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Progressioni economiche: il ricorso inammissibile

Un dipendente pubblico, dopo aver ottenuto la retrodatazione degli effetti economici del suo inquadramento, ha richiesto il riconoscimento delle conseguenti progressioni economiche. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, sottolineando che le progressioni non sono automatiche ma richiedono il superamento di procedure selettive. Il ricorso è stato giudicato carente di interesse e basato su domande formulate in modo vago.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Progressioni economiche: no all’automatismo, sì a domande chiare

L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 9366/2024 offre un’importante lezione sulla richiesta di progressioni economiche nel pubblico impiego. Anche quando un lavoratore ottiene il riconoscimento retroattivo degli effetti economici del proprio inquadramento, le successive progressioni di carriera non sono un diritto automatico. La Suprema Corte ha chiarito che un ricorso basato su pretese generiche e contraddittorie è destinato all’inammissibilità.

I Fatti del Caso

La vicenda ha origine dal passaggio di un dipendente dal Ministero del Lavoro ai ruoli di un’Amministrazione Provinciale. A questo lavoratore era stata riconosciuta la decorrenza giuridica del nuovo rapporto dal 26 novembre 1999, ma quella economica solo a partire dal 1° aprile 2001. Insieme ad altri colleghi, si era rivolto al Tribunale per ottenere la retrodatazione degli effetti economici alla data di inquadramento giuridico e, di conseguenza, il riconoscimento delle progressioni economiche orizzontali (p.e.o.) maturate nel frattempo.

Il Tribunale aveva accolto la domanda sulla retrodatazione economica, ma respinto quella sulle progressioni. La Corte d’Appello, successivamente, aveva confermato questa decisione. Il lavoratore, rimasto unico a proseguire la causa, ha quindi presentato ricorso in Cassazione, articolandolo in sei motivi di contestazione.

La questione delle progressioni economiche e le censure del ricorrente

Il cuore del contenzioso in Cassazione ruotava attorno al mancato riconoscimento del diritto a partecipare, o a vedersi riconosciute, le progressioni economiche indette dall’ente nel periodo compreso tra la data di decorrenza giuridica e quella economica originariamente stabilita.

Il ricorrente lamentava, tra le altre cose:
* Omessa pronuncia: La Corte d’Appello non si sarebbe espressa sulla richiesta di inserimento nelle selezioni per le p.e.o.
* Vizio di ultrapetizione: I giudici di merito avrebbero erroneamente interpretato la sua domanda come una richiesta di risarcimento per perdita di chance, pretesa mai avanzata.
* Errata valutazione: La Corte avrebbe dato peso a elementi non pertinenti, come la mancata allegazione delle mansioni svolte.
* Falsa applicazione del CCNL: Contestava non il principio del riassorbimento di un’indennità pregressa, ma le modalità con cui l’amministrazione lo aveva attuato.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, smontando punto per punto le argomentazioni del lavoratore. Innanzitutto, i giudici hanno rilevato una palese carenza di interesse nel contestare il rigetto di domande che lo stesso ricorrente ammetteva di non aver mai proposto, come quella per perdita di chance.

Sul punto cruciale delle progressioni economiche, la Corte ha ribadito un principio consolidato: l’attribuzione delle p.e.o. nel pubblico impiego non è automatica. Non basta essere in servizio per averne diritto; è necessaria la partecipazione a procedure selettive e il loro superamento. La domanda del ricorrente di “essere inserito nelle p.e.o. promosse” in passato è stata giudicata priva di un contenuto concreto. Non avendo chiesto un risarcimento per la mancata opportunità di partecipare (perdita di chance), la sua pretesa di una “ricostruzione della carriera economica” risultava generica e infondata.

Anche riguardo alla contestazione sulle modalità di riassorbimento dell’indennità, la Corte ha ritenuto che la decisione d’appello, pur se sintetica, avesse implicitamente confermato la legittimità dell’operato del datore di lavoro. Un’eventuale insufficienza della motivazione, peraltro, non era stata contestata dal ricorrente secondo le forme previste dalla legge.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame è un monito per i lavoratori del settore pubblico. Ottenere una retrodatazione economica non comporta automaticamente il diritto a scatti di carriera pregressi. Le progressioni economiche sono legate a procedure selettive che non possono essere bypassate. Qualsiasi azione legale volta a ottenere il riconoscimento di tali diritti deve essere formulata in modo chiaro, specifico e non contraddittorio, evitando di basarsi su pretese generiche di “ricostruzione della carriera”. In caso contrario, come dimostra questa vicenda, il rischio è quello di vedersi dichiarare il ricorso inammissibile per mancanza di un interesse concreto e per l’indeterminatezza delle domande.

Le progressioni economiche nel pubblico impiego sono un diritto automatico?
No, la sentenza chiarisce che l’attribuzione delle progressioni economiche orizzontali non è automatica. Non deriva dalla semplice presenza del lavoratore nei ruoli, ma presuppone la partecipazione a procedure selettive e il loro superamento.

Cosa significa che un ricorso è inammissibile per carenza di interesse?
Significa che il ricorrente non ha un interesse concreto e attuale a ottenere una decisione su una certa domanda. Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto evidente la carenza di interesse del lavoratore a lamentarsi del rigetto di domande (come quella per perdita di chance) che lui stesso sosteneva di non aver mai proposto.

Si può contestare il modo in cui un’indennità viene riassorbita nello stipendio?
Sì, è possibile, ma la contestazione deve essere specifica e supportata da motivi giuridici precisi. Nella vicenda analizzata, il lavoratore ha affermato di contestare le modalità di riassorbimento, ma la Corte ha ritenuto che la Corte d’Appello avesse implicitamente confermato la legittimità dell’operato del datore di lavoro e che eventuali vizi di motivazione della sentenza non fossero stati adeguatamente censurati dal ricorrente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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