Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 20793 Anno 2025
SENTENZA
sul ricorso 17274-2021 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
CARBONI SALVATORE
– intimato –
Civile Sent. Sez. 2 Num. 20793 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/07/2025
avverso la sentenza n. 202/2021 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, sezione distaccata di SASSARI, depositata in data 25/05/2021
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME udito il P.G., nella persona del sostituto dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con ricorso ex art. 702 c.p.c. COGNOME NOME evocava in giudizio COGNOME NOME innanzi il Tribunale di Sassari, chiedendo che fosse accertata la sua proprietà esclusiva, per accessione, del fabbricato su due livelli e annesso cortile, edificato su un terreno di sua esclusiva proprietà, acquistato prima del matrimonio con la convenuta, dalla quale l’attore si era separato giudizialmente.
Nella resistenza della COGNOME, che spiegava domanda riconvenzionale per il rimborso della metà del valore della casa coniugale oggetto della domanda principale, il Tribunale, dopo aver mutato il rito ed esperito l’istruttoria, con sentenza n. 806/2019 ordinava alla convenuta il rilascio dell’immobile e, in accoglimento della riconvenzionale, condannava l’attore al rimborso in favore della predetta della somma di € 84.000 corrispondente alla metà del valore del cespite.
Con la sentenza impugnata, n. 202/2021, la Corte di Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, accoglieva l’appello spiegato dal COGNOME avverso la decisione di prime cure, riformandola e rigettando la domanda riconvenzionale della Vacca.
Ha proposto ricorso per la cassazione di detta decisione COGNOME NOMECOGNOME articolando due motivi.
COGNOME SalvatoreCOGNOME intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.
A seguito di proposta di definizione anticipata, la parte ricorrente ha chiesto la decisione del ricorso, con atto del 17.5.2023, e lo stesso è stato chiamato all’adunanza camerale del 29.10.2024, in esito alla quale, con ordinanza interlocutoria n. 5280/2025, è stato rimesso alla pubblica udienza.
Con detta ordinanza interlocutoria è stato evidenziato che, se da un lato è certo che la regola dell’accessione preclude il riconoscimento, in favore del coniuge non proprietario del suolo sul quale sia eretta la casa coniugale, del diritto di proprietà su detto bene, dall’altro lato l’esclusione del suo diritto a vedersi riconoscere quota parte del valore del cespite, in assenza di prove da cui ricavare il concorso diretto del coniuge non proprietario alla spesa sostenuta dalla famiglia per l’edificazione potrebbe porsi in contrasto con il principio di cui all’art. 143 c.c., secondo cui ciascun coniuge contribuisce al sostegno ed al benessere familiare in relazione alle proprie capacità, tra le quali rientra anche il lavoro domestico.
In prossimità dell’udienza pubblica, la parte ricorrente ha depositato memoria ed il P.G. ha depositato conclusioni scritte.
All’udienza pubblica è comparso il P.G., nella persona del Sostituto dott. NOME COGNOME il quale ha insistito per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 935, 143, 177, 179, 186, 192 e 196 c.c., 2, 3 e 29 Cost., 12 delle Preleggi e 21 e 47 della Convenzione E.D.U., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente affermato che, ai fini del riconoscimento, in favore del coniuge in regime di comunione legale non proprietario del suolo sul quale è stata eretta l’abitazione familiare, di un diritto di credito pari alla metà del valore dell’immobile sarebbe necessaria la prova di aver
sostenuto un esborso economico. Tale affermazione, secondo la ricorrente, sarebbe in contrasto con i principi di pari dignità morale e giuridica tra i coniugi.
Con il secondo motivo, invece, la ricorrente si duole dell’omesso esame di un fatto decisivo, nonché della violazione degli artt. 115, 116 c.p.c. e 2729 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., perché il giudice di seconda istanza avrebbe trascurato di considerare l’elemento -ritenuto decisivo- secondo cui il COGNOME non aveva documentato, nel corso del giudizio di merito, di avere un reddito sufficiente a consentire l’edificazione della abitazione ex familiare. Di conseguenza, secondo la COGNOME, la Corte distrettuale avrebbe dovuto presumere l’esistenza del concorso economico della stessa per sostenere le spese occorrenti alla realizzazione dell’edificio.
Le due censure, suscettibili di esame congiunto, sono infondate.
Va premesso che, per costante giurisprudenza di questa Corte, quando l’immobile costruito in costanza di matrimonio insiste su un terreno non compreso nella comunione legale, si esclude che esso sia compreso in quest’ultima, dovendosi applicare il principio generale dell’accessione di cui all’art. 934 c.c., non derogato dalla disciplina della comunione legale, in quanto l’acquisto della proprietà per accessione avviene a titolo originario, senza la necessità di una apposita manifestazione di volontà, mentre gli acquisti ai quali è applicabile l’art. 177 c.c. hanno carattere derivativo, essendone espressamente prevista la genesi di natura negoziale (cfr. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 10727 del 22/04/2024, non massimata, pagg. 6 e s.; nonché Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 28258 del 04/11/2019, Rv. 655630 e Cass. Sez. 6 -1, Ordinanza n. 22193 del 03/08/2021, non massimata, pagg. 4 e s.). Ne consegue che la costruzione realizzata in costanza di matrimonio e in regime di comunione legale sul terreno di proprietà esclusiva di uno dei
coniugi è a sua volta bene personale e di proprietà esclusiva di quest’ultimo, mentre al coniuge non proprietario che abbia contribuito all’onere della costruzione spetta, previo assolvimento dell’onere della prova di aver fornito il proprio sostegno economico, il diritto di ripetere nei confronti dell’altro coniuge le somme spese a tal fine (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 20508 del 30/09/2010, Rv. 614312; conf. Cass. Sez. 6 -1, Ordinanza n. 16670 del 03/07/2013, Rv. 626893).
La tutela del coniuge non proprietario, dunque, ha natura personale, e non reale, ed è in ogni caso limitata all’apporto economico fornito per l’edificazione, e non invece -come sostiene la parte odierna ricorrente- alla metà del valore del cespite. In tema, si è ulteriormente precisato che il diritto di ripetizione si colloca nell’alveo della previsione di cui all’art. 2033 c.c. (in questo senso, cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8585 del 11/08/1999, Rv. 529295; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 7060 del 14/04/2004, Rv. 572043; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2354 del 04/02/2005, Rv. 579041; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 27412 del 29/10/2018, Rv. 651027), con conseguente applicazione del relativo regime della prova.
Nel caso di specie, la Corte di Appello ha ritenuto non raggiunta, da parte della Vacca, la prova degli esborsi di denaro che la stessa assumeva di aver sostenuto per far fronte alle opere di edificazione della casa coniugale, né conseguita la dimostrazione che la stessa avesse intrattenuto rapporti con i vari fornitori coinvolti nella costruzione del bene. Inoltre, la Corte territoriale ha affermato che la prova della quale la ricorrente era onerata non poteva ritenersi affievolita dal fatto che il COGNOME non avesse, a sua volta, dimostrato il reddito percepito nel periodo interessato dall’edificazione dell’immobile oggetto di causa, poiché da tale circostanza non poteva ritrarsi la prova dell’apporto economico della medesima ricorrente.
Quest’ultima attinge tale valutazione, sostenendo, anche in memoria, che il giudice di merito avrebbe dovuto inferire, presuntivamente, dalla mancata dimostrazione del reddito del COGNOME, la prova della partecipazione economica della moglie alla costruzione del cespite già adibito a casa familiare. Tale ragionamento, tuttavia, non costituisce applicazione dell’istituto della presunzione, ma realizza una vera e propria inversione dell’onere della prova, poiché non era il COGNOME, proprietario del terreno e dell’immobile, a dover dimostrare di aver sostenuto la spesa per la sua edificazione -potendosi egli semplicemente giovare dell’istituto dell’accessione- bensì la COGNOME ad essere tenuta a provare di aver contribuito alla spesa. Tale prova può certamente essere fornita, in linea teorica, anche mediante ricorso alla presunzione, ma quest’ultima non può fondarsi solamente sul mancato assolvimento, da parte del COGNOME, di un onere probatorio del quale egli non era onerato; occorreva piuttosto che la COGNOME fornisse elementi di valutazione e riscontro che, nel caso specifico, la Corte di Appello non ha ravvisato, e che la stessa parte ricorrente non indica affatto di aver offerto.
Le due censure in cui si articola il ricorso, quindi, si risolvono nella mera proposizione di una lettura alternativa del fatto, rispetto a quella fatta propria dalla Corte distrettuale, senza tener conto che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui ‘L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della
prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330).
Nel caso di specie, infine, la motivazione della sentenza impugnata non risulta viziata da apparenza, né appare manifestamente illogica, è idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dar atto dell’ iter logico-argomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830; nonché, in motivazione, Cass. Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023, Rv. 666639). Anche sotto tale profilo, dunque, la decisione impugnata è esente da vizi.
In definitiva, il ricorso va rigettato.
Nulla per le spese del presente giudizio di legittimità, in assenza di svolgimento di attività difensiva da parte intimata.
Poiché il ricorso è deciso in conformità al contenuto della proposta di decisione a suo tempo formulata, va disposta la condanna della ricorrente al pagamento, in favore della cassa ammende, di una somma determinata come da dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P .R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della cassa ammende, della somma di € 2.000.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda