Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24016 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 24016 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/08/2025
Oggetto
R.G.N. 20176/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 10/07/2025
CC
ORDINANZA
sul ricorso 20176-2020 proposto da: COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME
COGNOME;
– ricorrente principale-
contro
COGNOME RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME;
contro
ricorrente -ricorrente incidentale nonché contro
COGNOME
ricorrente principale -controricorrente incidentale avverso la sentenza n. 1346/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 15/11/2019 R.G.N. 1420/2016; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/07/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
Fatti di causa
La Corte d’Appello di Milano ha accolto in parte l’appello principale di NOME COGNOME e, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha condannato la Arnoldo Mondadori RAGIONE_SOCIALE (d’ora in avanti anche RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore del Boni dell’ulteriore somma di euro 277.433,58, oltre accessori di legge, a titolo risarcimento del danno da inadempimento della cd. clausola di rientro pr evista dall’accordo concluso tra le parti il 18.12.2000.
La Corte territoriale ha premesso che NOME COGNOME era dipendente di RAGIONE_SOCIALE con qualifica di giornalista; che il rapporto di lavoro era stato ceduto ad RAGIONE_SOCIALE (d’ora in avanti anche RAGIONE_SOCIALE) nell’ambito della cessione in affitto di ramo d’azienda decorrente dall’1.1.2001; che, con accordo del 18 dicembre 2000, era stato garantito al COGNOME «il rientro nell’Arnoldo Mondadori Editore RAGIONE_SOCIALE in caso (tra l’altro) di licenziamento per giustificato motivo oggettivo» comminato dalla cessionaria; che con lettera del 24.3.2014 ACI aveva licenziato il lavoratore per giustificato motivo oggettivo; che il Boni aveva rivendicato il diritto al ripristino del rapporto in capo ad RAGIONE_SOCIALE, anche ai sensi dell’art. 2932 c.c., e in subordine chiesto il risarcimento del danno per l’inadempimento del citato accordo.
I giudici di appello, per quanto ancora rileva, hanno respinto la domanda di costituzione del rapporto di lavoro in capo a AME, ai sensi dell’art. 2932 c.c., sul rilievo che l’accordo tra le parti del 18.12.2000 non contenesse, quali elementi essenziali del contratto da concludere, gli stessi elementi indicati dal lavoratore nelle conclusioni del ricorso introduttivo di primo grado. In tali conclusioni erano invocate le «condizioni
contrattualmente previste al momento della cessazione del rapporto di lavoro con RAGIONE_SOCIALE (inquadramento come giornalista professionista con qualifica di capo servizio; durata a tempo indeterminato; sede di lavoro in Segrate; retribuzione mensile pari ad euro 6.091,74; anzianità maturata dal 15 giugno 1989)». Invece, l’accordo del 2000 garantiva il rientro in AME con il «complesso dei trattamenti economici collettivi in vigore, ora e futuro presso l’Arnoldo Mondadori RAGIONE_SOCIALE, assorbibili a fronte di istituzioni analoghe nella società RAGIONE_SOCIALE, senza alcun cenno ai passaggi di qualifica avvenuti presso quest’ultima società (da redattore a caposervizio) né ai connessi incrementi retributivi.
Appurato l’inadempimento di AME agli obblighi derivanti dalla clausola di rientro per il rifiuto, dalla stessa manifestato con lettera del 7.3.2014, di assunzione del Boni su qualsiasi posizione di giornalista, la Corte di merito ha condannato la società a l risarcimento del danno, parametrato, in base all’esito della c.t.u. contabile svolta, alle retribuzioni non percepite dal 21.3.2014 (data della messa in mora) fino al 16.1.2019 (data di conferimento dell’incarico al c.t.u.), e comprensivo della quota di trattamento di fine rapporto che il sig. COGNOME avrebbe maturato se fosse stato ricostituito il rapporto, detratto quanto dal medesimo ricevuto come corrispettivo di altre attività lavorative medio tempore svolte.
Avverso la sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. La Arnoldo Mondadori Editore spa ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale formulando otto motivi. NOME COGNOME ha depositato controricorso avverso il ricorso incidentale e successiva memoria.
Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Ragioni della decisione
Ricorso principale di NOME COGNOME
1. Con il primo motivo del ricorso è dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c., e conseguente violazione e falsa applicazione dell’art. 2932 c.c., per non avere la sentenza impugnata considerato che il contratto collettivo aziendale del 2.12.1988, prodotto dal ricorrente all’udienza del 29 maggio 2019 (produzione ritenuta ammissibile in ragione della natura indispensabile del documento), stabiliva nel dettaglio le condizioni di esecuzione della garanzia di rientro prestata dalla società resistente, così consentendo una pronuncia costitutiva del rapporto di lavoro ai sensi dell’art. 2932 c.c., ingiustamente negata dalla sentenza impugnata.
Il ricorrente assume che la lettera-accordo del 18.12.2000, nel prevedere la clausola di rientro, faceva espresso rinvio alle previsioni del contratto aziendale del 2.12.1988 il quale stabiliva che ‘il passaggio alla nuova società (e l’eventuale rientro) a vverrà col mantenimento dell’anzianità e di tutti gli altri diritti acquisiti dal giornalista’; che l’accordo del 1988, costituente fonte dell’obbligo di stipulare il contratto di lavoro, obbligo poi esteso dal successivo accordo aziendale del 1992 e ribadito nella lettera del 18.12.2000, indicava in modo inequivoco tutti gli elementi essenziali del contratto da stipulare, sufficienti ai fini dell’art. 2932 c.c.
1.1. Il motivo è inammissibile per alcuni aspetti e infondato per altri.
Il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., non l’omesso esame di un fatto inteso in senso storico fenomenico, come necessario in base alle sentenze delle Sezioni Unite di questa Corte n. 8053 e n. 8054 del 2014, bensì l’errata lettura ed int erpretazione dell’accordo datato 18.12.2000, per non avere la Corte d’appello colto il senso e la portata del riferimento ivi contenuto all’accordo aziendale del 1988, che stabiliva le condizioni economiche e normative garantite al lavoratore e da valere sia al momento del passaggio alle dipendenze di RAGIONE_SOCIALE e sia al momento, eventuale, di rientro alle dipendenze della RAGIONE_SOCIALE.
La censura si colloca, all’evidenza, al di fuori del perimetro del citato art. 360 n. 5 c.p.c. per difetto dei requisiti che caratterizzano lo specifico vizio deducibile in sede di legittimità. Non solo, la stessa risulta, a monte, inammissibile perché non accompagnata da alcuna allegazione in grado di esplicitare in che termini e in quale atto processuale tale deduzione era stata fatta nei precedenti gradi di merito, attraverso l’espresso riferi mento all’accordo aziendale del 1988 ed argomentando sulla necessaria integrazione del contenuto dell’accordo del 18.12.2000 con le previsioni del contratto aziendale del 1998 e di quelli successivi; allegazioni indispensabili per evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura (sul punto cfr. Cass. n. 23675 del 2013; n. 20703 del 2015; n. 18795 del 2015; n. 11166 del 2018; n. 20694 del 2018), considerato che la sentenza d’appello, nel riassumere i motivi di impugnazione, non fa cenno alcuno alla questione ora posta dal ricorrente.
Ancora, la critica oggetto del motivo in esame, che investe nella sostanza l’interpretazione di atti negoziali, cioè l’accordo del 18.12.2000 e l’accordo aziendale del 1988, non reca alcun riferimento alla violazione di specifici canoni ermeneutici,
rivelandosi anche per tale aspetto inammissibile (cfr. Cass. n. 15890 del 2007; n. 9245 del 2007; n. 15471 del 2017; n. 19089 del 2018).
Il motivo è, di conseguenza, infondato nella parte in cui prospetta la violazione dell’art. 2932 c.c. sul presupposto della esistenza, nell’accordo del 18.12.2000, degli elementi essenziali del contratto da stipulare in quanto desumibili dal riferimento al l’accordo aziendale del 1988.
Con il secondo motivo, formulato in via subordinata, è dedotto il vizio di omessa pronuncia per violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. (e/o violazione o falsa applicazione dell’art. 1223 c.c.), per avere la sentenza impugnata completamente omesso di esaminare (ovvero implicitamente rigettato) il terzo motivo di appello, con cui si denunciava che il giudice di primo grado non aveva considerato il danno ancora in corso di produzione, e per avere quindi la Corte d’appello omesso di condannare la società al risarcimento del danno subito e subendo dopo la data del giuramento del c.t.u., illogicamente individuata come dies ad quem per il calcolo del risarcimento.
2.2. Il motivo è fondato nei sensi di seguito esposti.
Con orientamento costante questa S.C. ha statuito che il datore di lavoro, il quale non adempie all’obbligo di assumere il lavoratore, è obbligato, per responsabilità contrattuale, a risarcire l’intero pregiudizio patrimoniale che il predetto ha subito durante tutto il periodo in cui si è protratta l’inadempienza. Tale pregiudizio può essere in concreto determinato, senza bisogno di una specifica prova del lavoratore, sulla base del complesso delle utilità che questi avrebbe potuto conseguire, ove tempestivamente assunto, mentre spetta al datore di lavoro provare l’ aliunde perceptum ,
oppure la negligenza del lavoratore nel cercare altra proficua occupazione (v. Cass. n. 11681 del 1995; n. 8894 del 2001; n. 2402 del 2004; n. 7858 del 2008; n. 488 del 2009; n. 13718 del 2009; più recentemente, Cass. n. 36724 del 2021).
Pronunciandosi in riferimento a casi di illegittimo rifiuto di assunzione a fronte di un obbligo legale in tal senso (in materia di assunzioni obbligatorie, su cui v. Cass. n. 11681 del 1995; n. 8894 del 2001; n. 2402 del 2004; in materia di clausole sociali, su cui v. Cass. n. 11141 del 2001; n. 36724 del 2021; sull’obbligo di assunzione previsto a carico dell’Azienda Autonoma Ferrovie dello Stato dalla legge n. 42 del 1979, art. 22, su cui v. Cass. n. 7858 del 2008), questa Corte ha anzitutto dichiarato la natura contrattuale della relativa responsabilità per inadempimento. Dalla natura contrattuale della responsabilità ha fatto discendere l’obbligo datoriale di risarcimento del danno, precisando come la sussistenza del danno non esiga alcuna prova. Ciò sul rilievo che il diritto alla costituzione del rapporto di lavoro è anche diritto ai vantaggi economici che discendono direttamente dal rapporto, nella misura in cui tali vantaggi non esigono ulteriori presupposti connessi al fatto dello stesso lavoratore o ad eventi esterni, come accade per la prestazione lavorativa. Infatti, con la domanda il potenziale lavoratore offre la propria collaborazione ed è solo l’inadempimento datoriale che ne preclude lo svolgimento (in termini, Cass. n. 7858 del 2008). Il risarcimento del danno da omessa assunzione deve comprendere (ai sensi dell’art. 1223 c.c. e nei limiti di cui alla stessa norma ed all’art. 1227 c.c.) il danno emergente ed il lucro cessante, cioè quanto meno tutte le retribuzioni che il lavoratore avrebbe percepito durante l’intero periodo di inadempimento dell’obbligo di assumerlo.
La negazione o la limitazione del diritto al risarcimento del danno potrebbe discendere da un’altra attività lavorativa dal medesimo svolta medio tempore o che lo stesso avrebbe potuto svolgere, sub specie di aliunde perceptum o percipiendum , con onere della relativa prova a carico di chi tale fatto deduca, vale a dire il datore di lavoro.
Sul dies ad quem dell’obbligo risarcitorio, plurime pronunce di legittimità hanno precisato che, pur permanendo nel tempo l’antigiuridicità del rifiuto di assunzione, tuttavia il danno, da liquidare in misura pari alle retribuzioni che il lavoratore avrebbe percepito ove fosse stato assunto, deve essere delimitato temporalmente nell’ambito della pronuncia di secondo grado in quanto per il periodo successivo alla sentenza manca il requisito dell’attualità e della certezza della proiezione nel futuro dell’evento lesivo rappresentato dall’ingiusto stato di disoccupazione, che può cessare anche per eventi diversi dalla assunzione ad opera del datore di lavoro obbligato, come il reperimento di altra occupazione presso altro datore di lavoro, o altre diverse circostanze (v. Cass. n. 2246 del 1997; n. 11877 del 1998; n. 5766 del 2002; n. 488 del 2009).
A tali principi non si è attenuta la decisione di appello che ha immotivatamente individuato quale dies ad quem del danno risarcibile la data di conferimento dell’incarico al consulente tecnico d’ufficio; da ciò discende la fondatezza del secondo motivo del ricorso principale.
Ricorso incidentale della Arnoldo Mondadori Editore RAGIONE_SOCIALE
Con il primo motivo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 414 c.p.c., e dell’art. 345 c.p.c., per non avere la Corte d’appello rilevato la novità della domanda del sig. COGNOME formulata per la prima volta in appello, di rientrare alle
dipendenze di COGNOME con la qualifica di redattore ordinario. Si censura la decisione di appello che, pur avendo dichiarato inammissibile ex art. 345 c.p.c. la domanda proposta ai sensi dell’art. 2932 c.c., non ha adottato la medesima statuizione sulla domanda risarcitoria.
Con il secondo motivo la società deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 1325, 1346 e 1418 c.c. in merito al rigetto dell’eccezione di nullità della clausola di rientro per mancata determinazione e determinabilità delle concrete condizioni di rientro del sig. COGNOME presso RAGIONE_SOCIALE. La società assume che la lettera del 18 dicembre 2000 contemplava solo un diritto al rientro, ma non indicava in alcun modo le condizioni contrattuali dell’obbligo di riassunzione né gli elementi necessari per poter individuare tali condizioni contrattuali in maniera certa e univoca, con conseguente sua nullità.
Con il terzo motivo, formulato in via subordinata al rigetto del secondo motivo, la società deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la violazione dell’art. 132 c.p.c. per motivazione apparente su un punto decisivo della controversia nonché la carenza sostanziale di motivazione in ordine alle ragioni per cui la lettera-accordo del 18 dicembre 2000 non solo prevedesse un obbligo di far rientrare il signor COGNOME ma esplicitasse anche le condizioni contrattuali per il rientro.
Con il quarto motivo, formulato in via subordinata al rigetto del terzo motivo, si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. per non avere la Corte d’appello, nell’esame del testo contrattuale, applicato gli strumenti dell’analisi logica e grammaticale nell’interpretazione delle relative clausole e della loro connessione; in particolare, per non aver considerato che
l’avverbio ‘inoltre’ valeva a rescindere il legame logico tra il ‘rientro’ presso AME e le ‘condizioni di lavoro’ presso l’affittuaria ACI-Mondadori.
Con il quinto motivo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 3, comma 5, della legge 68 del 1999, a mente del quale gli obblighi di assunzione dei disabili sono sospesi a carico della imprese che versano in una delle situazioni previste dagli artt. 1 e 3 della legge 223 del 1991 e succ. mod., ovvero dall’art. 1, decreto -legge 726 del 1984, convertito dalla legge 863 del 1984; nonché la violazione dell’art. 1218 c.c. La società ricorrente critica la sentenza d’appe llo per avere escluso che la riorganizzazione aziendale attuata da RAGIONE_SOCIALE facesse venir meno l’obbligo di assunzione del Boni, non presentando le caratteristiche dell’assoluta impossibilità di cui all’art. 1218 c.c. e invoca una applicazione analogica, alla fattispecie oggetto di causa, delle previsioni dettate dalla legge n. 68 del 1999 per i disabili.
Con il sesto motivo, formulato in via subordinata al rigetto del quinto motivo, si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c. nella parte in cui la Corte d’appello ha determinato l’ammontare della retribuz ione da prendere quale base di calcolo del risarcimento riconosciuto al sig. COGNOME in misura superiore a quanto dal medesimo richiesto e, comunque, includendo voci previste da accordi aziendali la cui applicazione non era stata chiesta dal lavoratore né in primo grado né in appello e che il predetto non aveva neanche indicato nei calcoli depositati in secondo grado.
Con il settimo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la Corte d’appello riconosciuto, a titolo risarcitorio, un importo
imputabile a TFR, calcolato sulle retribuzioni perse, che non era stato richiesto dal sig. COGNOME né in primo grado né in appello.
10. Con l’ottavo motivo, subordinato al rigetto del settimo, si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione degli artt. 1223 e 2120 c.c. per avere la Corte d’appello riconosciuto come voce risarcitoria il TFR che, secondo il meccani smo previsto dall’art. 2120 c.c., è connaturato alla instaurazione del rapporto e alla relativa risoluzione e non può essere riconosciuto come lucro cessante rispetto ad un rapporto non costituito.
11. Il secondo, il terzo e il quarto motivo, il cui esame è logicamente prioritario, non sono fondati.
La lettera accordo del 18.12.2000 (trascritta a p. 16 del ricorso incidentale) aveva il seguente tenore: «Le comunichiamo che, a seguito della cessione in affitto del ramo d’azienda da parte della nostra Società alla RAGIONE_SOCIALE, a decorrere dal 1° gennaio 2001, il suo rapporto di lavoro proseguirà con la società RAGIONE_SOCIALE Resta inteso che inoltre che presso la società RAGIONE_SOCIALE le verrà applicato il trattamento economico e normativo riconosciutole dall’Arnoldo Mondador i Editore RAGIONE_SOCIALE . Nello specifico Le è sin d’ora garantito il rientro nell’Arnoldo Mondadori Editore Spa in caso di cessazione dell’attività della RAGIONE_SOCIALE, di cambiamento di gestione della RAGIONE_SOCIALE nonché nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Inoltre, Le è sin d’ora garantito il complesso di trattamenti economici collettivi in vigore, ora e in futuro, presso la Arnoldo Mondadori Editore Spa, assorbibili a fronte di istituzioni di analoghe nella società RAGIONE_SOCIALE.
La Corte d’appello ha interpretato il periodo «Inoltre Le è sin d’ora garantito il complesso dei trattamenti economici collettivi
in vigore, ora e futuro, presso l’RAGIONE_SOCIALE, assorbibili a fronte di istituzioni analoghe nelle società RAGIONE_SOCIALE come volto a regolamentare le condizioni di rientro presso la cedente RAGIONE_SOCIALE e, sulla base di ciò, ha considerato l’oggetto dell’accordo determinato, escludendone la nullità per indeterminatezza dedotta, invece, dalla società.
Quest’ultima ora, con i motivi in esame, censura le conclusioni cui è giunta la Corte d’appello al fine di far dichiarare la nullità della citata lettera-accordo 18.12.2000 e ciò fa, anzitutto, criticando l’interpretazione delle singole clausole dell’accor do e la loro connessione, assumendo che l’avverbio ‘inoltre’ valeva a rescindere il legame logico tra il ‘rientro’ presso AME e le ‘condizioni di lavoro’ presso l’affittuaria ACI -Mondadori.
Tuttavia, la denuncia di violazione di legge, oggetto del quarto motivo, non evidenzia errori di diritto nell’applicazione dei canoni ermeneutici ma si limita a giustapporre alla lettura data dai giudici di appello una diversa lettura dell’accordo, peraltr o tale da ridurre la locuzione sopra riportata ad una mera ripetizione di quella (introdotta dall’espressione ‘resta inteso inoltre…’) che già disciplinava il trattamento spettante al lavoratore presso la cessionaria e risulta, per tale ragione, non accoglibile.
In base ai principi enunciati da questa Corte, l’interpretazione degli atti negoziali, ed anche degli atti unilaterali, si sostanzia in un accertamento di fatto (cfr. Cass. n. 9070 del 2013; n. 12360 del 2014), riservato all’esclusiva competenza del giudice del merito (cfr. Cass. n. 22318 del 2023; n. 17067 del 2007; Cass. n. 11756 del 2006); il sindacato di legittimità è in tal caso limitato alla verifica del rispetto dei canoni ermeneutici, oltre che al controllo di sussistenza di una motivazione logica e coerente (cfr. Cass. n. 21576 del 2019; n. 20634 del 2018; n.
4851 del 2009; n. 3187 del 2009; n. 15339 del 2008) ed esige la specifica indicazione del modo attraverso cui si è realizzata la violazione delle regole interpretative o l’insanabile contraddittorietà del ragionamento del giudice di merito. Da ciò discende che le censure veicolate col ricorso in cassazione non possono esaurirsi nella prospettazione di una interpretazione alternativa, fondata sulla valorizzazione di alcune espressioni piuttosto che di altre, ma deve rappresentare elementi idonei a far ritenere erronea la lettura data dal giudice del merito, cui l’attività di interpretazione dell’atto è riservata (cfr., Cass. n. 18214 del 2024; n. 15471 del 2017; n. 27136 del 2017; n. 18375 del 2006).
Da ciò discende l’infondatezza anche del secondo e del terzo motivo di ricorso, atteso che la sentenza impugnata è certamente priva delle anomalie motivazionali idonee ad integrare la violazione dell’art. 132 c.p.c., come delineate dalle Sezioni Unite con le sentenze n. 8053 e n. 8054 del 2014. La lettura piana della motivazione dà conto della statuizione adottata dai giudici di appello nel considerare ‘chiara’ la clausola rientro e tale da esplicitare ‘le condizioni contrattuali di rientro’ garantendo il ‘ complesso dei trattamenti economici collettivi in vigore, ora e futuro, presso l’Arnoldo Mondadori RAGIONE_SOCIALE‘, senza che possa configurarsi, se non sulla base di una lettura incompleta, alcuna contraddizione letterale o logica tra il contenuto dei paragrafi n. 5 e n. 6 della parte motiva.
12. Il rigetto dei motivi appena scrutinati determina l’infondatezza anche del primo motivo del ricorso incidentale. La Corte d’appello ha accolto la domanda del lavoratore pacificamente formulata sulla base della clausola di rientro, quale causa petendi (v. ricorso cassazione, p. 5), e nei limiti del contenuto della stessa come interpretato dalla medesima Corte,
nel senso di considerare garantito il trattamento in vigore presso AME e successive modifiche, relativo all’originario inquadramento del dipendente (come redattore) e a prescindere dai successivi passaggi di qualifica avvenuti presso ACI-Mondadori (caposervizio). Il trattamento economico e normativo garantito dalla clausola di rientro, come intesa dalla Corte d’appello, è stato utilizzato unicamente quale parametro per la quantificazione del danno, conseguente all’inadempimento di AME all’obbligo di assunzi one, e ciò preclude ogni possibile violazione del divieto dei nova in appello. 13. Il quinto motivo è manifestamente infondato per la non pertinenza del riferimento normativo alla legge n. 68 del 1999 e per la inconfigurabilità di una violazione di detta legge ad opera della sentenza impugnata. La censura di violazione dell’art. 1218 c.c. è inammissibile per difetto di specificità non essendo in alcun modo evidenziate le affermazioni in diritto contenute nella sentenza d’appello che si pongono in contrasto con la disposizione citata (sul punto v. Cass., Sez. U., n. 23745 del 2020). La censura neppure si confronta con la motivazione adottata dai giudici di appello che hanno sottolineato, tra l’altro, ‘l’assoluta genericità con riferimento alla complessiva riorganizzazione di RAGIONE_SOCIALE quale fattore inidoneo ad integrare i requisiti del citato art. 1218 c.c.
Il sesto e il settimo motivo di ricorso sono inammissibili. La società prospetta un error in procedendo , in termini di vizio di ultrapetizione, senza adeguatamente assolvere agli oneri imposti dagli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 c.p.c., cioè senza preoccuparsi di trascrivere, almeno nelle parti essenziali, e di localizzare o depositare gli atti processuali da cui potesse evincersi l’esatto contenuto della domanda risarcitoria svolta dal sig. COGNOME
Il requisito di specificità dei motivi, di cui all’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., da interpretare, anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021, in modo non eccessivamente formalistico, impone, comunque, che nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (così Cass., S.U. n. 8950 del 2022). Tale principio può ritenersi rispettato ogni qualvolta l’indicazione dei documenti o degli atti processuali sui quali il ricorso si fondi, avvenga, alternativamente, o riassumendone il contenuto, o trascrivendone i passaggi essenziali, bastando, ai fini dell’assolvimento dell’onere di deposito previsto dall’art. 369, comma 2, n. 4 c.p.c., che il documento o l’atto, specificamente indicati nel ricorso, siano accompagnati da un riferimento idoneo ad identificare la fase del processo di merito in cui siano stati prodotti o formati (Cass. n. 12481 del 2022); tali requisiti risultano non integrati nel caso di specie.
Peraltro, ad escludere in radice la configurabilità di una violazione dell’art. 112 c.p.c., si ribadisce come la Corte d’appello non abbia riconosciuto somme a titolo di retribuzione o di TFR ma abbia unicamente risarcito il danno subito dal sig. COGNOME a ca usa dell’inadempimento di AME agli obblighi derivati dalla clausola di rientro ed abbia parametrato tale danno al trattamento economico complessivo dal medesimo perso, certamente comprensivo della quota di TFR non maturata; dal che discende la infondatezza anche dell’ottavo motivo.
14. Per le considerazioni finora esposte, accolto il secondo motivo del ricorso principale e respinti il primo motivo del ricorso principale e il ricorso incidentale, deve cassarsi la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio
della causa alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione, che provvederà inoltre a regolare le spese del giudizio di legittimità.
Il rigetto del ricorso incidentale costituisce presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso principale, rigetta il primo motivo del ricorso principale e il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nell’adunanza camerale del 10 luglio 2025