Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 30630 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 30630 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/11/2024
Oggetto: RAGIONE_SOCIALE – Beni comuni ex art. 1117 c.c. – Regolamento contrattuale e pertinenze.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26292/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO.
-ricorrenti –
contro
CONDOMINIO COGNOME di INDIRIZZO, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, in Roma, INDIRIZZO.
-controricorrente –
COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME,
COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME LINA, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME.
-intimati –
Avverso la sentenza n. 910/2019, pronunciata il 30/1/2019 dalla Corte d’Appello di Ancona, pubblicata il 4/6/2019 e notificata il 1 ° agosto 2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23 ottobre 2024 dalla dott.ssa NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
RAGIONE_SOCIALE, in Cupra Marittima (AP), convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Fermo, il condòmino COGNOME NOME e la società la RAGIONE_SOCIALE, conduttrice del locale di proprietà del predetto, sito al piano terra del fabbricato condominiale di INDIRIZZO di Cupra Marittima, affinché venisse accertata e dichiarata la proprietà condominiale della striscia di terreno posta sul lato est del fabbricato condominiale, con condanna dei convenuti, anche in solido tra loro, alla rimozione del manufatto realizzato su di essa, con riduzione in pristino dello stato dei luoghi e il pagamento della somma di € 600,00 al mese a titolo di indennità di occupazione, fino alla data di detta rimozione. Costituitisi in giudizio, RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE
affermarono la natura pertinenziale della predetta striscia di
terreno rispetto all’immobile di proprietà esclusiva del primo, rilevando che il bene non fosse ricompreso tra quelli di proprietà del condominio elencati nel regolamento condominiale e, in subordine, proposero domanda di usucapione del diritto di proprietà maturata il 20/01/1987 da COGNOME NOME nel termine di 10 anni dalla trascrizione del proprio titolo o in data 26/01/1997, nel termine di 20 anni dall’acquisto del bene principale, chiedendo che venissero chiamati in causa gli eredi di COGNOME NOME e tutti i condomini in quanto litisconsorti necessari, nei cui confronti veniva, poi, esteso il contraddittorio.
Con sentenza n. 692/2015, resa il 29/07/2015, il Tribunale adito accolse la domanda di parte attrice e respinse quella riconvenzionale di usucapione, condannando i convenuti, in solido, alla rimozione del manufatto realizzato sulla striscia contesa e al pagamento della somma di € 200,00 mensili per ogni mese di occupazione abusiva a decorrere dal luglio 2005 fino all’effettiva rimozione.
Il giudizio di gravame, incardinato da RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE, si concluse, nella resistenza del condominio NOME e nella contumacia dei restanti appellati, con la sentenza n. 910/2019, pubblicata il 4/06/2019, con la quale la Corte d’Appello di Ancona rigettò l’appello, sul presupposto che il bene conteso, in assenza di titoli contrari, ricadesse nella presunzione di condominialità ai sensi dell’art. 1117 cod. civ., che lo stesso non potesse considerarsi pertinenza dell’unità immobiliare del condomino COGNOME NOME e che non fosse rimasto provato il dedotto acquisto di detto bene a titolo di usucapione da parte di quest’ultimo.
Contro la predetta sentenza RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
Il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di INDIRIZZO, ha resistito con controricorso.
Sono invece rimasti intimati COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Il Consigliere delegato ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti.
In seguito a tale comunicazione, i ricorrenti, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, hanno chiesto la decisione del ricorso.
Fissata l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ., i ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo di ricorso, si denuncia l a violazione dell’art. 1117, primo comma, cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per aver la Corte di appello escluso -con la sentenza impugnata -che il regolamento condominiale contrattuale, predisposto dall’originario unico proprietario prima ancora che
venisse creato il condominio e accettato da tutti i condomini siccome richiamato dai loro atti di acquisto, costituisse titolo contrario idoneo a superare la presunzione di condominialità, nonostante questo, avente la finalità di disciplinare le relazioni condominiali e fissare le proprietà comuni, non contemplasse tra esse la striscia contesa. I ricorrenti hanno, sul punto, evidenziato come il regolamento contrattuale, a differenza di quello regolamentare, potesse incidere sui diritti reali, di proprietà esclusiva e comune, dei singoli condomini, in quanto espressione della volontà contrattuale delle parti contraenti, e potesse anche derogare o integrare la disciplina legale. Inoltre, la presunzione legale di comproprietà ex art. 1117 cod. civ. poteva essere superata solo da un regolamento contrattuale ovvero da una delibera condominiale assunta all’unanimità dei condomini.
2. Col secondo motivo, si deduce la violazione dell’art. 1362 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., sostenendosi che la Corte d’Appello, ragionando nei termini esposti nel precedente motivo, non aveva fatto buon governo dei criteri ermeneutici di cui alla citata norma, che invece avrebbe dovuto applicare nell’interpretare la volontà contrattuale delle parti, onde accertare la superabilità o meno della presunzione di proprietà comune su un’area o porzione di edificio. Secondo i ricorrenti, infatti, l’assenza di un’espressa previsione contrattuale, come nella specie, avrebbe imposto alla Corte di merito di non limitarsi al solo tenore letterale dell’atto pubblico di acquisto, che indicava la striscia contesa come mero confine, e di adottare, invece, anche i criteri ermeneutici legati al comportamento delle parti e all’attitudine funzionale del bene al servizio e godimento collettivo, oltre a valutare il contenuto del regolamento contrattuale e la planimetria ad esso allegata. Da ciò si sarebbe dovuto inferire che i locali commerciali erano stati venduti con tutte le pertinenze e, dunque, con lo spazio aperto
antistante che ne costituiva naturale prosecuzione, che detto spazio era , fin dall’acquisto dei locali, stato sempre usato dal solo ricorrente COGNOME, che vi aveva apportato migliorie e svolto lavori in assenza di contestazioni da parte dei condomini, e che la porzione immobiliare contesa fosse indicata nel proprio atto sia come confine del bene principale acquistato, al solo fine però di circoscriverne la consistenza, sia come confine dello stesso suolo condominiale.
Col terzo motivo, si lamenta la violazione dell’art. 817, secondo comma, cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per aver il giudice di appello escluso la natura pertinenziale dello spazio aperto antistante i locali di esso ricorrente COGNOME, sostenendo che per la sua costituzione non fosse sufficiente il solo rapporto di strumentalità funzionale esistente tra due beni, ma occorresse anche un valido atto di destinazione del soggetto legittimato in quanto titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale di godimento sulla cosa, nella specie non esistente. Ad avviso dei ricorrenti, tale asserzione si poneva in contrasto con il principio secondo cui la costituzione del vincolo pertinenziale non richiede forme particolari, potendosi desumere da qualsiasi elemento ritenuto a tal fine idoneo.
Col quarto motivo, infine, viene prospettata la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., perché la Corte marchigiana, con riguardo alla domanda di usucapione, aveva reso una motivazione contraddittoria, giacché l’aveva respinta sul presupposto che non vi fosse la prova della sua fondatezza e aveva contestualmente respinto le deduzioni istruttorie di entrambe le parti, le uniche che avrebbero consentito di dimostrare l’utilizzo esclusivo, da parte del lo stesso ricorrente COGNOME, dello spazio aperto, non solo attraverso opere di
manutenzione e miglioramento, ma anche di radicali opere edilizie e impianti.
5. La proposta di definizione del giudizio formulata ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ. è del seguente tenore: « INAMMISSIBILITÀ e/o MANIFESTA INFONDATEZZA del ricorso avverso pronuncia di accoglimento della domanda principale di accertamento della proprietà comune di un’area scoperta e di rigetto di quella riconvenzionale di accertamento dell’esistenza di un vincolo pertinenziale tra essa e la proprietà individuale degli odierni ricorrenti e di usucapione, quest’ultima proposta dal solo COGNOME NOME (doppia conforme). Primo, secondo, terzo e quarto motivo : inammissibili, o comunque manifestamente infondati, poiché con essi si attinge la valutazione dei fatti e delle prove operata dal giudice di merito, rispettivamente sotto il profilo della sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 1117 c.c. (primo e secondo motivo), della sussistenza del vincolo pertinenziale (terzo motivo) e dei presupposti per il riconoscimento dell’usucapione (quarto motivo). La Corte di Appello, confermando la decisione di prime cure, ha ritenuto che l’area contesa costituisse pertinenza dell’edificio condominiale e non fosse stata oggetto di alcun atto di disposizione a favore di uno dei comproprietari, o di un terzo (cfr. pagg. 10 e ss. della sentenza impugnata). Tale ricostruzione dei fatti è coerente con l’insegnamento di questa Corte, secondo cui il criterio attributivo della proprietà comune previsto dall’art. 1117 c.c. può essere superato soltanto mediante la prova certa che il bene non sia mai stato di proprietà comune, da fornire a cura del soggetto interessato mediante la produzione di un titolo anteriore all’insorgenza del condominio, ovvero che lo stesso sia stato acquistato per usucapione. Al riguardo, si deve considerare infatti che i rapporti tra proprietà individuale e proprietà condominiale sono regolati dal principio secondo cui ‘In
tema di condominio negli edifici, per tutelare la proprietà di un bene appartenente a quelli indicati dall’art. 1117 c.c. non è necessario che il condominio dimostri con il rigore richiesto per la rivendicazione la comproprietà del medesimo, essendo sufficiente, per presumerne la natura condominiale, che esso abbia l’attitudine funzionale al servizio o al godimento collettivo e cioè sia collegato, strumentalmente, materialmente o funzionalmente con le unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini, in rapporto con queste da accessorio a principale, mentre spetta al condomino che ne affermi la proprietà esclusiva darne la prova’ (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 20593 del 07/08/2018, Rv. 650001; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11195 del 07/05/2010, Rv. 613094). Nell’ambito del predetto rapporto, alcun rilievo assume la circostanza che un determinato spazio, comunque condominiale in funzione della sua natura e destinazione di fatto, non sia stato indicato nel regolamento dell’ente di gestione. Infatti ‘La presunzione legale di condominialità stabilita per i beni elencati nell’art. 1117 c.c., la cui elencazione non è tassativa, deriva sia dall’attitudine oggettiva del bene al godimento comune sia dalla concreta destinazione di esso al servizio comune, con la conseguenza che, per vincere tale presunzione, il soggetto che ne rivendichi la proprietà esclusiva ha l’onere di fornire la prova di tale diritto; a tal fine, è necessario un titolo d’acquisto dal quale si desumano elementi tali da escludere in maniera inequivocabile la comunione del bene, mentre non sono determinanti le risultanze del regolamento di condominio, ne’ l’inclusione del bene nelle tabelle millesimali come proprietà esclusiva di un singolo condomino’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5633 del 18/04/2002, Rv. 553833; cfr. anche Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8152 del 15/06/2001, Rv. 547520, che esclude la natura decisiva dei dati catastali, dotati di mera valenza indiziaria). Inoltre, la Corte di merito ha rigettato la domanda di usucapione, proposta
dal solo COGNOME NOME, in assenza di prova di una attività idonea a configurare il dominio esclusivo sull’area oggetto di causa (cfr. pagg. 20 e ss. della sentenza impugnata). La Corte distrettuale, in particolare, ha ravvisato la sussistenza di un ‘… uso quantitativamente non paritetico delle parti comuni da parte dei diversi condomini ed in favore del sig. COGNOME che non risultava incompatibile con la possibilità di godimento comune’ (cfr. pag. 12 della sentenza). Anche tale statuizione è coerente con i precedenti di questa Corte, poiché ‘Il partecipante alla comunione che intenda dimostrare l’intenzione di possedere non a titolo di compossesso, ma di possesso esclusivo (“uti dominus”), non ha la necessità di compiere atti di interversio possessionis alla stregua dell’art. 1164 c.c., dovendo, peraltro, il mutamento del titolo consistere in atti integranti un comportamento durevole, tali da evidenziare un possesso esclusivo ed animo domini della cosa, incompatibile con il permanere del compossesso altrui, non essendo al riguardo sufficienti atti soltanto di gestione, consentiti al singolo compartecipante o anche atti familiarmente tollerati dagli altri, o ancora atti che, comportando solo il soddisfacimento di obblighi o l’erogazione di spese per il miglior godimento della cosa comune, non possono dare luogo ad una estensione del potere di fatto sulla cosa nella sfera di altro compossessore’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9100 del 12/04/2018, Rv. 648079; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 16841 del 11/08/2005, Rv. 584306; principio valido anche ai rapporti tra coeredi, prima della divisione, in forza di Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 9359 del 08/04/2021, Rv. 660860, Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10734 del 04/05/2018, Rv. 648439 e Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1370 del 18/02/1999, Rv. 523346). All’apprezzamento del fatto e della prova prescelti dalla Corte distrettuale la parte ricorrente contrappone una lettura alternativa del compendio istruttorio, senza tener conto che il motivo di ricorso non può mai
risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui ‘L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330). Nel caso di specie, inoltre, la motivazione della sentenza impugnata non risulta viziata da apparenza, né appare manifestamente illogica, ed è idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dar atto dell’iter logico -argomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830) ».
I primi due motivi, da trattare congiuntamente stante la loro stretta connessione, siccome afferenti all’interpretazione dei titoli
ritenuti con la sentenza impugnata idonei ad affermare la condominialità dell’area contesa, sono infondati.
6.1. Va, innanzitutto, premesso che, secondo quanto già affermato da questa Corte, per affermare la condominialità di un bene occorre gradatamente verificare dapprima che la res , per le sue caratteristiche strutturali, risulti destinata oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari (cfr. Cass. Sez. Unite, 7/07/1993, n. 7449 e, più recentemente, Cass. Sez. 2, 8/09/2021, n. 24189), e poi che sussista un titolo contrario alla ‘presunzione’ di condominialità, facendo riferimento esclusivo al primo atto di trasferimento di un’unità immobiliare dell’originario proprietario ad altro soggetto.
L’art. 1117 cod. civ., infatti, nel contemplare un elenco, non tassativo, di beni caratterizzati dalla loro attitudine oggettiva al godimento comune e dalla concreta destinazione dei medesimi al servizio comune (Cass., Sez. 2, 18/4/2023, n. 10269; Cass., Sez. 2, 23/08/2007, n. 17928), opera ogniqualvolta, nel silenzio del titolo, il bene, per le sue caratteristiche, sia suscettibile di utilizzazione da parte di tutti i proprietari esclusivi (Cass., Sez. 2, 20/07/1999, n. 7764; Cass., Sez. 2, 30/03/2016, n. 6143), in quanto detta una presunzione di comune appartenenza a tutti i condomini che non può essere vinta con qualsiasi prova contraria, ma soltanto alla stregua delle ‘ opposte risultanze di quel determinato titolo che ha dato luogo alla formazione del condominio per effetto del frazionamento dell’edificio in più proprietà individuali ‘ (Cass., Sez. 2, 6/7/2022, n. 21440).
La situazione di condominio, regolata dagli artt. 1117 e seguenti cod. civ., si attua, infatti, sin dal momento in cui si opera il frazionamento della proprietà di un edificio, a seguito del trasferimento della prima unità immobiliare suscettibile di separata utilizzazione dall’originario unico proprietario ad altro soggetto
(Cass., Sez. 2, 6/7/2022, n. 21440 cit.), la cui trascrizione, comprensiva pro quota , senza bisogno di specifica indicazione, anche delle parti comuni, ne consente l’opponibilità ai terzi dalla data dell’eseguita formalità (Cass., Sez. 2, 17/2/2020, n. 3852; Cass., Sez. 2, 9/12/1974, n. 4119).
In presenza di tale presunzione legale, il condominio è, dunque, dispensato dalla prova del suo diritto, ed in particolare dalla cosiddetta probatio diabolica , spettando invece al condòmino che rivendichi la proprietà esclusiva di uno dei beni di cui al suddetto elenco dare la prova delle sue asserzioni, senza che a tal fine sia rilevante il titolo di acquisto proprio o del suo dante causa, ove non si tratti dell’atto costitutivo del condominio, ma di alienazione compiuta dall’iniziale unico proprietario che non si era riservato l’esclusiva titolarità del bene (Cass., Sez. 2, 17/2/2020, n. 3852; Cass., Sez. 2, 7/6/1988, n. 3862).
Ciò comporta che è al primo atto di trasferimento di un’unità immobiliare dall’originario unico proprietario e al conseguente frazionamento dell’edificio in più proprietà individuali che occorre far riferimento al fine di verificare la possibilità di superare la previsione di cui all’art. 1117 cod. civ., con la conseguenza che non può considerarsi dirimente, a tali fini, il contenuto del contratto di compravendita di colui che abbia acquistato in epoca successiva al primo atto di acquisto dall’originario unico proprietario, a meno che questi non si sia riservato la proprietà di alcune porzioni immobiliari che sarebbero altrimenti cadute nella presunzione di condominialità.
Con riguardo al regolamento condominiale c.d. contrattuale, contestuale alla nascita del condominio e accettato col consenso individuale dei singoli condomini (cfr. Cass., Sez. 2, 6/7/2022, n. 21440 cit.; v. anche Cass., Sez. 2, 7/4/2023, n. 9951; Cass. Sez. 2, 21/05/2012, n. 8012; Cass. Sez. 2, 3/05/1993, n. 5125), si
osserva come esso possa contenere, oltre alle norme relative all’amministrazione e alla gestione delle parti comuni, anche l’indicazione stessa delle parti comuni e perfino la previsione dell’uso esclusivo di una parte dell’edificio definita comune a favore di una frazione di proprietà esclusiva, dando luogo ad un vincolo di natura pertinenziale, siccome posto in essere dall’originario unico proprietario dell’edificio, legittimato all’instaurazione e al successivo trasferimento del rapporto stesso ai sensi degli artt. 817, secondo comma, e 818 c.c. (Cass., Sez. 2, 4/9/2017, n. 20712; Cass. Sez. 2, 4/06/1992, n.6892; ma cfr. anche Cass. Sez. 2, 24/11/1997, n. 11717).
Tuttavia, proprio perché l’esclusione, dal novero delle parti condominiali, di alcune porzioni dell’edificio che altrimenti vi ricadrebbero alla stregua della presunzione di cui all’art. 1117 cod. civ. incide sulla costituzione o modificazione di un diritto reale immobiliare (con la conseguenza che l’esclusione stessa deve risultare ad substantiam da atto scritto), è necessario, per aversi titolo contrario, che dal negozio, così come dal regolamento c.d. contrattuale, emergano elementi tali da essere in contrasto con l’esercizio del diritto di condominio, e tale indagine, in quanto afferente all’interpretazione della volontà negoziale dei condomini, presuppone un accertamento di fatto demandato all’apprezzamento dei giudici del merito, rimanendo incensurabile in sede di legittimità se non per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, così come previsti negli artt. 1362 e seguenti cod. civ., oppure nei limiti di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. (Cass., Sez. 2, 6/7/2022, n. 21440 cit.), senza che rilevi il dato empirico che l’area in esame, per la conformazione dei luoghi, sia stata di fatto goduta ed utilizzata più proficuamente e frequentemente dal condomino titolare della contigua unità immobiliare adibita ad attività commerciale, piuttosto che dagli altri condomini (Cass.,
Sez. 2, 4/9/2017, n. 20712, cit.; anche Cass., Sez. 2, 3/05/2002, n. 6359).
6.2. Orbene, per quanto accertato in fatto dalla Corte di appello e non rivalutabile in sede di legittimità, la porzione immobiliare contesa è data, nella specie, da un’area scoperta costituente prosecuzione del suolo su cui insiste l’edificio, che si trova in corrispondenza col portico ed i locali terranei di proprietà di COGNOME NOME, utilizzati per lo svolgimento di attività commerciale, ed è astrattamente utilizzabile per raggiungere l’area condominiale, nei tratti nord e ovest, senza transitare sulla pubblica via, sì da poter essere inclusa nella presunzione di cui all’art. 1117 cod. civ..
Nell’analizzare e interpretare i titoli di acquisto, la Corte di appello di Ancona ha escluso che l’originario unico proprietario si fosse riservato la proprietà dell’area contesa, richiamando, in proposito, quanto già affermato dal giudice di primo grado, che aveva osservato come questi non avesse realizzato alcun frazionamento, onde identificare tale porzione, e come i suoi eredi non l’avessero neppure indicata nella denuncia di successione. Quindi, ha richiamato le condivisibili argomentazioni del Tribunale, che aveva evidenziato come nessuno degli atti di acquisto delle parti, neppure quello di COGNOME, attribuisse la striscia in proprietà esclusiva, che la stessa fosse collegata catastalmente alla particella 147 su cui sorgeva l’edificio condominiale e che l’estensione di quest’ultima, comprensiva anche della striscia contesa, fosse rimasta invariata, fin da quando l’originario proprietario l’aveva acquistata per edificarci, siccome non interessata da frazionamenti o fusioni con altre particelle. Poi, il giudice di appello ha ulteriormente rilevato come l’atto di acquisto del ricorrente indicasse la striscia contesa in termini di confine e non di oggetto del contratto, mentre il regolamento condominiale faceva
riferimento, quanto al lato est, alle strade ancora intestate a (tale) COGNOME, e come detto regolamento, pur non costituendo titolo di acquisto, contenesse una descrizione delle quote comuni basata su quanto risultante dal titolo di acquisto del fondo da parte dell’originario proprietario, senza attribuire proprietà esclusive a terzi, così dovendosene ricavare che il bene ricadeva nella presunzione di cui all’art. 1117 cod. civ. e come il ricorrente COGNOME non avesse dimostrato il titolo contrario.
Dalle suddette argomentazioni, appare evidente come la Corte di merito abbia correttamente interpretato i titoli acquisiti legittimamente in giudizio, ivi compreso il regolamento c.d. contrattuale (ancorché erroneamente definito, su un piano generale, inidoneo a costituire titolo di proprietà), dovendosi considerare dirimente il compiuto accertamento in ordine al fatto che l’originario proprietario non si fosse riservato la proprietà del bene, evidentemente trasferito al primo acquirente, della cui identità non è dato sapere, non essendovi riferimenti né nella sentenza, né nel ricorso. Ciò comporta che, qualora il primo acquirente fosse stato un terzo, nessun trasferimento poteva nel prosieguo essere compiuto dall’originario proprietario nei confronti del citato ricorrente e che, qualora il primo fosse stato proprio quest’ultimo, è stato in via ermeneutica escluso che il suo atto di vendita contemplasse anche questa porzione immobiliare.
A quest’ultimo riguardo, posto che l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito, il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto,
altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata (v., per tutte, Cass., Sez. 1, 9/4/2021, n. 9461).
Non avendo il ricorrente provveduto in tal senso, deve allora ritenersi che le censure, pur proposte sotto la veste formale della violazione di legge (ovvero dell’art. 1362 c.c.) , alleghino, in realtà, un’asserita erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, adeguatamente svolta -per quanto evidenziato -dalla Corte territoriale e sottratta, perciò, al sindacato di legittimità (cfr. Cass., Sez. 3, 4/03/2022, n. 7187; Cass., Sez. 1, 9/4/2021, n. 9461; Cass., Sez. 1, 14/01/2019, n. 640).
Il terzo motivo è parimenti infondato.
A norma dell’art. 817 cod. civ., l’esistenza del vincolo pertinenziale postula un elemento oggettivo, consistente nella destinazione di un bene (cosa accessoria) al servizio o all’ornamento di un altro bene (cosa principale), ed un elemento soggettivo, costituito dalla rispondenza di tale destinazione all’effettiva volontà dell’avente diritto di creare il predetto vincolo di strumentalità e complementarietà funzionale (vedi in tema condominiale Cass., Sez. 2, 29/4/1982, n. 2702; Cass., Sez. 2, 18/01/1985, n. 132; Cass., Sez. 2, 6/08/1997, n. 7227).
Al fine di accertare se l’uso esclusivo di un’area esterna al fabbricato, altrimenti idonea a soddisfare le esigenze di accesso all’edificio di tutti i partecipanti, sia attribuito ad uno o più condomini, è irrilevante la circostanza che l’area stessa, per la
conformazione dei luoghi, sia stata di fatto goduta più proficuamente e frequentemente dal condomino titolare della contigua unità immobiliare adibita ad attività commerciale, occorrendo all’uopo un titolo di fonte negoziale (che può anche ravvisarsi nel regolamento condominiale c.d. contrattuale), posto in essere dall’originario unico proprietario dell’edificio, siccome legittimato all’instaurazione ed al successivo trasferimento del rapporto stesso ai sensi degli artt. 817, secondo comma, e 818 cod. civ., idoneo a conferire al bene natura pertinenziale e la cui interpretazione presuppone un apprezzamento di fatto rimesso al giudice di merito (Cas., Sez. 2, 4/9/2017, n. 20712, cit.; Cass., Sez. 2, 4/6/1992, n. 6892).
A questi principi si è attenuta la Corte distrettuale, allorché ha affermato che l’avere i ricorrenti occupato lo spazio conteso non era idoneo ad attribuire allo stesso la natura di pertinenza, sorgendo tale vincolo non già sulla base del rapporto di strumentalità funzionale esistente tra due beni, ma su un valido atto di destinazione del soggetto legittimato quale titolare del diritto di proprietà o altro diritto reale di godimento; e, con riferimento al caso esaminato, il giudice di appello ha accertato che non risultavano atti costitutivi del vincolo né da parte di COGNOME NOME, né ne erano emersi di riconducibili allo stesso COGNOME NOME, sulla scorta delle motivazioni già in precedenza esplicitate.
8. Il quarto ed ultimo motivo è inammissibile.
La censura contenuta nel ricorso per cassazione relativa alla mancata ammissione della prova testimoniale si profila, per l’appunto, come inammissibile qualora con essa il ricorrente si dolga della valutazione rimessa al giudice del merito, quale è quella di non pertinenza della denunciata mancata ammissione della prova orale rispetto ai fondamenti della decisione, senza allegare le ragioni che avrebbero dovuto indurre ad ammettere tale prova, né
adempiere agli oneri di allegazione necessari a individuare la decisività del mezzo istruttorio richiesto e la tempestività e ritualità della relativa istanza di ammissione (Cass., Sez. 6-L, 4/4/2018, n. 8204; Cass., Sez. 2, 23/4/2010, n. 9748; Cass., Sez. 2, 23/09/2004, n. 19138).
Nella specie, il ricorrente, a fronte di una decisione che ha implicitamente comportato la reiezione delle istanze istruttorie, reputandole non idonee a dimostrare la piena e ininterrotta signoria sul bene e l’esclusione di tutti gli altri condomini dall’uso del bene, si è limitato a richiamare per relationem le memorie contenenti le deduzioni istruttorie, senza chiarire i motivi della loro decisività e della necessità della loro ammissione (e ancor prima senza nemmeno riprodurre specificamente le circostanze indicate in sede di richiesta di prova orale, come sarebbe stato necessario per giurisprudenza pacifica di questa Corte: cfr., tra le tante, Cass., Sez. 6-3, 10/08/2017, n. 19985; Cass., Sez. L, 30/07/2010, n. 17915; Cass., Sez. 3, 19/03/2007, n. 6440) ponendosi in tal modo in contrasto coi principi sopra espressi.
In conclusione, dichiarata l’infondatezza delle prime tre censure e l’inammissibilità della quarta, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico dei ricorrenti, con vincolo solidale.
10. Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380-bis cod. proc. civ. -il terzo e il quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento, sempre in solido ed in favore del controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo),
nonché al pagamento di una ulteriore somma – nei limiti di legge in favore della Cassa delle ammende.
Nulla va disposto sulle spese con riferimento alle parti rimaste intimate, non avendo le stesse svolto alcuna attività difensiva in questa sede.
11. Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 ed agli accessori di legge .
Condanna, altresì, gli stessi ricorrenti , ai sensi dell’art. 96 , commi 3 e 4, cod. proc. civ., al pagamento, con vincolo solidale e sempre in favore del controricorrente, di una somma ulteriore liquidata in € 2.000,00, nonché al pagamento della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la proposizione del ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda