Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 20835 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 20835 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 25/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 27424-2020 proposto da:
COGNOME NOME e COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO , nello studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentati e difesi da ll’AVV_NOTAIO
– ricorrenti –
contro
FASOLINO RITA
– intimata – avverso la sentenza n. 681/2020 della CORTE DI APPELLO di SALERNO, depositata il 18/06/2020;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 25.7.2008 NOME NOME conveniva in giudizio COGNOME NOME e COGNOME NOME innanzi il Tribunale di Nocera Inferiore, esponendo che costoro, proprietari dell’appartamento soprastante quello di essa attrice, avevano modificato, senza titolo, il tetto di copertura dello stabile, sul presupposto di essere proprietari esclusivi del sottotetto, ed invocandone la condanna al ripristino ed al risarcimento del danno, o in subordine al pagamento dell’indennità prevista dall’art. 1127 c.c. in ragione dell’aumento del loro diritto sulle parti comuni dell’edificio, conseguente alle opere eseguite arbitrariamente.
Si costituivano i convenuti, resistendo alla domanda ed eccependo la sussistenza della loro proprietà esclusiva del sottotetto, o comunque la prescrizione dei diritti dell’attrice.
Con sentenza n. 72/2014 il Tribunale accoglieva la domanda principale, condannando i convenuti al ripristino ed al risarcimento del danno, sia pure in misura molto contenuta rispetto alla richiesta iniziale della COGNOME.
Con la sentenza impugnata, n. 681/2020, la Corte di Appello di Napoli rigettava il gravame interposto dagli odierni ricorrenti avverso la decisione di prime cure, confermandola.
Propongono ricorso per la cassazione di tale pronuncia NOME NOME e COGNOME NOME, affidandosi a sette motivi.
La parte intimata non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.
In prossimità dell’adunanza camerale, la parte ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, i ricorrenti sollevano eccezione di incostituzionalità degli artt. 62-72 della legge n. 98/2013, di conversione del D. L. n. 69/2013, in relazione agli artt. 3, 14, 106 e 111 Cost. e denunziano nullità della sentenza per violazione dell’art. 158 c.p.c. e vizio di costituzione del giudice, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la sentenza impugnata sarebbe stata pronunciata da un collegio composto anche da un giudice ausiliario, estensore materiale della decisione predetta.
La censura, che la stessa parte ricorrente dichiara essere ‘superata’ per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 41 del 2021 (cfr. pag. 3 della memoria depositata in prossimità dell’adunanza camerale) deve ritenersi abbandonata e quindi è inutile soffermarsi.
Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione o falsa applicazione degli artt. 1117 e 817 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ravvisato la natura condominiale del sottotetto e del lastrico solare di cui è causa.
Con il terzo motivo, denunziano invece la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte distrettuale avrebbe reso una motivazione meramente apparente.
Con il quarto motivo, si dolgono ancora della nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte territoriale avrebbe omesso di esaminare il motivo di gravame con il quale gli odierni ricorrenti avevano censurato la decisione di prime cure, nella parte in cui essa
aveva ravvisato l’idoneità del sottotetto e del lastrico al servizio e godimento della collettività dei partecipanti al condominio.
Con il quinto motivo, lamentano invece l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe tralasciato di considerare che il sottotetto di cui è causa svolgeva esclusivamente la funzione di isolare termicamente l’appartamento sottostante e non è idoneo ad assolvere ad alcuna diversa finalità.
Con il sesto motivo, i ricorrenti denunciano l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., perché la Corte del gravame avrebbe trascurato di tener conto che il sottotetto di cui è causa ed il soprastante lastrico non erano accessibili se non dalla scala ricavata da uno dei vani del sottostante alloggio di proprietà degli odierni ricorrenti.
Infine, con il settimo ed ultimo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte distrettuale avrebbe erroneamente affermato che il sottotetto ed il lastrico di cui è causa erano stati modificati dagli odierni ricorrenti, senza indicare la prova posta a fondamento di tale affermazione.
Le censure, suscettibili di esame congiunto perché tutte attinenti, a vario titolo, alla ricostruzione del fatto ed all’apprezzamento delle prove condotti dal giudice di merito, sono in parte infondate ed in parte inammissibili.
Va subito dichiarata l’inammissibilità della deduzione del vizio di omesso esame, di cui al quinto e sesto motivo, in presenza di una ipotesi di cd. doppia conforme . Sul punto, la conferma della sussistenza, nel caso di specie, di una ipotesi di doppia conforme si
ricava – ove mai ce ne fosse ancora bisogno – dallo stesso contenuto del ricorso, che afferma espressamente, a pag. 16, che la Corte di Appello avrebbe ripercorso le argomentazioni del Tribunale, ed ancora, a pag. 24, che la motivazione resa dal giudice del gravame sarebbe ‘meramente sovrapponibile’ a quella del primo giudice.
Va altresì esclusa la sussistenza di un profilo di omessa pronuncia su un motivo di appello, che i ricorrenti sollevano con il quarto mezzo di impugnazione, poiché la Corte distrettuale ha scrutinato tutte le censure che gli odierni ricorrenti avevano proposto avverso la decisione di prima istanza, vagliandole congiuntamente e ravvisando, in concreto, la natura condominiale dell’area oggetto di causa.
La doglianza in esame, dunque, è – sotto questo profilo – infondata. In aggiunta, va anche considerato che i ricorrenti neppure riproducono il motivo del quale lamentano l’omesso esame, ma fanno riferimento, in modo generico, allo ‘articolato motivo di gravame’ da essi proposto. Articolato motivo che la Corte di Appello ha ricostruito, alle pagg. 6 e ss. della sentenza impugnata, ed ha esaminato, con motivazione che, pur nella sua stringatezza, non è viziata da apparenza, né appare manifestamente illogica, ed è idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dar atto dell’iter logico-argomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830, nonché, in motivazione, Cass. Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023, Rv. 666639).
Allo stesso modo infondata è la deduzione, nel settimo motivo, di un errore percettivo, al quale i ricorrenti fanno riferimento a pag. 41 del ricorso. Sul punto, occorre precisare che l’errore di percezione, ove mai sussistente, avrebbe dovuto essere sollevato nelle forme della
revocazione, e non -dunque- con il ricorso in sede di legittimità, onde il motivo, sotto questo aspetto, è inammissibile.
Per quel che attiene, invece, il travisamento della prova, cui sembra alludere l’espressione utilizzata dalla parte ricorrente, sempre in relazione al settimo motivo, a pag. 17 della memoria, ove si afferma che la Corte distrettuale avrebbe fatto riferimento ad una ‘prova immaginaria’ , occorre ribadire che ‘In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.’ (Cass. Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037 – 01). Mentre, con riferimento alla deduzione relativa alla violazione dell’art. 116 c.p.c., va ribadito che ‘In tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato -in assenza di diversa indicazione normativa- secondo il suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio
prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione’ (Cass. Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037 – 02; conf. Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 16016 del 09/06/2021, Rv. 661360).
Nessuna di tali ipotesi ricorre nel caso di specie, poiché quel che i ricorrenti invocano, con tutte le censure proposte, dal secondo al settimo motivo, è una revisione del giudizio di fatto operato dalla Corte di Appello, la quale ha ritenuto che il bene controverso, rappresentato da un sottotetto e da un lastrico solare, rientrasse nel novero delle parti comuni dell’edificio, elencate dall’art. 1117 c.c. e che dall’esame dei titoli non si evincesse alcun elemento idoneo a dimostrare che la proprietà del cespite predetto fosse stata trasferita agli odierni ricorrenti. La Corte distrettuale ha altresì rilevato che la destinazione del sottotetto e la sua funzione erano state modificate dai coniugi COGNOME e NOME e che, dunque, fosse irrilevante la circostanza che l’accesso ad essi potesse avvenire soltanto mediante una scala interna. Trattasi di statuizione fondata su un giudizio di merito, al quale la parte ricorrente contrappone una ricostruzione alternativa del fatto e delle prove, senza tener conto che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui ‘L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla
credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata ‘ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330).
Né, infine, sussiste contrasto tra la statuizione assunta dal giudice di merito e l’insegnamento di questa Corte, posto che la cd. ‘presunzione di condominialità’ derivante dall’inclusione del bene nell’elenco di cui all’art. 1117 c.c., che in realtà tale non è trattandosi piuttosto di una regola generale di attribuzione della proprietà, può esser vinta soltanto mediante la prova certa che il bene non sia mai stato di proprietà comune. Prova, questa, da fornire a cura del soggetto interessato, mediante la produzione di un titolo anteriore all’insorgenza del condominio, ovvero dimostrando che lo stesso sia stato acquistato per usucapione.
Al riguardo, si deve considerare infatti che i rapporti tra proprietà individuale e proprietà condominiale sono regolati dal principio secondo cui ‘In tema di condominio negli edifici, per tutelare la proprietà di un bene appartenente a quelli indicati dall’art. 1117 c.c. non è necessario che il condominio dimostri con il rigore richiesto per la rivendicazione la comproprietà del medesimo, essendo sufficiente, per presumerne la
natura condominiale, che esso abbia l’attitudine funzionale al servizio o al godimento collettivo e cioè sia collegato, strumentalmente, materialmente o funzionalmente con le unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini, in rapporto con queste da accessorio a principale, mentre spetta al condomino che ne affermi la proprietà esclusiva darne la prova’ (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 20593 del 07/08/2018, Rv. 650001; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11195 del 07/05/2010, Rv. 613094).
Nell’ambito del predetto rapporto, alcun rilievo assume la circostanza che un determinato spazio, comunque condominiale in funzione della sua natura e destinazione di fatto, non sia stato indicato nel regolamento dell’ente di gestione. Infatti ‘La presunzione legale di condominialità stabilita per i beni elencati nell’art. 1117 c.c., la cui elencazione non è tassativa, deriva sia dall’attitudine oggettiva del bene al godimento comune sia dalla concreta destinazione di esso al servizio comune, con la conseguenza che, per vincere tale presunzione, il soggetto che ne rivendichi la proprietà esclusiva ha l’onere di fornire la prova di tale diritto; a tal fine, è necessario un titolo d’acquisto dal quale si desumano elementi tali da escludere in maniera inequivocabile la comunione del bene, mentre non sono determinanti le risultanze del regolamento di condominio, ne’ l’inclusione del bene nelle tabelle millesimali come proprietà esclusiva di un singolo condomino’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5633 del 18/04/2002, Rv. 553833; cfr. anche Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8152 del 15/06/2001, Rv. 547520, che esclude la natura decisiva dei dati catastali, dotati di mera valenza indiziaria).
Poiché nel caso di specie la parte ricorrente non dimostra di aver allegato, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di Appello, un titolo idoneo a dimostrare la sua proprietà esclusiva del bene
contro
verso, l’applicazione alla fattispecie della regola di attribuzione della proprietà comune di cui all’art. 1117 c.c. è corretta.
In definitiva, il ricorso va rigettato.
Nulla per le spese, in assenza di svolgimento di attività difensiva da parte intimata nel presente giudizio di legittimità.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P .R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
PQM
la Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda