Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21030 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 21030 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 26/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 5453-2020 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO INDIRIZZO, nello studio dell’AVV_NOTAIO che la rappresenta e difende
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE DI INDIRIZZO in ROMA, in persona del legale rapprsentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, nello studio dell’AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende
– controricorrente –
nonchè contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO , nello studio dell’AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 5834/2020 della CORTE DI APPELLO di ROMA, depositata il 27/09/2019;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 1674/2013 il Tribunale di Roma accoglieva la domanda proposta da COGNOME NOME, proprietaria di un appartamento sito nel Condominio di INDIRIZZO Cadlolo nn. 90/92, interno 4, dichiarava l’attrice proprietaria esclusiva del giardino annesso alla sua porzione immobiliare, del relativo sottosuolo e del muro di confine esistente tra detto giardino e la INDIRIZZO; accertava l’estinzione per non uso ultraventennale del diritto di servitù di scolo delle acque piovane provenienti dal vicino giardino di proprietà COGNOME e di altre limitrofe proprietà; dichiarava l’intervenuta costituzione, per usucapione, del diritto di servitù di scolo in favore del giardino di proprietà COGNOME ed a carico di quello di proprietà COGNOME, esercitata sin dal 1983; condannava la COGNOME a puntellare opportunamente lo scavo da lei realizzato nel suo giardino ed a ripristinare il muro di confine con la proprietà COGNOME; compensava le spese del grado.
Con la sentenza impugnata, n. 5834/2019, la Corte di Appello di Roma, riformando la decisione di prime cure, rigettava la domanda della COGNOME, condannandola al ripristino della tubatura di scarico esistente nel sottosuolo del suo giardino e ad eliminare lo scavo ivi realizzato. La Corte distrettuale riteneva, in particolare, che il
sottosuolo del giardino afferente l’immobile di proprietà COGNOME fosse di proprietà condominiale, in quanto in parte insistente sull’area di sedime del fabbricato in condominio, ed in parte attraversato da una condotta di scarico destinata ad accogliere le acque provenienti dagli interni 5 e 6 (cfr. pag. 5 della sentenza). La Corte di seconda istanza ha poi affermato che il mancato ripristino della tubatura oggetto della sentenza n. 7507/1984, con la quale la COGNOME era stata condannata a riallacciare la stessa, non aveva dato luogo all’estinzione per non uso del diritto di servitù di scolo delle acque provenienti dai giardini confinanti -in particolare, da quello del COGNOME– né l’acquisto per usucapione, da parte della COGNOME, del diritto di servitù attiva, di scarico, attraverso la tubazione interrotta (cfr. pag. 9 della sentenza).
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione COGNOME NOME, affidandosi a sette motivi.
Resistono con separati controricorsi il Condominio di INDIRIZZO e COGNOME NOME.
In prossimità dell’adunanza camerale, tutte le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 329, 345 c.p.c. e 2909 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe dovuto rilevare che il Condominio, con il proprio atto di appello, non aveva censurato la statuizione con cui il Tribunale aveva accertato la proprietà esclusiva del giardino in capo alla COGNOME, e ravvisare dunque l’intervenuta formazione del giudicato interno sul punto. Sarebbe dunque erronea la statuizione con la quale la Corte del gravame avrebbe, al contrario, ravvisato la proprietà condominiale del sottosuolo del giardino predetto.
La censura è fondata.
La Corte di Appello ha ricostruito il fatto, dando atto che:
con sentenza n. 7507/1984, in giudicato, il Pretore di Roma aveva condannato NOME, all’epoca proprietaria dell’appartamento oggi della COGNOME, a riallacciare la tubatura corrente nel sottosuolo del suo giardino, destinata al drenaggio delle acque piovane provenienti dai vicini appartamenti interni 5 e 6;
detta decisione non era stata mai posta in esecuzione;
di conseguenza, la COGNOME aveva proposto domanda di estinzione della correlata servitù per non uso;
la C.T.U. aveva evidenziato che il giardino della COGNOME costituiva, per un tratto, la copertura della sottostante intercapedine del sottostante piano interrato dell’edificio in condominio (cfr. pagg. 4 e 5 della sentenza impugnata).
Su tali premesse, la Corte distrettuale ha ritenuto che l’area sottostante il giardino di proprietà COGNOME costituisse bene di proprietà comune in quanto in parte ricadente sull’area di sedime del fabbricato, ed in parte asservito al passaggio della condotta di scarico delle acque piovane provenienti da diversi appartamenti siti nello stabile in condominio.
La statuizione della Corte distrettuale non considera che, come specificamente riportato nel motivo di censura in esame, il Condominio, nel proprio atto di appello, aveva dichiarato di non voler porre in discussione la natura privata dell’intero giardino, ma soltanto della sottostante intercapedine e del muro di confine, ed aveva invocato l’accertamento dell’insistenza, su detto giardino, di un diritto di servitù a favore del condominio, in relazione alle griglie di areazione presenti nella parte pavimentata del giardino di cui si discute, costituente copertura della sottostante intercapedine, ed al passaggio, nel
sottosuolo del giardino, di una condotta del gas e di una condotta di scarico delle acque piovane.
Non vi era, dunque, alcuna domanda di accertamento della proprietà condominiale del sottosuolo del giardino, inteso nel suo complesso; né tale domanda poteva essere dedotta dal giudice di merito dal fatto che ivi transitasse la condotta di scarico delle acque piovane che era stata interrotta ed era stata oggetto della sentenza del Pretore di Roma del 1984, posto che la sua presenza in loco avrebbe, al più, potuto dimostrare l’esistenza di un diritto di servitù. Diritto, quest’ultimo, la cui originaria esistenza era stata peraltro confermata, implicitamente, dalla stessa COGNOME, la quale ne aveva contestata l’intervenuta estinzione per non uso ultraventennale.
La sentenza impugnata, dunque, incorre in una duplice violazione dell’art. 112 c.p.c., poiché ha affermato la proprietà condominiale del sottosuolo del giardino di proprietà COGNOME, senza distinguere tra le sue parti -ed in particolare, tra quella pavimentata, costituente copertura della sottostante intercapedine del fabbricato, e la restante porzionee non ha inquadrato correttamente il motivo di gravame proposto dal Condominio, con il quale si rivendicava un diritto di servitù sul sottosuolo del giardino, di per sé ontologicamente differente dal diritto di proprietà, ed anzi intrinsecamente in contraddizione con la rivendicazione di quest’ultimo, posto il ben noto principio secondo cui nemini res sua servit . La rivendicazione di un diritto di servitù a favore del condominio, gravante sul sottosuolo del giardino COGNOME, infatti, postula l’assenza di proprietà condominiale di quest’ultimo.
L’accoglimento della prima doglianza, nei limiti del duplice profilo appena evidenziato, implica l’assorbimento di tutte le rimanenti censure, con le quali la parte ricorrente contesta, rispettivamente:
-con il secondo motivo, la violazione o falsa applicazione degli artt. 1117, 840, 2909 c.c. e 9 della legge n. 122 del 1989, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. in relazione al rigetto della domanda di accertamento della proprietà esclusiva del sottosuolo del giardino in virtù di un rapporto di natura pertinenziale, a fronte dell’esistenza dell’intercapedine dell’edificio;
-con il terzo motivo, la violazione o falsa applicazione degli artt. 1027 e 840 c.c., in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., in ordine al rigetto della domanda di accertamento della proprietà esclusiva del sottosuolo del giardino, in virtù dell’esistenza di una condotta di scarico delle acque piovane, a prescindere dalla permanenza e dalla titolarità di detta servitù;
-con il quarto motivo, la violazione o falsa applicazione degli artt. 840, 2043, 2056 e 2058 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. in relazione alla condanna all’integrale ripristino del terrapieno e del giardino;
-con il quinto motivo, la violazione o falsa applicazione degli artt. 2909 e 2946 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. in relazione alla condanna al ripristino della tubatura di raccolta delle acque piovane;
-con il sesto motivo, la violazione degli artt. 1075 e 2909 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. in relazione alla riforma della decisione di prima istanza, sul punto con il quale essa aveva accertato l’intervenuta estinzione della servitù di scarico delle acque piovane per non uso ultraventennale;
-con il settimo ed ultimo motivo, la violazione degli artt. 1117, 840, 887 c.c. e 30 del D. Lgs. n. 285 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., con riferimento all’accertamento
della proprietà condominiale del muro di contenimento del giardino di proprietà COGNOME.
Il giudice del rinvio, infatti, dovrà procedere ad un nuovo accertamento del fatto, tenendo conto che il Condominio di INDIRIZZO non aveva mai invocato l’accertamento della proprietà comune del giardino della COGNOME e del relativo sottosuolo, ma si era limitato a rivendicare l’attualità del diritto di servitù di scarico sullo stesso a suo tempo insistente. Tale accertamento dovrà altresì tener conto del fatto che la sentenza del Pretore di Roma n. 7507/1984, con la quale la COGNOME era stata condannata a ripristinare la tubatura di scarico attraverso la quale il diritto in re aliena rivendicato dal condominio veniva, in precedenza, esercitato, non è mai stata posta in esecuzione, e la predetta condotta era rimasta, di fatto, interrotta. Quanto sopra, anche ai fini dell’accertamento dell’eventuale prescrizione del diritto di cui si discute per non uso, oggetto invece della domanda originariamente proposta dalla COGNOME.
In definitiva, va accolto il primo motivo del ricorso e vanno dichiarati assorbiti i restanti. La sentenza impugnata va dunque cassata, in relazione alla censura accolta, e la causa rinviata alla Corte di Appello di Roma, in differente composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
PQM
la Corte accoglie il primo motivo del ricorso e dichiara assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata, in relazione alla censura accolta, e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Roma, in differente composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, addì 28 maggio 2024.
IL PRESIDENTE NOME COGNOME