire se non ne sussistono i presupposti nella attualità e che le vicende sopravvenute al decreto di espulsione, a maggior ragione quando si dilatano i tempi dell’esame della domanda di asilo, potrebbero essere idonee a privare definitivamente di efficacia il decreto stesso. Inoltre è necessario interrogarsi su quale sia il mezzo, idoneo a garantire il diritto ad un ricorso effettivo ai sensi dell’art 47 CEDU, per sottoporre la giudice tali valutazioni, poiché l’accertamento della non espellibilità, temporanea o definitiva, al fine di garantire la pienezza del diritto di difesa, dovrebbe potersi fare all’interno dello stesso giudizio di opposizione alla espulsione e non con una azione di accertamento, anche incidentale, successiva.
Il Collegio ritiene pertanto che la questione, posta nel primo motivo, debba essere discussa in pubblica udienza.
P.Q.M.
Rinvia la causa a nuovo ruolo per la fissazione del ricorso in pubblica udienza.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri titoli identificativi a norma dell’art. 52 d.lgs. 196/2003. Così deciso nella camera di consiglio della prima sezione civile, in data