Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 9366 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 9366 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10519/2018 R.G. proposto da domiciliato in Roma presso la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione, con diritto di ricevere le comunicazioni all’indicato indirizzo PEC dell’AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende
– ricorrente –
contro
Provincia di AVELLINO , in persona del Presidente pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio de ll’ AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 5932/2017 de lla Corte d’Appello di Napoli, depositata il 17.10.2017;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6.2.2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il ricorrente, dopo essere stato dipendente del RAGIONE_SOCIALE, passò nei ruoli della Provincia di Avellino, essendogli stata riconosciuta la decorrenza del nuovo rapporto di lavoro dal 26.11.1999 ai fini giuridici, ma la decorrenza economica dal 1°.4.2001. Insieme ad altri colleghi che si trovavano nella medesima situazione, si rivolse al Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, in funzione di giudice del lavoro, per ottenere l’accertamento del diritto alla decorrenza anticipata al 26.11.1999 anche agli effetti economici dell’inquadramento e a vedersi di conseguenza riconosciute le progressioni economiche orizzontali maturare medio tempore .
Instauratosi il contraddittorio, il Tribunale accertò il diritto alla decorrenza economica anticipata, respingendo, tuttavia, per il resto, le domande, negando in particolare il diritto dei lavoratori alle richieste progressioni economiche.
La sentenza di primo grado venne impugnata soltanto dai lavoratori e la Corte d’Appello di Napoli respinse il gravame e confermò la sentenza del Tribunale.
Contro la sentenza della Corte d’Appello il solo NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione articolato in sei motivi. La Provincia di Avellino si è difesa con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria nel termine di legge anteriore alla data fissata per la trattazione in camera di consiglio ai sensi de ll’ art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, il ricorrente -premesso il rilievo che la sentenza di primo grado è passata in giudicato nella parte in cui accolse la domanda di retrodatazione dell’inquadramento economico -denuncia, testualmente: « error in procedendo et in iudicando (art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c.) violazione dell’art. 112
c.p.c., omessa pronuncia su un punto decisivo della lite, oggetto di discussione tra le parti; (art. 360, n. 3 e n. 4, c.p.c.) violazione dell’art. 1 32, comma 1, n. 4, c.p.c., nullità della sentenza per mancanza di motivazione».
Secondo il ricorrente, la Corte d’Appello avrebbe «completamente omesso di decidere» sul motivo d’appello contro il rigetto della domanda di accertamento del «diritto degli appellanti di essere inseriti nelle p.e.o. promosse dalla data in cui è stata riconosciuta dal Tribunale la retrodatazione degli effetti economici de ll’inquadramento, il tutto secondo le modalità di partecipazione di cui ai contratti di settore, con salvezza dei poteri discrezionali della P.A.».
Il secondo motivo è rubricato: « error in procedendo et in iudicando (art. 360, n. 3 e n. 4 , c.p.c.) violazione dell’art. 1 01 c.p.c., violazione del contraddittorio, violazione dell’art. 132, comma 1, n. 4, c.p.c., nullità della sentenza per mancanza di motivazione; (art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c.) violazione dell’art. 112 c.p.c., omissione di pronuncia su un punto decisivo della controversia, oggetto di discussione; (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione dell’art. 1 15 c.p.c., violazione del principio dispositivo».
Il ricorrente lamenta in questo caso l’omessa pronuncia della Corte territoriale sul motivo d’appello che contestava «il vizio di ultrapetizione della sentenza di primo grado» e precisa che «giammai …, nel proprio atto introduttivo, ha lamentato una mancata chance , né mai ha sostenuto che avrebbe avuto diritto a partecipare alle progressioni orizzontali, in virtù delle mansioni svolte». Ribadisce di avere «chiesto che gli fosse ricostruita la carriera economica, applicando i contratti collettivi entrati in
vigore dal 26.11.1999, partecipando alle p.e.o. indette da quella data, con salvezza delle procedure interne e dei poteri discrezionali del proprio datore di lavoro», mentre non erano oggetto del contendere le mansioni svolte, in via di fatto o di diritto.
Il terzo motivo denuncia « error in procedendo et in iudicando (art. 360, n. 3, n. 4 e n. 5, c.p.c.) violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c., vizio di ultrapetizione e nullità della sentenza per motivazione apparente o inesistente».
Ancora una volta il ricorrente rimprovera al giudice d’appello di avere dato rilievo alla mancata allegazione degli elementi identificativi della prestazione lavorativa, pur essendo questo un aspetto estraneo all’oggetto della domanda e del contraddittorio tra le parti.
Il medesimo concetto è ribadito anche nel quarto motivo, con cui è censurato « error in procedendo et in iudicando (art. 360, n. 3 e n. 5 , c.p.c.) violazione dell’art. 11 5 c.p.c., violazione del principio dispositivo, e dell’art. 112 c.p.c. , per omessa pronuncia».
Il quinto motivo è rubricato « error in iudicando (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione dell’art. 11 2 c.p.c. – violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Falsa applicazione dell’art. 27 , ultimo capoverso, del CCNL comparto Enti Locali -(art. 360, n. 5, c.p.c.) omesso esame su un fatto decisivo della controversia, prospettato dalle parti».
Il ricorrente precisa di non avere mai negato il principio del riassorbimento dell’indennità di amministrazione conservata a titolo di assegno ad personam , ma di avere invece
«contestato le modalità con le quali la RAGIONE_SOCIALE ha riassorbito l’indennità di amministrazione».
Infine, con il sesto motivo il ricorrente denuncia « error in iudicando (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione art. 112 c.p.c. Violazione del principio dispositivo di corrispondenza tra chiesto e pronunciato».
Con questo motivo il ricorrente contesta il rigetto della domanda di condanna al risarcimento del danno da perdita di chance , precisando che «in nessuna parte degli atti di primo grado e di appello … ha chiesto il risarcimento del danno da ‘mancata chance ‘».
7. Il ricorso è inammissibile.
7.1. Appare innanzitutto evidente la carenza di interesse del ricorrente a dolersi del rigetto di domande che egli sostiene di non avere mai proposto. Egli afferma di non avere negato che l’indennità di amministrazione fosse riassorbibile, di non avere chiesto l’applicazione automatica delle progressioni economiche orizzontali e di un avere chiesto la condanna dell’ente al risarcimento del danno da perdita di chance , sicché inutile sarebbe il rigetto delle relative domande da parte della Corte d’Appello .
Ma, se è così, non meno inutile si rivela la censura del rigetto di domande che la parte afferma di non avere mai proposto.
7.2. Discorso diverso va fatto con riguardo alla denuncia di omessa pronuncia sulle domande che il ricorrente sostiene di avere rivolto ai giudici di merito.
In questo caso l’interesse ad agire impugnando l’omessa pronuncia è evidente, ma il ricorso si rivela comunque inammissibile sotto altro profilo.
7.2.1. Secondo il ricorrente la Corte d’Appello avrebbe «completamente omesso di decidere» sul motivo d’appello contro il rigetto della domanda di accertamento del «diritto degli appellanti di essere inseriti nelle p.e.o. promosse dalla data in cui è stata riconosciuta dal Tribunale la retrodatazione degli effetti economici dell’inquadramento, il tutto secondo le modalità di partecipazione di cui ai contratti di settore, con salvezza dei poteri discrezionali della P.A.».
Ma, una volta ribadi to che l’ attribuzione delle progressioni economiche orizzontali non è automatica (ovverosia, non è oggetto di un diritto per la semplice presenza del lavoratore nei ruoli della pubblica amministrazione, ma presuppone la partecipazione alle procedure selettive e il superamento delle stesse) e una volta chiarito che non viene qui chiesto il risarcimento del danno per perdita di chance , non si vede quale contenuto concreto possa residuare alla domanda di accertamento del diritto «di essere inseriti nelle p.e.o. promosse dalla data in cui è stata riconosciuta dal Tribunale la retrodatazione degli effetti economici dell’inquadramento» (ovverosia nelle selezioni per le progressioni economiche già svolte nel periodo intercorso tra la data di inquadramento economico riconosciuta dal Tribunale e quella originariamente assegnata dalla Provincia di Avellino).
In tal senso, la Corte d’Appello di Napoli ha preso in considerazione la domanda generica formulata dal ricorrente («ricostruzione della carriera economica») con riferimento ai
possibili concreti contenuti economici della stessa e ne ha rilevato l’infondatezza, affermando princ ìpi consolidati, che nemmeno il ricorrente mette in discussione.
7.2.2. Nel quinto motivo, con riguardo al riassorbimento dell’indennità di amministrazione, il ricorrente afferma di non avere contestato il principio in sé, bensì le modalità utilizzate dal datore di lavoro nell’effettuare il riassorbimento. E si duole di non avere avuto risposta dalla Corte d’Appello a tale specifica censura.
In realtà, l’omessa pronuncia non sussiste in quanto la Corte territoriale ha ritenuto «infondata la domanda relativa all’asserita illegittimità del riassorbimento delle voci già in godimento» e, quindi, ha implicitamente affermato la legittimità del riassorbimento così come operato dal datore di lavoro.
A tutto concedere, si potrebbe ravvisare un’insufficienza di motivazione, posto che il rigetto è argomentato solo con il richiamo della giurisprudenza che afferma il principio del riassorbimento e senza entrare nella descrizione delle concrete modalità di attuazione del principio. Tuttavia, il vizio di motivazione -che sarebbe sindacabile solo nei ben noti limiti della sostanziale assenza di motivazione, ai sensi del novellato art. 365, comma 1, n. 5, c.p.c. (v., per tutte, Cass. S.U. n. 8053/2014) -non viene prospettato dal ricorrente con riguardo a questa parte della decisione impugnata.
Si aggiunga, per completezza, che nella prospettazione dell’atto d’appello, per come desumibile dallo stralcio riportato nel ricorso per cassazione, la differenza in concreto tra negazione del riassorbimento e mera contestazione delle modalità di attuazione dello stesso appare alquanto sfumata.
Infatti, nelle riportate conclusioni si chiedeva di «accertare, in ogni caso, il diritto degli appellanti al mantenimento e/o alla trasformazione dell’indennità di amministrazione , già percepita dal RAGIONE_SOCIALE, secondo quanto stabilito dall’art. 28 CCNL biennio economico 2000/2001, il tutto per quanto chiarito nel presente appello».
Dichiarato inammissibile il ricorso, le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Si dà atto che, in base al l’esito del giudizio , sussiste il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’ art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte:
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 4 .000 per compensi, oltre a € 200 per esborsi, spese generali al 15% e accessori di legge;
ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 -quater , dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del l’ art. 13, comma 1 -bis , del citato d.P.R., se dovuto. Così deciso in Roma, il 6.2.2024.