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Protezione complementare: no all’automatismo ostativo

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 19672/2025, ha accolto il ricorso di un cittadino straniero a cui era stata negata la protezione complementare a causa di un precedente penale. La Corte ha stabilito che non può esistere un automatismo ostativo: il giudice deve sempre effettuare una valutazione attuale e concreta della pericolosità sociale, bilanciandola con il percorso di integrazione della persona, come il lungo soggiorno in Italia, i legami familiari e la stabilità lavorativa. La decisione del tribunale, basata su un’automatica presunzione di pericolosità, è stata cassata con rinvio per un nuovo esame.

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Pubblicato il 4 ottobre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Protezione complementare: No all’Automatismo Ostativo Basato su Vecchi Reati

L’ordinanza in commento della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nel diritto dell’immigrazione: la valutazione della pericolosità sociale di un richiedente protezione complementare con precedenti penali. La Corte ribadisce un principio fondamentale: non può esistere un automatismo ostativo. Un reato commesso in passato non può, da solo, giustificare il diniego della protezione se il richiedente ha dimostrato un solido percorso di integrazione. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un cittadino straniero che, dopo 24 anni di permanenza in Italia, si è visto negare la protezione internazionale. La sua istanza era stata rigettata sia dalla Commissione Territoriale che, in seguito, dal Tribunale di Messina. Il motivo principale del diniego risiedeva in alcuni precedenti penali, considerati automaticamente ostativi al riconoscimento di qualsiasi forma di protezione.

Tuttavia, il ricorrente aveva portato a sostegno della sua domanda elementi significativi del suo radicamento nel tessuto sociale italiano: un lavoro stabile come collaboratore domestico con contratto a tempo indeterminato, un contratto di locazione a suo nome da diversi anni e, soprattutto, forti legami familiari, tra cui un figlio diventato cittadino italiano e un nipote. A ciò si aggiungevano condizioni di salute che necessitavano di cure periodiche, difficilmente accessibili nel suo Paese d’origine.

La Decisione del Tribunale e i Motivi del Ricorso

Il Tribunale aveva respinto la domanda, ritenendo che i precedenti penali fossero sufficienti a dimostrare una pericolosità sociale tale da superare qualsiasi altra considerazione. Contro questa decisione, il cittadino ha proposto ricorso in Cassazione basato su cinque motivi, i principali dei quali contestavano:

1. Violazione di legge: L’errata applicazione delle norme che regolano la protezione, per aver deciso sulla base di condanne ormai risalenti nel tempo senza una valutazione attuale della pericolosità.
2. Omessa motivazione: La mancata valutazione della vita privata e familiare del ricorrente e l’assenza di un bilanciamento tra l’interesse pubblico alla sicurezza e i diritti fondamentali della persona.
3. Omessa valutazione delle condizioni di salute: Il non aver considerato le patologie del ricorrente come un ostacolo decisivo al rimpatrio.

Le Motivazioni della Cassazione sulla protezione complementare

La Corte di Cassazione ha accolto i primi quattro motivi di ricorso, ritenendoli fondati. Il cuore della decisione risiede nella netta opposizione al cosiddetto ‘automatismo ostativo’. La Corte ha chiarito che la presenza di un precedente penale non può tradursi in un’automatica esclusione dalla protezione complementare. Al contrario, impone al giudice di merito un’analisi più approfondita e individualizzata.

Il giudice deve:

* Accertare la pericolosità sociale in concreto e all’attualità: Non basta guardare a reati commessi anni prima. È necessario verificare se, al momento della decisione, il soggetto costituisca ancora una minaccia per la società.
* Effettuare un bilanciamento ragionevole e proporzionato: Bisogna pesare l’interesse pubblico alla sicurezza contro i diritti fondamentali del richiedente, come il diritto alla vita privata e familiare e il suo percorso di integrazione socio-lavorativa. Nel caso di specie, 24 anni di soggiorno, un lavoro regolare con contributi versati e un figlio italiano sono elementi di notevole peso che il Tribunale aveva ignorato.

Citando precedenti sentenze della stessa Corte, della Corte Costituzionale e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, i giudici hanno ribadito che un processo di integrazione avanzato, come quello dimostrato dal ricorrente, non può essere ‘irreversibilmente compromesso’ da un diniego automatico basato su fatti pregressi.

Il quinto motivo, relativo alla presunta non credibilità del racconto del richiedente, è stato invece dichiarato inammissibile, in quanto la Cassazione non può sostituire la propria valutazione dei fatti a quella del giudice di merito, se questa è motivata in modo logico.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha cassato il decreto del Tribunale di Messina, rinviando il caso a una nuova sezione dello stesso Tribunale per un riesame. Il nuovo giudizio dovrà attenersi ai principi espressi dalla Corte: basta automatismi, è indispensabile una valutazione concreta e attuale della situazione personale del richiedente. Questa ordinanza rappresenta una conferma importante della tutela dei diritti fondamentali nel contesto dell’immigrazione, sottolineando che l’integrazione e il tempo trascorso non possono essere ignorati di fronte a un passato che potrebbe non essere più rappresentativo della persona attuale.

Un precedente penale impedisce automaticamente di ottenere la protezione complementare?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che non può operare alcun automatismo. Il giudice deve valutare la pericolosità sociale attuale e concreta del richiedente, bilanciandola con il suo percorso di integrazione e i diritti fondamentali.

Quali elementi deve considerare il giudice nel valutare la richiesta di un cittadino straniero con precedenti penali?
Il giudice deve considerare elementi come il lungo soggiorno in Italia (in questo caso 24 anni), la stabilità lavorativa, la presenza di legami familiari (un figlio cittadino italiano), e la condotta attuale, per effettuare un bilanciamento ragionevole e proporzionato tra l’interesse pubblico e i diritti della persona.

La Corte di Cassazione può riesaminare la credibilità del racconto del richiedente asilo?
No. In questo caso, la Corte ha dichiarato inammissibile il motivo di ricorso relativo alla credibilità, affermando che la valutazione del Tribunale era congrua e che la Cassazione non può riesaminare le risultanze istruttorie, ma solo la corretta applicazione della legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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