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Progressione verticale: senza autorizzazione è illegittima

Una dipendente pubblica ha richiesto la riclassificazione a una qualifica superiore basandosi su una selezione interna per 920 posti, di cui solo 460 erano stati autorizzati. La Corte di Cassazione ha respinto la sua richiesta, affermando che senza la necessaria autorizzazione per i posti aggiuntivi, non sorge alcun diritto acquisito alla progressione verticale, specialmente dopo che una nuova legge ha modificato le regole. La Corte ha quindi confermato che la riclassificazione era stata correttamente negata.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Progressione Verticale nel Pubblico Impiego: Senza Autorizzazione è Illegittima

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 2218/2024, ha stabilito un principio cruciale in materia di pubblico impiego: la progressione verticale a una qualifica superiore è subordinata alla preventiva autorizzazione amministrativa. Questa decisione chiarisce che la sola partecipazione a una selezione interna, anche se bandita per un numero elevato di posti, non genera un diritto acquisito all’inquadramento se manca l’autorizzazione per la copertura di tali posizioni. Approfondiamo i dettagli del caso e le motivazioni della Corte.

I Fatti di Causa: La Richiesta di Inquadramento Superiore

Una dipendente del Ministero della Cultura aveva partecipato a una procedura selettiva interna per passare dall’Area B all’Area C. L’amministrazione aveva inizialmente richiesto l’autorizzazione per 920 posti, ma ne aveva ottenuti solo 460. Nonostante ciò, i bandi di selezione facevano riferimento al numero totale di 920 posti, specificando però che l’inquadramento per le posizioni eccedenti le 460 autorizzate era condizionato al successivo rilascio dell’autorizzazione da parte del Dipartimento della Funzione Pubblica.

La dipendente si era collocata in graduatoria in una posizione utile se si fossero considerati tutti i 920 posti, ma non rientrava nei primi 460 autorizzati. L’autorizzazione per i posti rimanenti non è mai stata concessa. Nel frattempo, è entrato in vigore il D.Lgs. n. 150/2009 (la cosiddetta “Riforma Brunetta”), che ha modificato le regole per le progressioni di carriera, privilegiando il concorso pubblico.
La richiesta della lavoratrice è stata respinta sia in primo grado che in appello, portando la questione dinanzi alla Corte di Cassazione.

L’Analisi della Corte sulla Progressione Verticale

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando le decisioni dei giudici di merito. Il punto centrale della sentenza ruota attorno alla natura della posizione giuridica del candidato e all’importanza dell’atto autorizzativo.

La Mancanza di un “Diritto Quesito”

I giudici hanno chiarito che un “diritto quesito”, ovvero un diritto già consolidato nel patrimonio del soggetto e intangibile da nuove leggi, non si era mai formato. La posizione giuridica di un candidato in una procedura concorsuale si trasforma in un vero e proprio diritto all’assunzione (o all’inquadramento superiore) solo quando si verificano due condizioni:

1. L’approvazione della graduatoria finale.
2. La collocazione del candidato in posizione utile rispetto ai posti effettivamente messi a concorso e autorizzati.

Nel caso specifico, la seconda condizione non si è mai realizzata per i posti oltre il 460°. Il bando stesso subordinava l’inquadramento a una “suddetta autorizzazione”, che non è mai arrivata. Di conseguenza, la dipendente non poteva vantare un diritto acquisito.

L’Impatto dello “Ius Superveniens”

L’entrata in vigore del D.Lgs. n. 150/2009 ha rappresentato un ius superveniens, una nuova legge che ha modificato il quadro normativo. Poiché la dipendente non aveva un diritto quesito, la nuova normativa si è applicata alla sua situazione, rendendo di fatto illegittima una progressione verticale basata esclusivamente su una selezione interna senza i nuovi requisiti di legge. La Pubblica Amministrazione, secondo la Corte, ha il potere-dovere di bloccare assunzioni o inquadramenti che non siano più conformi all’assetto normativo vigente.

La Questione dello Scorrimento della Graduatoria (Turnover)

La ricorrente aveva anche sostenuto di avere diritto all’inquadramento per effetto dello scorrimento della graduatoria, dovuto a eventuali posti resisi vacanti tra i primi 460 vincitori (per pensionamenti, dimissioni, ecc.). La Corte ha dichiarato inammissibile anche questo motivo, ribadendo un principio fondamentale sull’onere della prova: spetta alla parte che agisce in giudizio dimostrare i fatti costitutivi del proprio diritto. In questo caso, la dipendente avrebbe dovuto provare non solo l’esistenza di posti vacanti, ma anche la decisione dell’amministrazione di coprirli mediante scorrimento, prova che non è stata fornita.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano sull’idea che le procedure di progressione verticale, quando comportano l’accesso a un’area superiore con mansioni qualitativamente diverse, sono equiparabili a nuove assunzioni. Come tali, sono soggette a un rigoroso controllo di spesa e di programmazione del fabbisogno, che si manifesta attraverso l’atto di autorizzazione. L’autorizzazione non è una mera formalità, ma un provvedimento che presuppone una valutazione discrezionale dell’amministrazione sull’opportunità di bandire nuovi posti. Senza questo atto, l’intera procedura per i posti non coperti da autorizzazione è priva di efficacia e non può generare diritti soggettivi in capo ai candidati.

Le Conclusioni

L’ordinanza n. 2218/2024 rafforza il principio secondo cui, nel pubblico impiego, le aspettative dei dipendenti devono sempre fare i conti con i vincoli normativi e di finanza pubblica. Non è sufficiente essere idonei in una graduatoria per vantare un diritto all’inquadramento superiore. È indispensabile che la procedura sia supportata da tutti gli atti amministrativi richiesti, primo fra tutti l’autorizzazione alla copertura dei posti. In assenza, qualsiasi pretesa è destinata a essere respinta, soprattutto se una nuova legge interviene a modificare le regole del gioco.

Un dipendente pubblico acquisisce un diritto alla progressione verticale se partecipa a una selezione interna, anche se manca l’autorizzazione per tutti i posti banditi?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il diritto all’inquadramento superiore non sorge fino a quando non interviene l’autorizzazione amministrativa necessaria per la copertura dei posti. La sola partecipazione alla selezione non è sufficiente a creare un diritto quesito.

Una nuova legge che modifica le regole sulle progressioni di carriera (ius superveniens) può incidere su procedure selettive già avviate?
Sì. Se al momento dell’entrata in vigore della nuova legge il candidato non ha ancora maturato un “diritto quesito” (perché, ad esempio, mancava l’autorizzazione o la graduatoria non era approvata), la nuova normativa si applica e può legittimamente impedire la progressione secondo le vecchie regole.

In caso di progressione verticale, a chi spetta l’onere di provare la disponibilità di posti per lo scorrimento della graduatoria (turnover)?
L’onere della prova spetta al lavoratore che pretende di beneficiare dello scorrimento. Secondo la sentenza, è il dipendente che deve dimostrare tutti gli elementi costitutivi del suo diritto, inclusa la vacanza di un posto tra quelli originariamente autorizzati e la decisione dell’amministrazione di coprirlo tramite scorrimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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