Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 9701 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 9701 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31468/2020 R.G. proposto da: COGNOME NOME, rappresentato e difeso dagli Avvocati COGNOME NOME e COGNOME NOME, presso l ‘ indirizzo di posta elettronica certificata dei quali è domiciliata per legge;
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME e COGNOME NOME
-intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di VENEZIA n. 1301/2020, depositata il 19/05/2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 03/04/2024 dal Consigliere COGNOME NOME;
FATTI DI CAUSA
1.In data 27 dicembre 2010 NOME COGNOME e NOME COGNOME sottoscrivevano scrittura privata (titolata ‘Dichiarazione di debito’, con data e sottoscrizione manoscritte e nel resto redatta meccanicamente) con la quale, richiamata l’allora situazione debitoria in cui versavano nei confronti di NOME COGNOME (situazione debitoria quantificata in euro 2.110.000,00, detratti euro 91.780,00 già versati e da imputare agli interessi scaduti), concordavano un piano di rientro indicando le somme da pagare alle relative scadenze.
Nel 2014 il COGNOME introduceva giudizio di merito, conseguente a sequestro conservativo, per ottenere, in conferma dell’ordinanza cautelare del 28 maggio 2014, il riconoscimento del credito, che vantava nei confronti del COGNOME e del COGNOME, con conseguente condanna dei convenuti debitori, in solido tra loro, al pagamento del saldo con interessi di mora al tasso legale.
Il Tribunale di Verona – nell’attiva resistenza del COGNOME, che in via riconvenzionale chiedeva il risarcimento dei danni (per il carattere emulativo dell’azione ex adverso proposta), ma nella contumacia del COGNOME – dopo avere respinto le istanze istruttorie formulate dalle parti costituite, con sentenza n. 930/2017, in accoglimento della domanda proposta dal COGNOME, convalidava e manteneva il sequestro conservativo in atto e condannava in solido i convenuti a restituire all’attore la somma di euro 2.018.219,00 oltre accessori dalla domanda al saldo.
In particolare, il giudice di primo grado: a) riteneva che il convenuto COGNOME non aveva disconosciuto la sottoscrizione della scrittura privata del 27/12/2010 e non aveva contestato la sussistenza del rapporto sottostante, derivante dalla responsabilità del COGNOME e del COGNOME per l’esito negativo dell’intermediazione finanziaria prestata nell’interesse del COGNOME, con investimenti effettuati dal COGNOME tramite la società RAGIONE_SOCIALE; b) sosteneva che le modificazioni della convenzione di pagamento, prospettate dal
convenuto costituitosi, non erano rilevanti; c) ascriveva ai convenuti l’onere, rimasto inadempiuto, di dimostrare il diverso titolo ed entità del debito riconosciuto; d) affermava che anche il convenuto contumace, riconoscendo la propria sottoscrizione della scrittura ricognitiva ai sensi dell’art. 215 numero 1 c.p.c., aveva assunto l’impegno solidale di restituzione, in conformità delle allegazioni dello stesso COGNOME, che lo coinvolgeva quale corresponsabile delle perdite subite dal COGNOME.
Avverso la sentenza del giudice di primo grado proponeva appello il COGNOME, censurandola sotto diversi profili e, in particolare, sostenendo che: a) il COGNOME aveva operato autonome scelte di investimento, che non lo avevano coinvolto quale promotore finanziario professionale, essendo lui all’epoca responsabile per RAGIONE_SOCIALE di un diverso settore, e che non avevano instaurato tra le parti un rapporto contrattuale; b) l’efficacia ed il contenuto della scrittura ricognitiva di debito erano limitati ad una sorta di garanzia sostitutiva degli assegni a suo tempo pretesi dal COGNOME ed erano stati comunque modificati da accordi successivi, che avevano posticipato le scadenze per il pagamento delle rimanenti somme al recupero di quelle che Banca Profilo doveva restituire ad esso COGNOME.
La Corte d’appello di Venezia con sentenza n. 1424/2020, rigettando l’appello proposto dal COGNOME nei confronti del COGNOME e del COGNOME, confermava la sentenza del Tribunale di Verona e con essa in solido la condanna dei convenuti a restituire la somma di euro 2.018.219,00 oltre accessori dalla domanda al saldo
Avverso la sentenza della corte territoriale ha proposto ricorso il COGNOME.
Nessuno degli intimati ha resistito con controricorso.
Il Collegio si è riservato il deposito nei successivi sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il COGNOME articola in ricorso tre motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia: ‘violazione e falsa applicazione degli artt. 1988, 2723, 2724 e 2697 c.c., in relazione all’articolo 360, comma l, n. 3 c.p.c.>> nella parte in cui (pp. 7-8) la corte territoriale, respingendo i primi due motivi del suo atto di appello, ha così motivato:
<<La dichiarazione di debito sottoscritta dalle parti in data 2712-2000 e 10 (doc. 8 in Fase. l grado Appellante/A) non è titolata e non ha natura confessoria, mancandovi riferimenti alla verità dei fatti sfavorevoli ai dichiaranti, di guisa che dal contenuto del documento deriva una presunzione semplice di esistenza del rapporto fondamentale a favore del promissario NOME COGNOME, con trasferimento ai promettenti COGNOME e COGNOME dell'onere di provare la mancanza o l'inefficacia della causa generatrice del debito.
<<Non ricorrono quindi le particolari limitazioni di prova imposte dall'articolo 2732 c.c. per la confessione ma la prova per testimoni è stata nel caso di specie correttamente esclusa dal Tribunale sia per l'inammissibilità dei capitoli implicanti valutazioni e giudizi che per l'irrilevanza delle circostanze che inerivano unicamente alla posticipazione dei termini di pagamento – la cui debenza non era peraltro contestata per invalidità e inefficacia del titolo o per intervenuta estinzione del debito – che infine per i limiti di cui all'art. 2723 c.c., dovendosi escludere la verosimiglianza di modificazioni verbali di un documento che attestava l'impegno di onorare un debito di oltre 2 milioni di euro, secondo scadenze di cui i debitori avevano peraltro già onorato il primo termine, a riprova della mancanza di contestazioni inerenti alla sua causale.
<<Ai sensi dell'art. 1988 c.c., il destinatario dell'atto ricognitivo è esonerato dall'onere di provare la causa o il rapporto fondamentale e l'onere di provarne l'inesistenza, lo specifico contenuto e la causa nonché le ragioni dell'eventuale invalidità o cessazione, che escludano l'esigibilità del credito, è riversato sui promettenti.
<>.
Osserva il ricorrente che la corte territoriale, tanto affermando: a) ha qualificato la scrittura azionata da COGNOME quale ‘promessa di pagamento non titolata’, priva di valore confessorio ai sensi dell’art. 1988 c.c., dal valore presuntivo cui sarebbe conseguita l’inversione dell’onere della prova circa le obbligazioni in essa dedotte; b) ha dichiarato applicabili le limitazioni alla prova testimoniate di cui all’art. 2723 c.c.; c) ha respinto le richieste istruttorie, che aveva formulato tanto per dimostrare l’inefficacia della scrittura in parola, quanto l’inesistenza di un qualsivoglia rapporto contrattuale tra le parti, pur in presenza di prove documentali a sostegno, e d) ha concluso per il mancato assolvimento del suo onere di prova contraria.
Rileva che la corte territoriale, tanto affermando, ha deciso due questioni giuridiche: a) se, in presenza di una promessa di pagamento non titolata, azionata da parte promissaria allegando l’esistenza tra le parti di un formale rapporto di intermediazione finanziaria, integralmente contestato dal promittente, operi in ogni caso la previsione dell’art. 1988 c.c. che solleva il promissario dall’onere di dame prova in giudizio; b) se, in presenza di una promessa di pagamento non titolata, rispetto alla quale parte promittente deduca l’inefficacia dovuta ad accordi e modifiche successive, la prova
contraria richiesta dall’art. 1988 c.c. possa essere data anche per testi, in presenza di un principio di prova scritta rappresentata da documenti di entrambe le parti in causa, non contestati.
Si duole che la corte territoriale ha erroneamente deciso entrambe le suddette questioni, in quanto: da un lato, ha ritenuto operante l’inversione dell’onere della prova in relazione al rapporto fondamentale, contestato fra le parti, pur in presenza di allegazioni del resistente qualificabili come rinuncia implicita alla dispensa di cui all’art. 1988 c.c.; dall’altro, ha immotivatamente negato l’ammissibilità della prova testimoniate in punto agli accordi posteriori alla scrittura azionata, pur in presenza di prove scritte e fatti non contestati.
1.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia «nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione degli artt. 1988, 2723 e 2724 c.c., nonché degli artt. 115, 116 e 132 c.p.c., in relazione all’articolo 360, comma l, n. 4 c.p.c.» nella parte in cui (pp. 7-8) la corte territoriale, rigettando i primi due motivi del suo appello: a) non ha indicato le ragioni in base alle quali ha ritenuto che la prova testimoniale richiesta dall’allora appellante fosse da ritenersi inammissibile ai sensi dell’art. 2723 c.c., limitandosi ad affermare doversi «escludere la verosimiglianza di modificazioni verbali di un documento che attestava l’impegno di onorare un debito di oltre 2 milioni di euro»; b) ha parimenti fornito una motivazione del tutto insufficiente – limitandosi a frasi di stile quali l’inammissibilità dei capitoli implicanti valutazioni e giudizi che per l’irrilevanza delle circostanze che inerivano unicamente alla posticipazione dei termini di pagamento – sulla pretesa inammissibilità dei capitoli dedotti.
Osserva che l’art. 2723 c.c. richiede che il giudice valuti la ‘verosimiglianza’ che consente la prova testimoniale in base «alla qualità delle parti, alla natura del contratto e a ogni altra circostanza».
Sostiene che, nel caso di specie, la corte territoriale avrebbe dovuto tenere in debito conto non solo la finalità della prova (esistenza
di accordi integrativi intervenuti tra le parti successivamente alla firma della scrittura azionata dal COGNOME tali da renderla inefficace), ma altresì i seguenti fatti storici: a) il fatto, non smentito dal COGNOME, che le parti avessero intrattenuto rapporti e/o trattative volte via via a modificare l’originario contenuto della scrittura azionata e con esso l’esigibilità del credito; b) l’esistenza della richiesta proveniente proprio da parte promissaria che aveva richiesto la formulazione di nuova scrittura, evidentemente ritenendo che la precedente era da intendersi superata; c) l’esistenza sempre in atti di accordi integrativi e scritture modificative di quella del 27/12/2010; d) l’inesistenza, per contro, del rapporto contrattuale invocato dal COGNOME e smentito dal verbale di assunzione di informazioni del 11/02/2010 dallo stesso prodotto.
Sostiene che la corte territoriale avrebbe dovuto adeguatamente motivare le ragioni per le quali non ha ritenuto le suddette documentate circostanze idonee a consentire l’ammissione di una prova testimoniale volta a confermare e ulteriormente specificare la natura del rapporto tra le parti, nonché il contenuto e l’efficacia degli accordi tra le parti (ed ha quindi ritenuto irrilevanti e inammissibili le prove testimoniali richieste); mentre, così operando, si sarebbe avveduta della concorde volontà delle parti di superare il contenuto della scrittura erroneamente azionata, da ritenersi pertanto inefficace e rappresentativa di un preteso credito non esigibile.
1.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia: <> nella parte in cui la corte territoriale, respingendo i suoi primi due motivi di appello, ha così argomentato:
<<…1) e 2) le prime due doglianze dell'appellante sono logicamente collegate e possono essere congiuntamente esaminate.
<< dal contenuto del documento deriva una presunzione semplice di esistenza del rapporto fondamentale a favore del promissario NOME COGNOME, con trasferimento ai promettenti COGNOME e COGNOME dell'onere di provare la mancanza o l'inefficacia della causa generatrice del debito.
<< Ai sensi dell'art. 1988 c.c., il destinatario dell'atto ricognitivo è esonerato dall'onere di provare la causa o il rapporto fondamentale e l'onere di provare l'inesistenza, lo specifico contenuto e la causa nonché le ragioni dell'eventuale invalidità o cessazione, che escludano l'esigibilità del credito, è riversato sui promettenti.
<<Nel caso di specie – per quanto propriamente attiene alla posizione difensiva dell'odierno appellante – il promettente non ha dedotto circostanze a tal fine rilevanti, facendo riferimento, da un lato, alla modifica delle modalità e dei tempi concordati per i pagamenti che non è comprovata dagli accordi integrativi non sottoscritti da NOME COGNOME (docc. 9/A) né suscettibili di conferma testimoniale e non contrasta comunque la sussistenza del rapporto fondamentale generativo del debito e, per altro aspetto, alla insussistenza di un rapporto contrattuale che – secondo le allegazioni dello stesso odierno appellante verbalizzate dalla Guardia di Finanza nei documenti in atti sarebbe peraltro derivato dall'attuazione di una procura ' … finalizzata al tempestivo inoltro degli ordini in derivati in caso di impedimento di uno dei titolari …', rimesso da NOME COGNOME e NOME COGNOME a NOME COGNOME .
<>.
Osserva che la corte territoriale -partendo dall’errato presupposto secondo cui l’intervenuta modifica delle modalità e dei
termini di pagamento e l’espressa previsione che «le parti concorderanno nuovi termini di pagamento delle rimanenti somme …» fossero circostanze irrilevanti e non avessero alcuna influenza sull’efficacia di una promessa di pagamento – è pervenuta alla conclusione che: a) la documentazione riversata in atti dall’odierno ricorrente (e le circostanze dedotte – e non contestate – relativamente al rapporto tra le parti e alle vicende della scrittura azionata successive alla sua sottoscrizione) non fosse idonea a dimostrare l’inefficacia della scrittura stessa e l’inesigibilità del credito azionato; b) la prova testimoniate richiesta fosse inammissibile; c) non avessero alcuna efficacia probatoria le dichiarazioni rese dalle parti alla Guardia di finanza e la stessa richiesta proveniente dalla contitolare dei rapporti finanziari in parola (la coniuge del COGNOME) di procedere alla redazione di una nuova scrittura nell’ottobre 2013.
Sostiene che la corte territoriale: a) avrebbe dovuto statuire che, nel caso di specie, non poteva trovare applicazione il disposto dell’art. 1988 c.c., avendo controparte inteso fondare il preteso credito su un rapporto contrattuale di intermediazione finanziaria inesistente e/o nullo e di cui non aveva dato alcuna valida prova; b) avrebbe dovuto riconoscere che, nel caso di specie, non trova applicazione la dispensa dall’onere probatorio di cui alla citata norma e che non può ritenersi prova dell’esistenza di un contratto che richiede la forma scritta ad substantiam la previsione di una mera delega ad operare su di un c/c bancario, peraltro mai utilizzata; c) avrebbe dovuto esaminare i fatti storici emersi nel corso del giudizio e, sulla loro base, avrebbe dovuto riconoscere l’esistenza di patti successivi alla scrittura del 27/12/2010 e la conseguente inefficacia della stessa da cui discende l’inesigibilità del preteso credito invocato da controparte.
In definitiva, secondo parte ricorrente, la corte territoriale avrebbe dovuto riconoscere l’infondatezza della pretesa azionata, sulla base di una scrittura modificata e inefficace fra le parti.
2. Il ricorso non è fondato.
2.1. Il primo motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.
È infondato nella parte in cui il ricorrente sostiene che la corte territoriale, applicando correttamente le norme ed i principi da lui richiamati, avrebbe dovuto riconoscere che tutte le circostanze allegate dal COGNOME (sull’asserito rapporto contrattuale di intermediazione finanziaria invocato alla base del proprio diritto) rappresentavano implicita rinuncia alla dispensa di cui all’art. 1988 c.c. e, sulla base di tutta la documentazione in atti, avrebbe dovuto riconoscerne l’inesistenza (contrariamente a quanto affermato dal Tribunale di Verona) anche a fronte della totale mancanza di prove fomite dal COGNOME sul punto, traendone tutte le necessarie conseguenze anche in ordine alla scrittura azionata.
Al riguardo, occorre ribadire che è jus receptum nella giurisprudenza di questa corte (cfr. Cass. n. 13215/2023) il principio per cui, in tema di promessa di pagamento non titolata, la mera indicazione del promissario circa la riferibilità della promessa ad altro rapporto, rispetto a quello dedotto dal promittente, non comporta implicita rinuncia ad avvalersi del beneficio dell’astrazione processuale: la rinuncia al vantaggio della dispensa dell’onere della prova del rapporto fondamentale richiede, infatti, una inequivoca manifestazione della volontà abdicativa, la quale è configurabile quando il beneficiario, nell’azionare il credito, deduca, oltre alla promessa di pagamento, il rapporto ad essa sottostante con autonoma iniziativa istruttoria (che non può ricavarsi dal mero dato dell’indicazione di altro rapporto) e non anche quando lo stesso promissario formuli tale richiesta istruttoria per reagire alle eccezioni del promittente.
Dando corretta applicazione al suddetto principio la corte territoriale ha ritenuto che il COGNOME, nell’azionare la dichiarazione per cui è ricorso, non aveva dedotto il rapporto ad essa sottostante e non aveva esperito alcuna autonoma iniziativa istruttoria, con la
conseguenza che la suddetta dichiarazione non poteva essere ritenuta oggetto di rinuncia e dalla stessa conseguiva l’inversione dell’onere della prova del rapporto fondamentale.
Inoltre, il motivo primo è inammissibile nella parte in cui sostiene che la corte territoriale, applicando correttamente le norme ed i principi richiamati, quand’anche avesse voluto ritenere operante il disposto dell’art. 1988 c.c., avrebbe dovuto ritenere ammissibile la prova testimoniale da lui richiesta in punto all’esistenza di accordi posteriori alla firma della scrittura azionata che ne determinavano l’inefficacia e in ogni caso l’inesigibilità del preteso credito, alla luce non solo del disposto dell’art. 2723 c.c., ma altresì dell’esistenza del principio di prova documentale esistente in atti.
Invero, la corte territoriale ha confermato la conclusione dell’ordinanza istruttoria del giudice di primo grado sulla base delle seguenti circostanze: a) inammissibilità dei capitoli, implicanti valutazioni e giudizi; b) irrilevanza delle circostanze dedotte (che inerivano unicamente alla posticipazione dei termini di pagamento, la cui debenza non era peraltro contestata); c) inverosimiglianza di modificazioni verbali di un documento che attestava l’impegno di onorare un debito di oltre 2 milioni di euro (secondo scadenze di cui i debitori avevano peraltro già onorato il primo termine).
La giustificazione del mancato accoglimento delle richieste istruttorie, essendo tutt’altro che implausibile, sfugge ai limiti del sindacato demandato a questa corte, essendo per contro rimessa in via esclusiva alla valutazione del giudice di merito.
2.2. Per analoghe ragioni, sono inammissibili anche il motivo secondo ed il motivo terzo, essendo plausibile e congrua la motivazione, per l’uno, del mancato accoglimento della richiesta prova testimoniale per superamento dei limiti di cui all’art. 2723 c.c. e, per l’altro (oltretutto scorrettamente impostato sul testo del n. 5 dell’art.
360 c.p.c. non più in vigore), della insuscettibilità dei fatti dedotti dall’odierno ricorrente di essere provati per testi.
Al rigetto del ricorso non consegue alcuna condanna in punto di spese, non essendosi difesa alcuna parte intimata, ma consegue la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento dell’importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell ‘ art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di parte ricorrente, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 3 aprile 2024, nella camera di consiglio