Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8385 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8385 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 38351/2019 R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
nonchè contro
CONDOMINIO NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME e COGNOME NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO DI VENEZIA n. 1894/2019 depositata il 09/05/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/02/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME;
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione innanzi al Tribunale di Belluno, NOME, quale condomino nello stabile in INDIRIZZO sito in Cortina D’Ampezzo, conveniva in giudizio la società RAGIONE_SOCIALE e lo stesso RAGIONE_SOCIALE per ottenere la condanna della RAGIONE_SOCIALE al ripristino e al risarcimento dei danni per l ‘ illegittima asportazione della recinzione metallica posizionata dal RAGIONE_SOCIALE nel 1969 al confine fra la proprietà condominiale, particella 2309, e il torrente Bigontina.
Si costituivano entrambi i convenuti chiedendo il rigetto di ogni domanda e preliminarmente eccependo il difetto di legittimazione passiva.
Il Tribunale, istruita la causa con l’acquisizione di documenti e c.t.u., dichiarava la carenza di legittimazione a contraddire del RAGIONE_SOCIALE e rigettava le domande di parte attrice.
NOME NOME proponeva appello avverso la suddetta sentenza.
Si costituivano RAGIONE_SOCIALE e il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE chiedendone il rigetto.
La Corte d’Appello di Venezia rigettava il gravame.
Preliminarmente il giudice del gravame rigettava l’eccezione di inammissibilità ex art. 342 c.p.c.
Nel merito evidenziava che il giudice di prime cure aveva condivisibilmente rigettato le domande dell’attore non essendo emerso alcun riscontro probatorio circa il posizionamento della rete sul fondo condominiale, in quanto:
era risultato incontestato che sulla sommità del muro d’argine posto tra il torrente ed il piazzale antistante il RAGIONE_SOCIALE insistesse una rete metallica non più presente;
il c.t.u. aveva confermato, nella relazione del 18/4/2016, l’esistenza di un parapetto in ferro per evitare cadute nel torrente sottostante realizzato dal Genio Civile verosimilmente negli anni ’30 in occasione dei lavori di regimazione idraulica del torrente, nella parte sommitale del muro d’argine destro: “Detto parapetto non insisteva pertanto su bene condominiale bensì su bene demaniale”;
lo stesso c.t.u. nella relazione del 23/5/2016 aveva chiarito che: “il muro d’argine … non rappresentava il limite di proprietà della p.ed. 2309 nulla risultando circa il trasferimento del diritto di proprietà tutt’ora in capo al demanio pubblico”.
Al riguardo, anche ad integrazione di quanto esposto dal primo giudice, la Corte d’Appello osservava che:
l’elaborato peritale e i successivi chiarimenti, frutto di sopralluoghi ed esame di documenti, erano congruamente motivati con argomentazioni prive di vizi logici; in essi erano state esaminate e valutate le osservazioni delle parti, cui il c.t.u. aveva dato adeguate e puntuali risposte;
in particolare, circa la data di costruzione della recinzione e la documentazione utilizzata, il c.t.u. nella relazione integrativa del 23/5/2016 in risposta alle osservazioni del c.t.p. dell’attore: aveva evidenziato che il muro prospiciente il lato est della p.ed. 2309 faceva parte di un insieme organico di opere idrauliche di salvaguardia notoriamente realizzate lungo l’asta dei torrenti Boite e Bigontina, dopo la fine della prima guerra mondiale e prima dello scoppio della seconda, attorno per l’appunto agli anni trenta. Anche la tipologia, la tecnica costruttiva e la particolare lavorazione dei blocchi in pietra utilizzati nella costruzione degli argini facevano risalire l’opera a quel periodo;
inoltre, la posizione del muro rispetto alle altre opere stabili presenti al l’ intorno nella zona indagata, trovava puntuale e corretta rappresentazione nelle mappe di Cortina d’Ampezzo, sviluppate a seguito dei rilievi eseguiti dall’allora Ufficio Tecnico Erariale tra il 1950 e il 1956, ben prima dell’acquisto del terreno da parte del costruttore del RAGIONE_SOCIALE de quo , avvenuto nel 1968 e della costruzione dell’edificio;
lo stesso consulente aveva precisato di aver utilizzato i documenti dell’Ufficio Tecnico Erariale, non come mappe catastali, ma in quanto: fotografavano lo stato dei luoghi a quel periodo, testimoniando la presenza del muro in questione nell’arco temporale durante il quale erano stati effettuati i rilievi”;
circa la posizione del muro d’argine e della soprastante recinzione contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, il consulente aveva esaminato la documentazione in atti precisando con la relazione integrativa del 23/5/2016, in risposta alle osservazioni del c.t.p. dell’attore, che la verifica: ”era stata
condotta analizzando tutti gli elementi documentali probatori del Catasto Tavolare di Cortina D’Ampezzo… ed era stato utilizzato quale supporto cartografico, l’originale di mappa del Fg. 69a in scala l: 1440 e non le mappe successive da questo derivate (ingrandimento in scala l: l 00 e mappa wegis in scala l :2880) che risultavano meno precise. Ciò era stato possibile in quanto dall’impianto al momento della consulenza la linea di confine indagata, corrente tra le attuali p.f. 8909/1 O e p.ed. 2309 (già p.f. 4498, 4497 /l, 4497/2, 1108 e p.ed. 628), non aveva subito modifiche. Contestualmente ed in modo coordinato era stato infatti consultato l’estratto della P.ta Tavolare 4366, valutando attentamente, in particolare, quanto descritto nelle intavolazioni G7le n. 560 pervenuto 1’11.12.1970 e G.le n. 203 pervenuto il 03.05.1971 e rappresentato nelle rispettive planimetrie allegate.
In altre parole, gli elementi probatori emersi – come la tipologia, la tecnica costruttiva e la lavorazione dei blocchi in pietra, utilizzati nella costruzione degli argini anche in relazione alle altre opere stabili presenti all’intorno nella zona indagata – trovavano riscontro nei rilievi dell’Ufficio Tecnico Erariale dell’epoca ed escludevano la costruzione della recinzione da parte del RAGIONE_SOCIALE (costruzione risalente a quando ancora non era stato acquistato il terreno “da parte del costruttore del RAGIONE_SOCIALE“).
In particolare, la procedura adottata dal c.t.u., per effettuare i rilievi e avere una situazione planimetrica corrispondente allo stato attuale dei luoghi, risultava condivisa dai c.t.p. e la documentazione allegata dall’attore era stata esaminata e confrontata con lo stato dei luoghi dal c.t.u. che, dopo tali verifiche,
aveva così concluso: “il muro d’argine .. non rappresenta il limite di proprietà della p.ed. 2309”.
La giurisprudenza citata dall’appellante atteneva a conformazioni dei luoghi differenti (alveo di fiume con sponde e rive interne e con sponde e rive esterne) e comunque si trattava di circostanze nuove, non allegate ritualmente dall’attore, neanche in sede di c.t.u., inerenti a nuovi temi di indagine, che non potevano essere esaminati.
Non sussisteva, pertanto, alcuna violazione degli artt. 934 e 936 c.c.. Né appariva applicabile l’art. 1117 c.c., circa la presunzione sulla condominialità della recinzione che escluderebbe l’onere della prova in capo al l’ attore. Diversamente da quanto sostenuto dall’appellante, infatti, non si trattava di un manufatto, per struttura e funzione, compreso nelle parti comuni dell’edificio condominiale indicate nello stesso art. 1117 c.c. (né risultava costruito per quanto emerso, come detto, su suolo di proprietà comune).
Anche l’ultimo motivo di appello, sulla regolamentazione delle spese fra l ‘ attore e il convenuto RAGIONE_SOCIALE, era infondato, Il primo giudice aveva accertato la carenza di legittimazione a contraddire del RAGIONE_SOCIALE evocato in giudizio in assenza di qualunque condotta lesiva contestatagli ed in assenza di domande formulate nei suoi confronti.
Legittimamente, pertanto, in applicazione dell’art. 91 c.p.c., l’attore era stato condannato al rimborso delle spese di lite in favore del RAGIONE_SOCIALE.
NOME NOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di cinque motivi.
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE hanno resistito con rispettivi controricorsi.
Il ricorrente e il RAGIONE_SOCIALE con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha nno insistito nelle rispettive richieste.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: Omesso esame di fatto decisivo per aver la Corte d’appello travisato il fatto decisivo, ed oggetto di discussione tra le parti, relativo al criterio discretivo- confermato anche dalla più recente giurisprudenza di legittimità – per individuare la proprietà privata e quella demaniale, conseguente violazione degli artt. 934 e 936 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c. per aver la Corte d’appello ritenuto la sussistenza della proprietà demaniale della recinzione metallica (condominiale) illegittimamente asportata da un soggetto terzo estraneo rispetto al RAGIONE_SOCIALE.
Secondo il ricorrente il RAGIONE_SOCIALE avrebbe manifestamente travisato il fatto costituito dal criterio discretivo che avrebbe dovuto utilizzare il C.T.U. per la individuazione della proprietà privata rispetto a quella demaniale.
In particolare, a fronte della censura sollevata dal ricorrente con riguardo all’eclatante erroneità del criterio probatorio utilizzato dal Consulente officiato dal Tribunale per l’accertamento e la dimostrazione della proprietà demaniale o privata (rivierasca) di un dato fondo posto a ridosso di un fiume/torrente, la Corte d’Appello avrebbe frettolosamente omesso di considerare tale questione, in ciò incorrendo nel vizio di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. per travisamento di fatto decisivo, idoneo – con giudizio di certezza e
non di mera probabilità – a rovesciare completamente l’esito del giudizio.
Sin dalla prima difesa successiva al deposito della relazione peritale, ovvero all’udienza del 22 settembre 2016 l’ COGNOME espressamente aveva contestato la radicale irrilevanza dei criteri adottati dal C.T.U. per l’individuazione della proprietà privata e della proprietà demaniale, chiarendo che l’unico criterio discretivo per differenziare la proprietà privata da quella demaniale è quello relativo alle piene dei fiumi, ordinarie e straordinarie così come hanno avuto modo di definire le Sezioni Unite nell’arresto n. 16241 del 26 luglio 2011.
Richiamata la giurisprudenza di legittimità il ricorrente sostiene che la recinzione di cui si discute, vista la sua conformazione, non appartiene al demanio idrico, non avendo nessuna funzione protettiva dalle piene. Lungi, infatti, dal trattarsi di un “immobile strutturalmente inseparabile dall’alveo”, il manufatto in questione (la recinzione metallica) altro non sarebbe che una recinzione non strutturalmente inseparabile dall’alveo tanto dall’essere stata illegittimamente asportata ed essendo stata apposta per dividere la proprietà demaniale da quella privata.
Il Giudice del merito avrebbe dovuto tenere conto di detto criterio, accertando inconfutabilmente che il muro d’argine oggetto di causa si trova al di fuori della linea naturale costituita dal ciglio spondale, ovvero sulla sponda esterna, rientrando così nella piena proprietà del RAGIONE_SOCIALE.
Secondo il ricorrente l’alveo del torrente Bigontina si caratterizza per una parte dall’acqua che scorre e per una parte, in modo irregolare, da una riva di sassi e terra e la recinzione
metallica illegittimamente asportata (sita) si trovava sopra la sponda e alla riva esterna o, meglio, era proprio “conficcata” nel terreno costituente l’argine, riva esterna, superiore, anche al fine di separare le due proprietà.
2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: Omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., per aver la Corte d’appello omesso di individuare che l’asportazione della recinzione metallica comportava l’apertura di un varco, di un passaggio sopra terreno il condominiale e a favore di una proprietà terza (RAGIONE_SOCIALE), senza alcuna autorizzazione condominiale, così anche in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.. Erronea applicazione del principio di soccombenza in relazione alle spese e compensi legali a favore del RAGIONE_SOCIALE.
La censura attiene alla liquidazione delle spese nei confronti del RAGIONE_SOCIALE nonostante il ricorrente avesse evidenziato che l’asportazione della recinzione metallica aveva creato un varco, un passaggio sul terreno condominiale a favore dell’immobile (parcheggio) della società RAGIONE_SOCIALE.
Il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, ancor prima che NOME radicasse il giudizio di primo grado, aveva preso posizione circa il “fatto materiale” dell’asportazione della recinzione metallica (docc. 6 e 9 fascicolo di primo grado), l’affidamento dell’odierno deducente era quello di un intervento condominiale a difesa della proprietà comune, non certo di assoluta opposizione all’iniziativa del condomino.
Posto che il “fatto materiale” dell’asportazione ha creato un indubbio e (illegittimo) collegamento, mai autorizzato, tra la
proprietà condominiale e la proprietà di un terzo, anche il capo di sentenza relativo alla condanna alle spese e compensi legali a favore del RAGIONE_SOCIALE sarebbe all’evidenza ingiusto.
Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione dell’art. 1117 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c. per aver la Corte d’appello escluso la sussistenza della presunzione di condominialità in relazione alla recinzione metallica apposta sul fondo di proprietà del RAGIONE_SOCIALE, in aperta violazione dei principi e criteri dettati all’art. 1117 c.c. che non prevede un elenco tassativo dei beni comuni.
La controparte RAGIONE_SOCIALE, così come il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, non hanno provato, a mezzo di idoneo titolo, che la recinzione metallica asportata appartenesse al demanio. Anzi, lo stesso RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha diffidato la RAGIONE_SOCIALE al ripristino e ha confermato ex art. 1117 quater c.c. la specifica destinazione d’uso della recinzione.
Secondo il ricorrente essendoci un dislivello di oltre due metri tra la riva esterna e il letto del fiume (così la c.t.u. a pagina 5) sarebbe evidente che detta recinzione non solo ha una funzione di delimitazione della proprietà, ma anche di salvaguardia, di sicurezza, di protezione sia per i condomini, che per coloro che frequentano e che accedono all’area condominiale. Di conseguenza la sua totale asportazione, a favore addirittura di una proprietà di terzi e da parte di un terzo estraneo, costituirebbe un illecito.
Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: Omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., per aver la Corte d’appello omesso di individuare che l’allocazione materiale della recinzione metallica era al di sopra del muro d’argine, su proprietà privata, dunque, con ciò
non tenendo conto dell’art. 42 bis d.p.r. n. 327 del 2001, introdotto dall’art. 34 co. l del D.L 06.07.2011 n. 98, convertito con modifiche nella L 15.07.2011 n. 111 art. 1, co. 1.
L’allocazione della recinzione metallica sopra l’argine del fiume, conficcata sul muro esterno e di poi sul terreno condominiale (cfr fotografie nn. l e 2 fascicolo di l o grado parte attrice) soprastante l’argine, avrebbe dovuto portare la sentenza all’unica e corretta soluzione giuridica, ovvero che la proprietà di detta sponda, benché, lungi dall’essere demaniale, è invece del privato rivierasco, ovvero del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Infatti, il muro d’argine in nessun modo poggia esclusivamente sull’alveo del fiume, è un tutt’uno, invece, con la sponda esterna e con l’argine (riva) superiore.
Avendo, quindi, occupato e trasformato parte del terreno privato, cioè la sponda (e la riva) esterna, e non essendoci stato nessun atto espropriativo/ablativo, (mai nessuna deduzione o allegazione sul punto è in atti), la proprietà di detto muro d’argine è privata e non pubblica.
La proprietà del terreno occupato e/o trasformato senza alcun titolo dalla P.A. rimane sempre in proprietà del privato, sino a che la prima non decide di acquistarlo attraverso il meccanismo previsto dall’art. 42 bis d.p.r. n. 327 del 2001, introdotto dall’art. 34 co. l del D.L. 06.07.2011 n. 98, convertito con modifiche nella L. 15.07.2011 n. 111 art. l co. l, a seguito di declaratoria di incostituzionalità per eccesso di delega del previgente art. 43. L’ eventuale acquisto, poi, avrebbe in ogni caso efficacia ex nunc .
L’opera, ovvero il muro d’argine, sarebbe ancora di proprietà del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ex art. 934 e/o ex art. 936 c.c.. Allo
stesso modo, la recinzione che il RAGIONE_SOCIALE voleva venisse ripristinata.
4.1 I primi quattro motivi di ricorso sono inammissibili.
L’asserito errore percettivo del giudice di merito su un fatto storico, principale o secondario, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e che risulti idoneo ad orientare in senso diverso la decisione, può essere fatto valere, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (e nei ristretti limiti di tale disposizione) qualora l’errore consista nell’omesso esame del predetto fatto (e non anche quando si traduca nella mera insufficienza o contraddittorietà della motivazione), sempre che non ricorra l’ipotesi della cd. “doppia conforme” ai sensi dell’art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c. (Sez. 3 – , Sentenza n. 37382 del 21/12/2022, Rv. 666679 – 04).
Nel caso in esame l a Corte d’Appello ha valutato tutti i fatti dedotti dal ricorrente e ha condiviso le conclusioni del consulente tecnico, senza peraltro alcun travisamento delle stesse.
Il c.t.u. aveva confermato, nella relazione del 18/4/2016, l’esistenza di un parapetto in ferro per evitare cadute nel torrente sottostante realizzato dal Genio Civile verosimilmente negli anni ’30 in occasione dei lavori di regimazione idraulica del torrente, nella parte sommitale del muro d’argine destro: “Detto parapetto non insisteva pertanto su bene condominiale bensì su bene demaniale”.
La Corte territoriale, infatti, ha ritenuto che l’elaborato peritale e i successivi chiarimenti, frutto di sopralluoghi ed esame di documenti, fossero congruamente motivati con argomentazioni prive di vizi logici; in essi erano state esaminate e valutate le osservazioni delle parti, cui il c.t.u. aveva dato adeguate e puntuali
risposte. Inoltre, la procedura adottata dal c.t.u., per effettuare i rilievi e avere una situazione planimetrica corrispondente allo stato attuale dei luoghi, risultava condivisa dai c.t.p. e la documentazione allegata dall’attore era stata esaminata e confrontata con lo stato dei luoghi dal c.t.u. che, dopo tali verifiche aveva così concluso: “il muro d’argine .. non rappresenta il limite di proprietà della p.ed. 2309″ nulla risultando circa il trasferimento del diritto di proprietà tutt’ora in capo al demanio pubblico”.
Il ricorrente ritiene che il criterio adottato non sia quello corretto ma una simile censure non può essere veicolata come omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti. D’altra parte , sul punto la sentenza è conforme al seguente principio di diritto: Le sponde o le rive interne dei fiumi e dei torrenti, costituite da quei tratti di terreno sui quali l’acqua scorre fino al limite delle piene normali, rientrano nell’ambito del demanio idrico, a differenza delle sponde e rive esterne che, essendo soggette alle sole piene straordinarie, appartengono ai proprietari dei fondi rivieraschi; del demanio idrico, inoltre, fanno parte anche gli immobili che per opera dell’uomo assumano natura di pertinenza, sicché, pur non essendo permeati dalle acque di piena ordinaria, siano tuttavia inseparabili strutturalmente dall’alveo ed assolvano con continuità una funzione protettiva in caso di piene straordinarie. Tale rapporto pertinenziale sussiste fino al momento in cui l’Amministrazione pubblica manifesti la volontà di sottrarre la pertinenza alla sua tipica funzione, determinando in tal modo la cessazione della demanialità (Sez. U, Ordinanza n. 19366 del 18/07/2019, Rv. 654683 – 02).
4.2 Con il secondo motivo il ricorrente lamenta anche un’erronea ripartizione delle spese del giudizio nei confronti del RAGIONE_SOCIALE.
Deve osservarsi in proposito che il RAGIONE_SOCIALE è stato citato in giudizio dal ricorrente che ha agito in qualità di condomino sulla base della giurisprudenza che lo legittima anche uti singulus per le azioni reali a tutela della proprietà condominiale. Risulta, inoltre, che il RAGIONE_SOCIALE si è opposto alla domanda del ricorrente e ha visto anche accolta la sua eccezione di carenza di legittimazione.
La censura in esame non si confronta con tali aspetti e fa riferimento unicamente ad una presunta volontà condominiale espressa prima del processo che avrebbe creato un affidamento circa la condivisione del RAGIONE_SOCIALE all’azione giudiziaria intrapresa dal ricorrente. Tale affidamento che non risulta dagli atti di causa e che, pertanto, non può avere ingresso nel giudizio di legittimità, in ogni caso non assume alcuna rilevanza per la liquidazione delle spese di lite . Il fatto che dell’azione del ricorrente ne potesse astrattamente beneficiare anche il RAGIONE_SOCIALE non giustifica in alcun modo la sua pretesa di vedersi compensate le spese del giudizio, infatti, come si è detto, il RAGIONE_SOCIALE è stato convenuto in giudizio e si è opposto all’accoglimento della domanda che in effetti si è rivelata infondata.
4.3 La censura proposta con il terzo motivo di violazione dell’art. 1117 c.c., sulla presunzione di condominialità della recinzione metallica apposta sul fondo di proprietà del RAGIONE_SOCIALE è inammissibile perchè non si confronta con la ratio decidendi della decisione impugnata che ha escluso che la recinzione metallica fosse apposta sul terreno di proprietà del
RAGIONE_SOCIALE avendo invece accertato che il medesimo terreno era demaniale e che la recinzione era stata costruita in epoca risalente e addirittura precedente la stessa costruzione del RAGIONE_SOCIALE del ricorrente. Pertanto, la censura sotto la veste della violazione di legge tende ancora una volta a contestare la ricostruzione in fatto operata dai giudici del merito sulla scorta di quanto accertato dal CTU circa la suddetta natura demaniale del terreno. La Corte territoriale è giunta alle dette conclusioni con corretto apprezzamento di merito esponendo adeguatamente le ragioni del suo convincimento. Il ricorrente richiede a questa Corte di effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto emerse nel corso del giudizio, cosi mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dal giudice di appello non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa potessero ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità. Infatti, come questa Corte ha più volte sottolineato, compito della Corte di cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici del merito (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 3267 del 12/02/2008, Rv. 601665), dovendo invece la Corte di legittimità limitarsi a controllare se costoro
abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il ragionamento probatorio, da essi reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che, come dianzi detto, nel caso di specie è dato riscontrare.
4.4 Con la quarta censura il ricorrente ripete sostanzialmente le medesime tesi esposte con il primo e il terzo motivo di ricorso.
L’allocazione della recinzione metallica sopra l’argine del fiume sarebbe di proprietà del RAGIONE_SOCIALE così come il terreno sul quale era apposta. Dunque, la censura è inammissibile per tutti i motivi già esposti. Allo stesso modo la dedotta violazione delle norme in materia di espropriazione e occupazione illegittima parte dall’erroneo presupposto circa la proprietà del terreno e, dunque, è anch’essa inammissibile.
In ogni caso -e il rilievo tronca definitivamente ogni ulteriore discussione -le esposte censure, veicolate sotto il profilo dell’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., sono inammissibili per un’ulteriore ragione, discutendosi di una sentenza di appello conforme a quella di primo grado.
Deve farsi applicazione del seguente principio di diritto: Nell’ipotesi di ‘doppia conforme’ prevista dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, deve indicare l e ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 5528/2014), adempimento non svolto. Va invero ripetuto che ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54,
comma 2, le regole sulla pronuncia cd. doppia conforme si applicano ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del citato decreto (id est, ai giudizi di appello introdotti dal giorno 11 settembre 2012).
D’altra parte, r icorre l’ipotesi di «doppia conforme», ai sensi dell’art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice. (Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 7724 del 09/03/2022, Rv. 664193 – 01).
5. Il quinto motivo di ricorso è così rubricato: Violazione dell’art. 345 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., per avere la Corte d’appello ritenuto “nuove” le questioni dedotte dal Sig. COGNOME circa il criterio da utilizzare per la distinzione tra proprietà privata e demaniale, nonostante queste fossero state tempestivamente dedotte in prime cure, ed in particolare alla prima difesa successiva al deposito dell’elaborato peritale d.d. 23.05.2016
Alla prima difesa utile, ovvero all’udienza del 22 settembre 2016, COGNOME aveva eccepito l’erroneità del criterio utilizzato per distinguere la proprietà privata da quella demaniale. Dunque,
non potevano essere considerate “nuove” le deduzioni che verbalizzate alla suddetta udienza.
5.1 Il motivo è privo di fondamento.
La C orte d’Appello ha innanzitutto ritenuto infondata la tesi del ricorrente circa il criterio da utilizzare per stabilire la natura demaniale o meno del terreno. Infatti, si legge nella sentenza impugnata a pag. 6 che la giurisprudenza citata dal ricorrente non è rilevante perché fa riferimento a conformazioni dei luoghi diverse da quelle di causa quali l’alveo di fiume con sponde e rive interne e con sponde e rive esterne. Poi, in aggiunta, ha rilevato il carattere di novità delle deduzioni.
Come è evidente, la Corte di merito ha ritenuto che il criterio proposto non fosse rispondente al caso di specie perché rispondente ad una diversa conformazione dei luoghi e, sulla base di un apprezzamento in fatto qui non sindacabile, ha escluso la natura privata e non demaniale tanto del terreno che del manufatto; solo ad abundantiam ha affermato trattarsi di deduzioni nuove (avendole però di fatto esaminate). Il problema si sposta allora sul versante della sufficienza della motivazione, ma un tale vizio non è più denunziabile in cassazione per espressa previsione di legge (v. art. 360 n. 5 cpc).
In conclusione, il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida nei confronti del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in euro 3.500,00 più 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge e nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE in euro 3.000,00 più 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione