Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31357 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 31357 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 06/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26140/2019 R.G. proposto da
– ricorrente –
contro
elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell ‘ avv. NOME COGNOME che li rappresenta e difende unitamente agli avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME
– controricorrenti – avverso la sentenza n. 348/2019 de lla Corte d’Appello di Firenze, depositata il 4.7.2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10.10.2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Gli attuali controricorrenti -autisti di autoambulanze che prestarono servizio, con diverse decorrenze e fino al 21.7.2011, presso la Postazione di Emergenza di Scansano -si rivolsero al Tribunale di Grosseto, proponendo una serie di domande collegate all’accertamento che tutti i turni di pronta reperibilità dovevano essere considerati a ogni effetto lavoro straordinario, in quanto svolti necessariamente in presenza fisica presso la struttura, per poter assicurare il rispetto dei tempi di intervento fissati a livello nazionale e regionale.
Per quanto qui ancora di interesse, il Tribunale respinse le domande di condanna dell’Azienda al pagamento della retribuzione per lavoro straordinario, della indennità di pasto per i lavoratori in trasferta (domanda proposta dai soli NOME COGNOME e NOME COGNOME) e delle somme trattenute sulla retribuzione a titolo di pausa pranzo (mezz’ora per ogni giorno di turno).
I lavoratori si rivolsero quindi alla Corte d’Appello di Firenze che, in parziale riforma della decisione di primo grado, accertò, in fatto, che i lavoratori erano stati costretti a rimanere sul posto di lavoro durante la pronta reperibilità passiva e pronunciò le conseguenti condanne nei confronti dell’Azienda, oltre ad accogliere un’ulteriore domanda del solo NOME COGNOME dichiarando che «egli ha diritto altresì al pensionamento anticipato».
Contro la sentenza d’appello l’Azienda Sanitaria ha proposto ricorso per cassazione articolato in sette motivi.
I lavoratori si sono difesi con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa nel termine di legge anteriore alla data fissata per la camera di consiglio ai sensi de ll’ art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Occorre preliminarmente sgomberare il campo dalla eccezione preliminare di inammissibilità del ricorso sollevata dai controricorrenti con riguardo alla validità della procura rilasciata dall’Azienda sanitaria al suo difensore. Si tratta di procura speciale rilasciata su foglio separato nel corpo della quale si fa esplicito riferimento soltanto al «presente giudizio innanzi alla Corte d’Appello di Firenze, Sez. Lavoro, per la sospensione dell’efficacia della sentenza n. 348/2009 emessa dalla medesima Corte».
Secondo la tesi dei controricorrenti -che hanno sviluppato l’argomento nella memoria illustrativa la mancanza di un esplicito cenno al ricorso per cassazione renderebbe la procura, «in modo assolutamente evidente», non riferibile a tale ricorso, che quindi sarebbe inammissibile per la mancanza della procura speciale richiesta dall’art. 365 c.p.c .
1.1. L’eccezione è infondata .
Il principio di diritto da applicare per risolvere la questione è quello affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 36057/2022: « A seguito della riforma dell’art. 83 cod. proc. civ. disposta dalla legge n. 141 del 1997, il requisito della specialità della procura, richiesto dall’art. 365 cod. proc. civ. come condizione per la proposizione del ricorso per cassazione (del controricorso e degli atti equiparati), è integrato, a prescindere dal contenuto, dalla sua collocazione topografica; nel senso che la firma per autentica apposta dal difensore su foglio separato,
ma materialmente congiunto all’atto, è in tutto equiparata alla procura redatta a margine o in calce allo stesso. Tale collocazione topografica fa sì che la procura debba considerarsi conferita per il giudizio di cassazione anche se non contiene un espresso riferimento al provvedimento da impugnare o al giudizio da promuovere, purché da essa non risulti, in modo assolutamente evidente, la non riferibilità al giudizio di cassazione; tenendo presente, in ossequio al principio di conservazione enunciato dall’a rt. 1367 cod. civ. e dall’art. 159 cod. proc. civ., che nei casi dubbi la procura va interpretata attribuendo alla parte conferente la volontà che consenta all’atto di produrre i suoi effetti ».
Nell’ampia motivazione di tale sentenza -alla quale si rinvia ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c. le Sezioni Unite hanno sottolineato che « la soluzione del problema non può prescindere dalla considerazione della centralità del diritto di difesa, riconosciuto dall’art. 24 Cost. e dall’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Tale diritto, come più volte ribadito sia dalla Corte costituzionale che dalle Corti europee, per poter essere concretamente esercitato, impone che gli ostacoli di natura procedurale impeditivi al raggiungimento di una pronuncia di merito siano limitati ai casi più gravi, nei quali non è possibile assumere una decisione diversa (si veda, tra le pronunce più recenti, la nota sentenza della CEDU 28 ottobre 2021, pronunciata nel caso RAGIONE_SOCIALE, nella quale la Corte europea ha evidenziato che le limitazioni all’accesso alle Corti Supreme non devono essere interpretate in modo troppo formale). Tutto ciò sulla base dell’indiscutibile affermazion e secondo cui il processo deve tendere per sua natura ad una
decisione di merito, perché risiede in questo l’essenza stessa del rendere giustizia ».
Dunque il principio è chiaro -così come il suo preciso aggancio a valori superiori, tutelati a livello costituzionale e sovranazionale -salva l’inevitabile necessità, proprio perché si tratta di un principio, di applicarlo alle caratteristiche del caso concreto, ovverosia al contenuto della singola procura alle liti. Fermo restando, però, che deve essere considerata irrilevante qualsiasi ambiguità o lacuna -per quanto evidente -da cui non « risulti, in modo assolutamente evidente, la non riferibilità al giudizio di cassazione ». In altri termini, la nullità della procura si ha solo quando dal testo e dal contesto risulti « in modo assolutamente evidente » che la parte non voleva incaricare il difensore di proporre il ricorso per cassazione.
Ebbene, il conferimento esplicito dell’incarico di proporre alla Corte d’Appello un’istanza di sospensione dell’esecutività della sentenza ai sensi dell’art. 373 c.p.c. fa supporre -piuttosto che negare « in modo assolutamente evidente » -la contestuale volontà di conferire anche l’incarico di proporre il ricorso per cassazione di quella sentenza, dal momento che l’impugnazione della sentenza con il ricorso per cassazione è il presupposto necessario per la proponibilità stessa dell’istanza di sospensione. Di conseguenza, il minimo che si possa dire è che residua un ragionevole dubbio che la parte, sottoscrivendo la procura esplicitamente riferita all’istanza di sospensione della sentenza d’appello , intendesse conferire anche il mandato a impugnare quella sentenza davanti alla Corte di Cassazione, impugnazione senza la quale non sarebbe possibile neanche presentare l’istanza di sospensione (in senso conforme Cass. nn. 24184/2023; 20896/2023; contra Cass. n. 5050/2024, sulla
base di una diversa valutazione sui presupposti della certezza di una volontà del cliente di non conferire il mandato a presentare il ricorso).
L ‘applicazione del principio di diritto incentrato sulla volontà di non conferire la procura a proporre il ricorso per cassazione che deve risultare « in modo assolutamente evidente » impone di affermare l’ammissibilità del ricorso presentato da un difensore munito di una procura che lasci anche solo un ragionevole dubbio sulla volontà di conferire un mandato a impugnare la sentenza davanti alla Corte di legittimità. E, quindi, vale sicuramente a rendere ammissibile il ricorso nel caso qui in esame.
Con il primo motivo di ricorso si denuncia: «violazione di legge per omessa applicazione degli artt. 2697 c.c.; violazione dell’art. 436 c.p.c. e dell’art. 115 c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.). In subordinata ipotesi: omessa valutazione di elementi istruttori decisivi ai fini della soluzione della controversia (art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.)».
La ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha accertato che agli attuali controricorrenti era imposta la presenza fisica presso il punto di emergenza di Scansano durante i turni di reperibilità, con conseguente considerazione del tempo impiegato in tali turni come effettivo orario di lavoro espletato, secondo la corretta interpretazione -che la ricorrente non mette in discussione -della disposizione contenuta nell’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 66 del 2003 («si intende per: a) ‘ orario di lavoro ‘ : qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell ‘ esercizio della sua attività o delle sue funzioni»).
2.1. Il motivo è inammissibile, perché -sotto le mentite spoglie di un ricorso per violazione di legge o per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio -mira, in realtà, a rimettere in discussione l’accertamento del fatto, il che non è consentito in sede di legittimità.
Viene, infatti, esplicitamente censurata la «valutazione delle prove testimoniali», insieme alla omessa ( rectius inadeguata) «valutazione di elementi contrattuali e documentali pacifici in causa», dei quali si riporta diffusamente il contenuto, al fine di supportare un ragionamento presuntivo contrapposto a quello formulato dal giudice d ‘appello .
Si deve allora ricordare che il prudente apprezzamento delle prove (art. 116 c.p.c.) compete esclusivamente al giudice del merito e che l’eventuale insufficienza della motivazione sul punto non è censurabile in cassazione, a meno che non si traduca a una totale assenza o a una assoluta contraddittorietà, censurabile quale vizio in procedendo ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. (Cass. S.U. n. 8053/2014). Vizio che, nel caso di specie, non sussiste e nemmeno viene prospettato come tale dalla ricorrente.
Il secondo motivo censura una «violazione di legge per omessa applicazione degli artt. 2, comma 2, e 40 d.lgs. n. 165/2001», nonché «violazione di legge per omessa applicazione ed interpretazione dell’art. 7 CCNL integrativo comparto sanità 20.9.2001 e dell’art. 6 CCNL comparto sanità 7.4.1999».
Si contesta alla Corte d’Appello di avere tenuto in considerazione atti privi di valore normativo (Comunicato 87/92 della Presidenza del Consiglio e Dispatch 118 della Regione
Toscana) e di avere invece trascurato le previsioni della contrattazione collettiva dalle quali risulta che gli autisti di ambulanze avevano solo l’obbligo di presentarsi al punto di emergenza entro mezz’ora dalla chiamata , non quindi di essere presenti presso il punto di emergenza in attesa di un’event uale chiamata.
3.1. Anche questo motivo è inammissibile, perché non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata e perché, di nuovo, oggetto di censura è, nella sostanza, l’insindacabile accertamento del fatto da parte del giudice d’appello.
I giudici fiorentini non hanno in alcun modo inteso attribuire efficacia normativa agli atti (Comunicato 87/92 della Presidenza del Consiglio e Dispatch 118 della Regione Toscana) in cui era stato fissato l’obiettivo di avviare la missione entro tre minuti dalla chiamata, per giungere sul luogo dell’emergenza entro otto minuti, se collocato in area urbana, ovvero entro venti minuti, se in area extraurbana. Quegli atti sono stati semplicemente inseriti nell’elenco de lle «prove orali e documentali» il cui complessivo apprezzamento ha indotto la Corte d’Appello a d affermare che «gli appellanti hanno assolto l’onere di provare che la loro permanenza all’interno della struttura per tutta la durata del turno fosse imposta da direttive datoriali».
Nessun errore è stato quindi compiuto nell’individuazione delle fonti del diritto nel pubblico impiego, né nella interpretazione dei contratti collettivi di comparto. Infatti, la sentenza è basata, in parte qua , sull’accertamento dell’ effettivo svolgimento dei fatti e non su come i fatti avrebbero dovuto
svolgersi in base alla disciplina contrattuale del rapporto di lavoro.
La stessa sorte deve essere riservata al terzo motivo di ricorso, che è rubricato «violazione di legge per falsa applicazione ed interpretazione dell’art. 1175 e ss. c.c. e dell’art. 12 T.U. 3/1957 . Violazione di legge per omessa applicazione degli artt. 2697 c.c.; violazione dell’artt. CCNL integrativo comparto sanità 20.9.2001 e degli artt. 415, 416 e 436 c.p.c.».
La ricorrente attribuisce alla Corte d’Appello l’errore di avere deciso la causa senza tenere conto che « è … il dipendente a dover adeguare le proprie abitudini personali a quanto richiesto dalla p.a. e non quest’ultima a dover organizzare i propri servizi e/o a retribuire i propri dipendenti a seconda delle scelte personali dei medesimi». Ciò con riferimento alla scelta dei dipendenti di non collocare la residenza in luogo che avrebbe consentito loro di intervenire entro trenta minuti dalla chiamata.
4.1. Il motivo (che riguarderebbe, in realtà, soltanto NOME COGNOME e NOME COGNOME, posto che quanto a NOME COGNOME la sentenza dà atto che egli abitava a Scansano, a poca distanza dal punto di emergenza) non si confronta con la sostanza della ratio decidendi .
Innanzitutto perché questa è basata sull’ accertamento che ai dipendenti era imposto di essere in grado di avviare la missione entro tre minuti dalla chiamata, quale imposizione particolare, derogatoria rispetto alla previsione generale del contratto collettivo di raggiungere il posto di emergenza entro mezz’ora .
Inoltre, non è pertinente il riferimento alla libera scelta dei lavoratori di collocare la propria residenza in luogo che non gli permetteva di raggiungere in tempo utile la sede di lavoro. Infatti, dalla sentenza (pag. 1) risulta che l’ordinaria sede di lavoro di NOME COGNOME e NOME COGNOME era Grosseto e non Scansano, dove essi andavano in trasferta proprio per svolgere i turni di servizio al punto di emergenza.
Il quarto motivo di ricorso denuncia «Omesso esame di un fatto decisivo della controversia (art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.)» e «Violazione di legge (art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.) per motivazione apparente ovvero perplessa e contraddittoria».
Il motivo riguarda il solo NOME COGNOME di cui la sentenza impugnata dà atto -come si è già visto sopra -che abitava a pochissima distanza dal punto di emergenza e la cui posizione è stata, tuttavia, indistintamente accomunata dal giudice di secondo grado a quella degli altri due lavoratori.
5.1. A parte l’irrilevante errore nella qualificazione del vizio denunciato (l’omessa motivazione determina una nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.: ex multis , Cass. nn. 22598/2018; 23940/2017), il motivo è fondato.
La motivazione della sentenza è basata sull ‘accerta mento dell’imposizione a i lavoratori di tempi strettissimi per avviare la missione in caso di chiamata, con conseguente necessità di essere fisicamente presenti nel punto di emergenza durante il turno e in attesa della chiamata. Dunque, secondo quanto accertato dal giudice del merito, per quel che risulta dalla motivazione, non vi era un ordine diretto del datore di lavoro di restare nel punto di emergenza durante il turno di reperibilità,
ma vi era un ordine di rispettare tempi di intervento da cui scaturiva, di fatto , la necessità di rimanere sul luogo di lavoro.
Ma allora, se l’obbligo di presenza «derivava direttamente dall’esigenza di garantire il rapido intervento», manca del tutto la motivazione della decisione assunta nei confronti di NOME COGNOME il quale -si legge nella sentenza impugnata -«avrebbe potuto raggiungere la struttura in pochi minuti» (« … se non fosse stato obbligato a trattenersi al suo interno», aggiunge la sentenza, ma appunto su ll’accertamento della fonte di siffatto obbligo di presenza, autonomo e distinto rispetto a quello di avviare rapidamente il servizio, non vi è alcuna traccia di motivazione).
Il quinto motivo di ricorso denuncia «Violazione di legge falsa applicazione ed interpretazione dell’art. 1 del d.lgs. n. 67 del 2011» e riguarda il solo NOME COGNOME perché è diretto contro il capo della sentenza impugnata che ha dichiarato che «egli ha diritto altresì al pensionamento anticipato».
La ricorrente rileva un difetto di contraddittorio nei confronti dell’IRAGIONE_SOCIALE unico soggetto tenuto a riconoscere il diritto e ad erogare la pensione -salvo ipotizzare che la Corte territoriale abbia soltanto affermato il diritto alla pensione «se e quando saranno maturate le condizioni».
6.1. Anche questo motivo deve essere accolto, per l’assorbente ragione che il datore di lavoro non è il legittimato passivo di una domanda volta all’accertamento di un diritto azionabile solo nei confronti dell’I.N.P.S. La circostanza che la fondatezza delle domande proposte nei confronti del datore di lavoro abbia anche conseguenze sulla posizione previdenziale del lavoratore nulla toglie alla necessità che tali conseguenze
siano fatte valere nei confronti del soggetto passivo del rapporto previdenziale. Nel caso di domanda di mero accertamento di un diritto di credito svolta nei confronti di soggetto che non viene nemmeno indicato come parte di quel rapporto obbligatorio, e che è quindi privo di legittimazione passiva, non si pone una questione di integrazione del contraddittorio (che non è stata nemmeno richiesta dal lavoratore), bensì si deve constatare la radicale impossibilità -rilevabile in ogni stato e grado del processo -di una pronuncia conforme, che non sarebbe l’ accoglimento di una domanda giudiziale, ma nient’altro che un improprio parere del giudice sull’esistenza d i un diritto vantato nei confronti di soggetto del tutto estraneo al processo.
Il sesto motivo di ricorso («violazione di legge per falsa applicazione ed interpretazione dell’art. 7 CCNL Sanità 2001, così come integrato dall’art. 13 del contratto collettivo aziendale; in subordine: omesso esame di un fatto decisivo della controversia») si concentra sull’indennità di pasto per i lavoratori in trasferta ( ex art. 44, comma 5, del CCNL 20.9.2001), che la Cor te d’Appello ha riconosciuto ai lavoratori NOME COGNOME e NOME COGNOME.
La ricorrente afferma innanzitutto che la caducazione di questo capo di sentenza dovrebbe essere «conseguente all’accoglimento dei motivi che precedono» ; inoltre sostiene che tale indennità non sarebbe comunque dovuta con riferimento ai turni in cui ci furono effettivamente interventi di emergenza, per i quali i lavoratori percepirono il relativo trattamento economico.
7.1. Il motivo, per come è formulato, è inammissibile.
Innanzitutto, l’inammissibilità dei precedenti motivi primo, secondo e terzo fa venire meno quella che è indicata
come la prima ragione a sostegno di questo motivo, ovverosia la sua consequenzialità rispetto all’accoglimento di quei motivi.
In secondo luogo, non viene descritto il contenuto della norma della contrattazione collettiva nazionale che si assume violata, né si spiega in che modo la sentenza l’avrebbe violata. Con l’aggravante che si denuncia la violazione dell’art. 7 del CCNL «così come integrato dall’art. 13 del contratto collettivo aziendale», quando è noto che solo per la contrattazione collettiva nazionale del pubblico impiego (e non per i contratti integrativi ) valgono le regole della conoscibilità d’ufficio del loro contenuto da parte del giudice e della diretta sindacabilità in cassazione della loro corretta interpretazione (artt. 63, comma 5, d.lgs. n. 165 del 2001 e 360, comma 1, n. 3, c.p.c.; in giurisprudenza, ex multis : Cass. nn. 32697/2022; 3367/2023; 8906/2023; 30282/2023; 36211/2023).
Infine, la dichiarata denuncia, «in subordine», di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti è, in realtà, soltanto una -peraltro apodittica -critica all’accertamento dei presupposti di fatto per il sorgere del diritto al pagamento della garanzia.
Il settimo motivo denuncia «violazione di legge per falsa applicazione ed interpretazione dell’art. 8 del d.lgs. n. 66/2003 e dell’art. 4, comma 7, dell’accordo aziendale ».
Oggetto di censura è il capo della sentenza che ha accolto la domanda dei lavoratori volta a ottenere il pagamento delle trattenute di mezz’ora di retribuzione per ogni turno di servizio con orario superiore a sette ore di lavoro consecutive. La ricorrente rileva che, in base al l’art. 8 del d.lgs. n. 66 del 2003 e, in modo ancora più chiaro, al l’accordo aziendale del 5.5.2010 ,
la pausa di mezz’ora è pressoché sempre obbligatoria, non solo e necessariamente per il consumare il pasto, ma anche per il semplice recupero delle energie psicofisiche.
8.1. Anche questo motivo è inammissibile, perché -oltre al non consentito riferimento diretto all’interpretazione della contrattazione collettiva aziendale -non incide sulla ratio decidendi che consiste nell’accertamento, in fatto, che le pause non venivano effettuate e che furono invece effettuate le relative trattenute. E se il fatto insindacabilmente accertato è che le pause non venivano effettuate è evidentemente vano chiedersi se non venivano effettuate per la pausa pranzo o per il recupero psicofisico .
L’accoglimento del quarto e del quinto motivo di ricorso determina la cassazione della sentenza impugnata nelle parti pertinenti , con rinvio alla Corte d’Appello di Firenze, in diversa composizione, per decidere sulla questione posta dal quarto motivo. Viceversa, all’accoglimento del quinto motivo può seguire la decisione nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto per rigettare la domanda di accertamento del diritto al pensionamento anticipato di cui al quinto motivo.
Il giudice del rinvio provvederà anche alla decisione sulle spese del l’intero processo .
Si dà atto che , stante l’esito del ricorso, non sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’ art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte:
accoglie il quarto e il quinto motivo di ricorso, dichiara inammissibili i rimanenti motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di accertamento del diritto al pensionamento anticipato di cui al quinto motivo ; rinvia alla Corte d’Appello di Firenze, in diversa composizione, per decidere sulla questione posta dal quarto motivo nonché sulle spese legali relative all’intero processo .
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della