Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20509 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 3 Num. 20509 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 90/2024 R.G. proposto da:
COGNOME domiciliato presso l’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, telematicamente domiciliato, che quale avvocato cassazionista si rappresenta e difende
-controricorrente-
nonchè contro
NOME (CODICE_FISCALE), telematicamente
domiciliato, che quale avvocato cassazionista si rappresenta e difende
-controricorrente-
nonchè contro
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE e COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonchè contro
FEZZA
NOME
e
GENERALI
ITALIA
SPA
-intimate- avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO SALERNO n. 1031/2023 depositata il 2 agosto 2023;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27 maggio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udita l’avv. NOME COGNOME per i controricorrenti COGNOME e COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso:
Fatti di causa
Per quanto qui interessa, il Tribunale di Salerno, con sentenza n. 1391/2021, rigettava domande di risarcimento dei danni per inadempimento degli obblighi professionali presentate da NOME
COGNOME nei confronti dei suoi precedenti avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME
Il COGNOME proponeva appello; si difendevano con rispettiva comparsa d’appello tutte le controparti, tranne NOME COGNOME
La Corte d’appello di Salerno, con sentenza n. 1031/2023, rigettava il gravame.
Il COGNOME ha proposto ricorso, articolato in sei motivi. Si sono difesi con rispettivo controricorso COGNOME COGNOME e COGNOME Quest’ultimo, tra l’altro, ha eccepito ‘inammissibilità/improcedibilità del ricorso’ per decorrenza del termine di cui all’articolo 325, secondo comma, c.p.c.
Chiamata la causa all’adunanza camerale del 13 febbraio 2025, hanno presentato memoria il ricorrente chiedendo, tra l’altro, la rimessione della causa in pubblica udienza e ciascuno dei controricorrenti. Nelle rispettive memorie i controricorrenti COGNOME e COGNOME hanno dichiarato di aderire all’eccezione suddetta del controricorrente COGNOME
Con ordinanza interlocutoria n. 4606/2025 la causa è stata rinviata in pubblica udienza per approfondire la questione suscitata dalla eccezione ex articolo 325 c.p.c. dei controricorrenti.
La causa è stata quindi discussa alla pubblica udienza del 27 maggio 2025, previo deposito di memoria del Procuratore Generale – che, qualificato tempestivo il ricorso, ne ha chiesto il rigetto nonché deposito di rispettiva memoria da parte del ricorrente e dei controricorrenti COGNOME e COGNOME
Ragioni di decisione
In primo luogo, occorre esaminare l’eccezione ex articolo 325 c.p.c. subito sollevata, come si è visto, dal controricorrente COGNOME cui hanno aderito i controricorrenti COGNOME e COGNOME.
3.1 La sentenza d’appello è stata notificata come enuncia lo stesso ricorrente nell’ incipit del ricorso – in data 9 ottobre 2023, e il perentorio termine breve di cui all’articolo 325 in combinato
disposto con l’articolo 326 c.p.c. – di sessanta giorni per il ricorso di cassazione – decorre dalla notificazione della sentenza impugnata. L’articolo 155 c.p.c., che regola il computo dei termini, al quarto comma stabilisce: ‘ Se il giorno di scadenza è festivo, la scadenza è prorogata di diritto al primo giorno seguente non festivo ‘; e al quinto comma precisa: ‘ La proroga prevista dal quarto comma si applica altresì ai termini per il compimento degli atti processuali svolti fuori dell’udienza che scadono nella giornata del sabato ‘. Pertanto la disciplina del computo dei termini di cui all’articolo 155, quarto e quinto comma, c.p.c., proroga di diritto al primo giorno non festivo il termine che scade in un giorno festivo o di sabato (per tutti, v. la recente Cass. sez. 3, ord. 22696/2024).
3.2 I controricorrenti hanno eccepito la tardività del ricorso perché, nel caso in esame, essendo il termine breve scaduto dal punto di vista cronologico il venerdì 8 dicembre 2023 – che era giorno festivo -, la scadenza dal punto di vista giuridico avrebbe dovuto verificarsi il sabato 9 dicembre 2023, mentre la notifica del ricorso è stata compiuta il lunedì 11 dicembre 2023.
La tesi per cui il termine che verrebbe a scadere in un venerdì festivo così prorogandosi al sabato, non dovrebbe a sua volta prorogarsi di diritto ‘ al primo giorno seguente non festivo ‘ a norma del quarto comma dell’articolo 155 c.p.c. patisce evidente infondatezza.
La giurisprudenza di questa Suprema Corte riconosce che in siffatti casi la protrazione del termine si verifica pure rispetto al sabato, così da condurne la conclusione al lunedì successivo (cfr. Cass. ord. 1655/2021 e Cass. ord. 31011/2021, non massimate, e, in motivazione, la già citata Cass. ord. 22696/2024).
Si rileva al riguardo, a giustificazione di quanto emerge dalle dette motivazioni, in primo luogo che il quinto comma dell’articolo 155, a proposito del sabato, ove si riferisce al termine per il compimento di atti processuali svolti fuori dall’udienza che scade nel giorno di
sabato, come oggetto della ‘ proroga prevista dal quarto comma ‘, non può che considerare come termine che scade ‘ nella giornata del sabato ‘ anche quello che, ai sensi del quarto comma, è stato prorogato al sabato perché scadeva in un venerdì festivo. È sufficiente rilevare che l’espressione ‘ proroga prevista dal quarto comma ‘ è di per sé idonea a fare assumere come oggetto di disciplina pure il termine che, per effetto della proroga stessa, risulti ‘prorogato’ (e dunque scadente) al sabato, e ciò senza bisogno dell’espressione che -secondo la non condivisibile prospettazione in esame mancherebbe, cioè quella ‘anche per effetto di proroga’.
La non condivisibilità dell’esegesi proposta dai controricorrenti risulta palese se si considera che sarebbe del tutto contraddittorio in una norma che equipara, sebbene per il compimento degli atti processuali fuori dall’udienza, il sabato al giorno festivo, così chiaramente manifestando la valutazione del legislatore che, limitatamente a tali atti, il sabato debba considerarsi come un giorno festivo – supporre che, allorquando un termine di tal genere venga prorogato quale giorno successivo a un venerdì festivo, il legislatore abbia voluto escludere l’equiparazione per non avere inserito un riferimento al termine scadente per effetto di proroga.
È sufficiente considerare che, se si ritiene che un termine direttamente scadente il sabato per il compimento di atti processuali da svolgersi fuori dall’udienza sia stato equiparato a quello festivo, com’è palese secondo il tenore del quinto comma dell’art. 155, perché si vuole evitare che detta specifica attività debba compiersi in giorno di sabato, lo scopo normativo di evitare che sabato si debbano compiere atti processuali fuori da un’udienza, che palesemente è quello di escludere che tale tipologia lavorativa debba compiersi di sabato, Risulterebbe frustrato e contraddetto: invero, una volta che un termine per il compimento di un atto fuori udienza scadente in un venerdì festivo
sia stato prorogato – secondo il quarto comma che, si badi, si riferisce a qualsiasi giorno festivo – al successivo giorno non festivo, la parificazione alla nozione di giorno festivo del sabato, sia pure per l’attività processuale costituita dal detto compimento, disposta dal quinto comma, assegna a tali fini di per sé al sabato il valore di giorno – a quell’effetto -festivo. E questo il significato, l’implicazione del ‘ si applica ‘ di cui al quinto comma.
Del tutto irrilevante ai fini della questione esegetica è l’ultimo comma dell’articolo 155, dato che esso si applica quanto al sabato alle attività diverse dal compimento di atti processuali svolti fuori dall’udienza, come evidenzia il necessario coordinamento dell’espressione ‘ regolare svolgimento delle udienze e di ogni altra attività giudiziaria ‘, dovendo evidentemente l’espressione suddetta intendersi come relativa alle attività che non si debbano concretare in ‘ atti processuali svolti fuori dall’udienza ‘, quali sono le attività notificatorie.
E’ appena il caso di rilevare che deve escludersi, nella vigenza del processo telematico, che la modalità telematica della notificazione non sia attuabile nel giorno di sabato.
Dalle svolte considerazioni consegue che l’eccezione è priva di fondamento, dovendosi affermare il principio per cui: << qualora il termine processuale vo di un'impugnazione venga a scadere in un venerdì che sia considerato giorno festivo, detto termine, risultando prorogato – ai sensi del quarto comma dell'articolo 155 c.p.c. – al primo giorno seguente non festivo, cioè al sabato, ed essendo tale giorno – ai sensi del quinto comma successivo – soggetto al disposto dallo stesso quarto comma virgola che trova applicazione al compimento degli atti processuali da svolgersi fuori dall'udienza, quale è la notificazione dell'impugnazione, risulta a sua volta prorogato <>. Ne consegue che essendo la domenica che succede al sabato giorno
festivo a sua volta, il termine stesso risulta prorogato al lunedì successivo, sempre che esso a sua volta non sia festivo >>.
Occorre quindi passare al vaglio dei motivi presenti nel ricorso.
Il primo motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli articoli 1223, 1227, 2043 e 2697 c.c.
4.1 Il giudice d’appello avrebbe erroneamente ritenuto l’insussistenza di nesso causale tra i danni che il COGNOME avrebbe subito e le asserite inadempienze dei suoi precedenti difensori cioè gli attuali controricorrenti – nei giudizi svolti davanti alla Pretura di Avellino, sezione lavoro, dal 1997 e dal 1996 in avanti, da cui era derivato appello davanti alla Corte d’appello di Napoli, sezione lavoro, e poi ricorso a questa Suprema Corte, sezione lavoro. E ciò in relazione a un lavoro subordinato di impiegato che il COGNOME avrebbe svolto per oltre vent’anni, compiendo in realtà mansioni dirigenziali; lavoro conclusosi per un licenziamento che sarebbe stato illegittimo, e dal quale si erano sviluppati i suddetti processi, durati per più di diciotto anni.
Lamenta il ricorrente che la corte territoriale, quanto all’accertamento del nesso causale fra i pregiudizi subiti e le ‘molteplici inadempienze addebitate agli ex difensori’, avrebbe violato il principio del ‘più probabile che non’. Si argomenta ampiamente sul contenuto della sentenza impugnata, censurandolo in rapporto alle sentenze della vicenda in cui il COGNOME era stato difeso dalle attuali controparti.
4.2 Il motivo veicola ictu oculi una censura che sarebbe propria di un gravame come l’appello, perseguendo un’inammissibile riesame delle circostanze fattuali in base alle quali il giudice di merito ha raggiunto il suo accertamento del fatto: una rivisitazione che non può accedere nel presente giudizio di legittimità.
D’altronde, qualora si intenda – in denegata ipotesi ‘tradurre’ il motivo in una censura dell’apparato motivazionale, quest’ultima
sarebbe evidentemente priva di consistenza, l’apparato motivazionale costituendo qui una struttura illustrativa del percorso del giudice tale da rispettare il canone di sufficienza e trasparenza insito nell’articolo 111, sesto comma, Cost. e riflesso nell’articolo 132 c.p.c.
5. Il secondo motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli articoli 1176, 1178 e 2697 c.c., in relazione agli articoli 112, 115, 116 c.p.c., 111, commi primo, secondo e settimo, Cost. e 6 par.1 CEDU.
5.1 La sentenza impugnata offrirebbe ‘una motivazione di stile’, con ‘un ragionamento fuorviante e manifestamente illogico, poiché avulso dalle risultanze processuali del caso concreto’, e così omettendo di rilevare ‘la duplice negligenza istruttoria’ in cui sarebbero incorsi gli attuali controricorrenti quanto ‘alla contestata rinuncia (attribuita alla parte) a ben 11 testi su 13 ammessi in favore del ricorrente’ e altresì ‘all’addebito contestato ai difensori di avere, tardivamente, prodotto, solo con le note conclusive del 10/03/1997, documenti determinanti ai fini del decidere, già in loro possesso, attestanti le mansioni dirigenziali svolte dal ricorrente, così prestando il fianco all’avversaria eccezione di decadenza’.
5.2 A tacer d’altro, dimostra l’infondatezza della censura di motivazione come manifestamente illogica e ‘di stile’ quel che il giudice d’appello ha chiaramente esposto sulla tematica sopra richiamata.
Nelle pagine 20-21 della sentenza, infatti, sono affrontati in modo specifico quelli che la corte territoriale qualifica ‘secondo addebito’ – che corrisponde alla doglianza sulla rinuncia ad undici testi – e ‘terzo addebito’ – che corrisponde alla doglianza sui documenti prodotti ‘solo con le note autorizzate conclusive del 10. 3. 1997’ -. Ancora una volta, quindi, non risulta assente una motivazione offerta secondo il minimo costituzionale.
5.3 Se questo deve rilevarsi proprio in ordine alla motivazione, in conseguenza dell’ incipit del motivo, per le norme sostanziali e processuali presenti in rubrica è il caso di osservare quanto segue. La violazione dell’articolo 2697 c.c. non è stata dedotta secondo i criteri espressamente indicati in motivazione da S.U. 16598/2016 non massimata al riguardo -, ribaditi, ex multis , in altre pronunce, tra cui le massimate Cass. 26769/2018 -‘ In tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra i fatti costitutivi ed eccezioni, mentre, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c. ‘ -e Cass. 26739/2024 del tutto conforme -.
Parimenti, anche la denuncia in base agli articoli 115 e 116 c.p.c. non corrisponde ai criteri indicati da Cass. 11892/2018, che ha sviluppato una linea giurisprudenziale la quale ha trovato culmine in S.U. 20867/2020.
A proposito, allora, degli articoli 115 e 116 c.p.c. S.U. 20867/2020 ha insegnato: ‘ In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri ufficiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e
la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. ‘; e cfr., tra le successive massimate, Cass. 13918/2022 e l’assai recente Cass. ord. 9731/2025 -‘ La mancata ammissione della prova testimoniale non è censurabile in sede di legittimità per violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in quanto la prima violazione ricorre soltanto quando il giudice di merito ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, e, cioè, ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e la seconda quando ha disatteso il principio della libera valutazione delle prove in assenza di una deroga normativamente prevista o ha valutato secondo prudente apprezzamento una prova soggetta ad un diverso regime ‘. -Non vi è, evidentemente, alcuna ragione per rimettere in discussione questa strutturazione delle modalità accertatorie/valutative ut supra descritte.
Anche sotto questo profilo, dunque, il motivo non merita accoglimento, osservandosi -infine – che per di più rimane non comprensibile l’evocazione delle norme costituzionali e sovranazionali indicate nella rubrica.
6. Il terzo motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli articoli 1218, 2697 c.c., 112, 115 e 116 c.p.c. per ‘omessa valutazione della tardiva proposizione del gravame e della negligente condotta dell’avv. NOME COGNOME.
6.1 Ad avviso del ricorrente, la corte territoriale avrebbe violato tutte le suddette norme ‘per avere omesso di valutare la gravità della dolosa e negligente condotta dell’avv. COGNOME responsabile della tardiva proposizione dell’appello’; e ‘si rinvia a quanto sopra
illustrato nei primi due motivi’ sul mancato riconoscimento delle ‘negligenze professionali’ addebitate a tale avvocato.
6.2 A prescindere dall’insegnamento interpretativo della giurisprudenza richiamata nel motivo precedente a proposito degli articoli 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c., risulta evidente l’erroneità della doglianza relativa all’articolo 112 c.p.c. -al contenuto della domanda di accertamento dell’inadempimento, che non sarebbe stata esaminata dal giudice d’appello, si rapporta poi evidentemente anche il riferimento all’articolo 1218 c.c., venendone quindi assorbito -.
Non corrisponde al reale contenuto della sentenza impugnata la doglianza: infatti la corte territoriale si è specificamente spesa sulla questione della condotta dell’avv. Frezza quanto alla proposizione tardiva dell’appello, quando difendeva l’attuale ricorrente nella sua vicenda giuslavoristica. Nelle pagine 21s. della pronuncia qui impugnata, si affronta proprio il relativo accertamento, affermando conseguentemente che ‘la negligenza del difensore (la proposizione tardiva dell’appello) non basta a fondare un’azione di responsabilità’ occorrendo l’esito positivo in tal senso, per l’attore, di ‘un giudizio prognostico controfattuale’, come è ben noto alla luce della giurisprudenza di questa Suprema Corte (sulla responsabilità dell’avvocato cfr. ex multis Cass. ord. 24007/2024, Cass. ord. 2109/2024, Cass. ord. 30169/2018 e Cass. 25112/2017), il quale giudizio, d’altronde, rientra nella valutazione di merito (Cass. 28903/2024; Cass. 3355/2014).
Anche questo motivo, pertanto, è privo di consistenza.
Il quarto motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli articoli 1176, 1178, 1218, 2103, 2729 c.c., in relazione agli articoli 112, 115, 116 c.p.c., 111, commi primo, secondo e sesto, e 24 Cost. nonché 6 CEDU.
7.1 Ancora una volta, viene denunciato ‘difetto assoluto di motivazione’, qui ‘per avere ristretto l’esame delle risultanze istruttorie a sole due degli otto procedimenti allegati … omettendo di valutare, in concreto, gli esiti dei restanti giudizi e le relative responsabilità professionali dagli stessi organi giudicanti in sede di appello e di legittimità’ -vengono invocate la sentenza n. 1736/2001 della Corte d’appello di Napoli e la sentenza n. 22833/2004 del giudice di legittimità -. Per dimostrarlo, si inseriscono e si illustrano elementi fattuali/probatori, come emerge in particolare nelle pagine 25 e 26 del ricorso.
7.2 Il presente motivo, dunque, pur tentando di schermarsi con la normativa invocata nella rubrica e anche con il riferimento a un difetto assoluto di motivazione, costituisce, in realtà, una censura propria del gravame, e quindi è palesemente inammissibile, non essendo stato correttamente introdotto nessun profilo esaminabile in iure , essendo d’altronde del tutto generico l’asserto che siano state esaminate dall’attuale giudice d’appello solo alcune delle pronunce della protratta vicenda processuale vissuta dal ricorrente.
Il quinto motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, nn. 3 e 4 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli articoli 185 bis e 350, terzo comma, c.p.c., nonché ‘difetto assoluto di motivazione’. 8.1 La corte territoriale avrebbe ‘omesso di esercitare il potere -dovere, anche in sede di appello, di formulare una proposta transattiva, ovvero di rimettere le parti dinanzi ad un Organismo di Mediazione’, motivo per cui la sentenza sarebbe nulla ‘per avere del tutto omesso di pronunciarsi in punto di violazione della normativa sulla conciliazione’.
8.2 L’articolo 185 bis c.p.c., sia per il tenore letterale, sia per il collocamento nel codice di rito, riguarda chiaramente l’avvio del processo, ovvero il giudizio di primo grado. Peraltro, anche qualora si potesse prescindere da ciò, è dirimente rilevare che non vi è alcun obbligo in capo al giudicante, ma soltanto il potere di
introdurre una proposta che conduca la controversia alla soluzione in modo diverso rispetto a quello usuale della piena cognizione del giudice.
Non si vede, quindi, come possa conformarsi in una siffatta fattispecie un’omessa pronuncia.
Il motivo, pertanto, non ha consistenza alcuna.
Il sesto motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, nn. 3 e
4 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli articoli 70, primo
comma, n.5, 221 c.p.c., 11 e 331 c.p.p.
9.1 La Corte d’appello, ‘nonostante la sussistenza di plurime ipotesi di reato, anche in danno dell’amministrazione della giustizia, come specificamente evidenziate nell’atto d’appello, rilevabili anche d’ufficio’, avrebbe omesso di pronunciarsi sulla domanda di ‘notiziazione del PM/PG’ territorialmente competente, ai sensi degli articoli 11 e 331 c.p.p., ‘anche sotto il profilo della impugnazione di falso delle dichiarazioni rese dai testi’.
Il ricorrente aveva insistito per la rimessione sul ruolo della causa ‘ai fini istruttori, previa notiziazione dei PM di Salerno e Napoli’, ravvisandosi ‘ipotesi di reato anche a carico di taluni organi che avevano definito in pregressi gradi e fasi di giudizio’; si tratterebbe ‘di una delle situazioni tipizzate dagli artt. 70 ss. e 221 ss. c.p.c., vertendosi in materia di accertamento di responsabilità professionale di avvocato da infedele patrocinio e querela di falso’, che sarebbe plurioffensivo investendo anche la giustizia.
9.2 A tacer d’altro, il motivo è radicalmente generico nell’individuare gli oggetti rispetto ai quali si sarebbe dovuta sollecitare l’azione penale, il che, rendendo non idoneo al vaglio il contenuto del motivo stesso, conduce all’inammissibilità, che tutto il resto assorbe.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente a rifondere a ciascuno dei controricorrenti le spese processuali, liquidate come da dispositivo.
Seguendo l’insegnamento di S.U. 20 febbraio 2020 n. 4315 si dà atto, ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere a ciascuno dei controricorrenti le spese processuali, liquidate in € 3300, oltre a € 200 per gli esborsi, nonché agli accessori di legge.
Ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 27 maggio 2025 nella camera di consiglio