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Promessa di riassunzione: come si calcola il danno?

Un giornalista, licenziato dalla società cessionaria di un ramo d’azienda, si è visto negare il rientro nell’azienda cedente, nonostante una specifica clausola contrattuale. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 24016/2025, ha chiarito i criteri per il calcolo del risarcimento del danno derivante dalla violazione di una promessa di riassunzione. Pur respingendo la richiesta di costituzione coattiva del rapporto di lavoro, ha accolto il ricorso del lavoratore sul punto del ‘dies ad quem’ (termine finale) per il risarcimento, stabilendo che la data di conferimento dell’incarico al CTU, scelta dalla Corte d’Appello, era un limite temporale immotivato. La Corte ha rinviato il caso per una nuova determinazione del periodo risarcibile, confermando che il danno deve coprire l’intero pregiudizio patrimoniale subito dal lavoratore a causa dell’inadempimento.

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Pubblicato il 8 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Risarcimento per promessa di riassunzione: fino a quando va calcolato?

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 24016 del 2025, affronta un tema cruciale nel diritto del lavoro: le conseguenze della violazione di una promessa di riassunzione e, in particolare, come si determina l’estensione temporale del risarcimento dovuto al lavoratore. La decisione offre chiarimenti fondamentali sul cosiddetto dies ad quem, ovvero il termine finale per il calcolo del danno patrimoniale.

I fatti del caso: la clausola di rientro dopo la cessione d’azienda

La vicenda ha origine dalla cessione in affitto di un ramo d’azienda da parte di una grande casa editrice a una società controllata. Un giornalista, dipendente della società cedente, passava alle dipendenze della nuova società. A garanzia della sua posizione, un accordo sindacale del 18 dicembre 2000 prevedeva una clausola di rientro: in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo da parte della società cessionaria, il lavoratore avrebbe avuto diritto a essere riassunto dalla casa editrice originaria.

Nel 2014, verificatasi tale condizione, il giornalista viene licenziato e chiede di esercitare il suo diritto al rientro. La casa editrice, tuttavia, rifiuta l’assunzione. Il lavoratore si rivolge quindi al tribunale, chiedendo in via principale la costituzione forzata del rapporto di lavoro ai sensi dell’art. 2932 c.c. e, in subordine, il risarcimento del danno per inadempimento contrattuale.

La decisione dei giudici di merito

La Corte d’Appello, pur riconoscendo l’inadempimento della casa editrice, respinge la domanda di costituzione del rapporto di lavoro. La motivazione risiede nel fatto che l’accordo del 2000 non conteneva tutti gli elementi essenziali del futuro contratto (come l’inquadramento aggiornato e la relativa retribuzione), rendendo impossibile una pronuncia costitutiva.
Tuttavia, accoglie la domanda di risarcimento del danno, condannando la società a pagare una somma considerevole. Il punto controverso della decisione d’appello, però, riguarda la determinazione del periodo risarcibile: la Corte lo limita temporalmente, fissando il dies ad quem alla data di conferimento dell’incarico al consulente tecnico d’ufficio (CTU), ritenendola una data arbitraria e non giustificata.

L’analisi della Corte di Cassazione: il calcolo del danno per promessa di riassunzione

La Suprema Corte viene chiamata a pronunciarsi sia sul ricorso del lavoratore che su quello incidentale dell’azienda. Mentre respinge le doglianze dell’azienda sulla presunta nullità della clausola di rientro, si concentra sul punto sollevato dal giornalista relativo al calcolo del danno.

La determinazione del “dies ad quem” per il risarcimento

La Cassazione accoglie il motivo del ricorso del lavoratore, giudicando fondata la censura contro la scelta del termine finale per il risarcimento. I giudici di legittimità ribadiscono un principio consolidato: il datore di lavoro che non adempie all’obbligo di assumere è tenuto a risarcire l’intero pregiudizio patrimoniale subito dal lavoratore per tutto il periodo in cui si è protratta l’inadempienza.
Questo pregiudizio comprende tutte le retribuzioni che il lavoratore avrebbe percepito se fosse stato assunto. La Corte chiarisce che la limitazione temporale del risarcimento in sede di giudizio è necessaria, poiché non si può proiettare il danno all’infinito nel futuro, data l’incertezza di eventi come il reperimento di un nuovo lavoro. Tuttavia, la scelta del dies ad quem non può essere arbitraria e immotivata come quella operata dalla Corte d’Appello (la data di nomina del CTU). Secondo la giurisprudenza prevalente, il danno va liquidato fino alla data della pronuncia di merito, in quanto per il periodo successivo manca il requisito dell’attualità e della certezza. Di conseguenza, la Corte cassa la sentenza su questo punto, rinviando alla Corte d’Appello per una nuova e corretta determinazione del periodo da risarcire.

Il rigetto del ricorso incidentale dell’azienda

La Corte di Cassazione ha respinto tutti gli otto motivi del ricorso incidentale presentati dalla casa editrice. In particolare, ha ritenuto che la clausola di rientro fosse sufficientemente determinata, poiché faceva riferimento al “complesso dei trattamenti economici collettivi in vigore” presso l’azienda, fornendo un parametro chiaro per definire le condizioni contrattuali. Ha inoltre confermato la correttezza dell’inclusione nel calcolo del danno della quota di TFR non maturata, in quanto parte integrante del danno patrimoniale complessivo subito dal lavoratore.

Le motivazioni

Le motivazioni della Suprema Corte si fondano su principi consolidati in materia di responsabilità contrattuale per inadempimento dell’obbligo di assunzione. Il risarcimento deve essere integrale e coprire sia il danno emergente che il lucro cessante, ossia tutte le utilità economiche che il lavoratore avrebbe conseguito con l’assunzione. La Corte sottolinea che l’onere di provare eventuali guadagni alternativi del lavoratore (aliunde perceptum) spetta al datore di lavoro. La decisione di cassare la sentenza d’appello limitatamente al dies ad quem si basa sull’illogicità e arbitrarietà della data scelta, che non trova alcun fondamento giuridico. Il rinvio è finalizzato a correggere questo errore, applicando il principio secondo cui il risarcimento deve coprire il danno fino al momento in cui la sua proiezione futura diventa incerta, convenzionalmente identificato con la data della decisione di merito.

Le conclusioni

L’ordinanza n. 24016/2025 rafforza la tutela del lavoratore di fronte a una promessa di riassunzione non mantenuta. Stabilisce con chiarezza che il risarcimento non può essere limitato da termini arbitrari, ma deve ristorare pienamente il danno economico subito fino a un momento processualmente certo. Questa pronuncia serve da monito per i datori di lavoro sull’importanza di onorare gli impegni contrattuali e fornisce un criterio guida per la liquidazione del danno in casi analoghi.

Quando una promessa di riassunzione è considerata valida e vincolante?
Una promessa di riassunzione è valida quando, pur non specificando ogni singolo dettaglio del futuro rapporto, contiene elementi sufficienti a determinare l’oggetto del contratto. Nel caso esaminato, il riferimento al “complesso dei trattamenti economici collettivi in vigore” è stato ritenuto un criterio sufficiente a rendere la clausola determinata e quindi vincolante.

Come viene calcolato il risarcimento del danno se un’azienda viola una promessa di riassunzione?
Il risarcimento deve coprire l’intero pregiudizio patrimoniale subito dal lavoratore. Questo include tutte le retribuzioni che avrebbe percepito se fosse stato assunto, comprensive della quota di TFR non maturata. Dal totale del risarcimento possono essere detratti eventuali guadagni che il lavoratore ha percepito da altre attività lavorative (aliunde perceptum), la cui prova è a carico del datore di lavoro.

Fino a quale data (dies ad quem) deve essere calcolato il risarcimento per la mancata assunzione?
La Corte di Cassazione ha stabilito che la data finale per il calcolo del danno non può essere arbitraria. Sebbene il danno debba essere delimitato temporalmente in sede di giudizio (poiché il futuro è incerto), il termine deve essere logico e motivato. La giurisprudenza prevalente indica che il danno va liquidato fino alla data della pronuncia di merito di secondo grado, poiché per il periodo successivo la proiezione dell’evento lesivo manca di attualità e certezza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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