Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24634 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 24634 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 05/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso 17478-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4635/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 17/12/2019 R.G.N. 128/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/06/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
Fatti di causa
Oggetto
Costituzione rapporto privato
R.G.N.17478/2020
COGNOME
Rep.
Ud 10/06/2025
CC
NOME COGNOME ha chiesto al Tribunale di Roma, previa declaratoria di illegittimità del contratto di somministrazione in virtù del quale essa lavoratrice aveva svolto, come da causale, presso la RAGIONE_SOCIALE (ora RAGIONE_SOCIALE, compiti di segreteria di direzione per l’amministratore delegato in attesa di definitiva assunzione di personale, dall’11.9.2012 al 10.12.2012, con successive proroghe fino all’11.3.2013 e all’11.9.2013, considerarsi costitui to un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con la suindicata utilizzatrice a decorrere appunto dall’11.9.2012, con tutte le conseguenze economiche.
L’adito Tribunale ha rigettato le domande ritenendo non generica la causale del contratto e provata, in concreto, la stessa.
La Corte di appello di Roma, con la sentenza n. 4635/2019, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha dichiarato l’illegittimità delle proroghe relative al suddetto contratto di somministrazione, con conseguente costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con la società utilizzatrice dal 10.12.2012 e giuridica prosecuzione del rapporto dopo l’11.9.2013 e con condanna della datrice di lavoro al pagamento di una indennità ex art. 32 co. 5 legge n. 183/2010, determinata nella misura di sei mensilità, oltre accessori.
I giudici di seconde cure hanno rilevato che: a) il contratto stipulato successivamente alla modifica dell’art. 1 D.lgs. n. 368/2001, apportata dalla legge n. 92/2012, poteva essere acausale perché non superiore ai dodici mesi; b) tuttavia, ai sensi del co . 2 bis, inserito nell’art. 4 dopo il comma 2 dalla legge n. 92/2012, il contratto non poteva essere oggetto di
proroghe; c) da qui l’illegittimità delle stesse e la costituzione, dal 10.12.2012, del rapporto di lavoro a tempo indeterminato con l’utilizzatrice.
Avverso la sentenza di secondo grado la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi cui ha resistito con controricorso NOME COGNOME
La società ha depositato memoria.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
Ragioni della decisione
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, la violazione e falsa applicazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 cpc, per avere la Corte territoriale ritenuto illegittime le proroghe del termine apposto al contratto di somministrazione del 3.9.2012 nonostante la Pacifico non avesse svolto alcuna censura e/o domanda in tale senso, così statuendo oltre i limiti della domanda proposta.
Il motivo non è fondato.
Invero, in tema di ultrapetizione o extra petizione, va distinta l’ipotesi in cui, in corso di causa, la parte deduca a fondamento della domanda fatti nuovi e diversi da quelli in precedenza dedotti -introducendo così nuovi temi di indagine – dall’ipotesi in cui, rimanendo inalterati i fatti dedotti, essa ne dia una diversa qualificazione giuridica, verificandosi nella prima ipotesi un mutamento della domanda e nella seconda un semplice mutamento della qualificazione giuridica (Cass. n. 2746/2007).
Inoltre, è stato affermato che non incorre in violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, né del divieto di eccezioni nuove in appello, di cui all’art. 345 cod. proc. civ., il giudice d’appello che, rimanendo nell’ambito del “petitum” e della “causa petendi”, confermi la decisione impugnata ponendo a fondamento della decisione anche proprie argomentazioni, basate sulle risultanze processuali, aggiuntive rispetto a quelle prospettate dalle parti, giacché la valorizzazione delle circostanze di fatto acquisite al processo rientra nella funzione del giudice di merito (Cass. n. 18458/2005).
Nella fattispecie i giudici di appello, a fronte delle ragioni della originaria domanda, in cui si faceva cenno, oltre che in via esplicita alla genericità della causale, anche alla illegittimità delle proroghe e alle difese della società, la quale in sede di note finali nel giudizio di primo grado, con una terza linea difensiva, aveva dedotto che, ai sensi dell’art. 1 co. 1 bis D.lgs. n. 368/2001, inserito dall’art. 1 co. 9 lett. b) legge n. 92 del 2012, la causale temporanea non era più richiesta nell’ipo tesi di primo rapporto a tempo determinato di durata non superiore a dodici mesi, così suscitando la replica di controparte circa la impossibilità di effettuare proroghe vigente quel regime normativo, hanno appunto deciso la controversia sulla base di fatti allegati, analizzando gli stessi in relazione alle disposizioni ratione temporis vigenti e senza, pertanto, incorrere in alcuna violazione dell’art. 112 cpc.
Con il secondo motivo si censura, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1 co. 1 bis e 4 co. 2 bis del D.lgs. n. 368/2001, per avere la Corte territoriale ritenuto che il contratto di somministrazione, benché stipulato per una durata inferiore
a dodici mesi, non avrebbe potuto essere prorogato nonostante la sua durata complessiva, comprensiva delle proroghe, non superasse appunto il limite dei dodici mesi.
Anche questo motivo è infondato.
E’ opportuno fare un breve riepilogo del quadro normativo vigente al momento della stipula del contratto di cui è processo.
L’ipotesi generale dell’art. 1, comma 1 -bis, lett. a), inserito dall’art. 1 co. 9 lett. b) legge n. 92 del 2012, del d. lgs. n. 368/2001, prevedeva, quale unica limitazione prevista per la sua stipulazione, la durata fissata nel periodo massimo di un anno: detta limitazione temporale riguardava esclusivamente l’ipotesi prevista dalla lettera a), mentre per quelle previste dalla lettera b) l’eventuale fissazione di un periodo massimo di durata del contratto era affidata alla contrattazione collettiva, che poteva individuarlo anche in misura superiore all’anno. La suddetta conclusione si ricavava anche dalla disciplina generale della proroga, che veniva estesa, attraverso la cancellazione del comma 2-bis dell’art. 4, alle ipotesi di contratto a termine di cui alla lettera b), ma non a quelle di cui alla lettera a), che mantenevano una disciplina specifica sul punto.
La versione originaria della l. n. 92/2012, infatti, statuiva espressamente che il contratto a termine ‘acausale’ non potesse essere prorogato.
Si è posto il problema giuridico se, invece, fossero comunque possibili proroghe nell’ambito del termine di durata massima di dodici mesi.
Sotto questo profilo la soluzione alla questione può essere ricavata dal successivo intervento del d. l. n. 76/2013, convertito in legge n. 99/2013.
L’art. 7 comma 1, lett. b), infatti, ha abrogato il comma 2bis dell’art. 4, d.lgs. n. 368/2001, che escludeva la possibilità di prorogare il contratto stipulato ai sensi dell’art. 1, comma 1-bis. La legge di conversione del decreto ha, poi, specificato ch e la durata massima di 12 mesi è ‘comprensiva di eventuale proroga’: la sola cancellazione del comma 2 -bis dell’art. 4 del d. lgs. n. 368/2001, infatti, come è stato precisato in dottrina, avrebbe potuto far ritenere applicabile la disciplina generale della proroga, compresa la durata massima di tre anni del contratto prorogato.
La disposizione del citato art. 7 co. 1 lett. b), come integrata in sede di conversione, riveste, senza dubbio, carattere innovativo rispetto alla norma modificata per cui la conclusione cui è giunta la Corte territoriale, secondo cui per il contratto a tempo determinato acausale, stipulato l’11.9.2012, non fosse possibile alcuna proroga, a prescindere dalla sua durata, è corretta perché conforme sia ad una interpretazione letterale della norma, ratione temporis vigente, che ad una logico-sistematica tenendo conto degli interventi legislativi successivamente effettuati.
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 giugno 2025