Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 3857 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 3857 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 12/02/2024
NOME COGNOME ha adito il Tribunale di Avellino deducendo di essere stata dipendente del RAGIONE_SOCIALE fino al 1.11.2005 (data in cui era stata posta in quiescenza) e di avere partecipato alla procedura per la riqualificazione indetta con bando del 28.11.2002 per il conseguimento della posizione economica B3; ha inoltre evidenziato che in data 23.9.2005 era stata approvata la graduatoria, nella quale si era collocata in posizione utile, che ai sensi dell’art. 9 del bando l’inquadramento dei vincitori era subordinato alla conclusione RAGIONE_SOCIALE procedure di controllo a campione RAGIONE_SOCIALE autocertificazioni prodotte dai candidati, e che in data 4.5.2006 le era stata comunicata l’e sclusione dalla progressione in carriera, essendo medio tempore cessato il suo rapporto di servizio.
Ha chiesto pertanto la condanna del RAGIONE_SOCIALE al risarcimento del danno che le era derivato dal mancato rispetto della tempistica nell’effettuazione dei controlli, danno da commisurarsi alle differenze retributive tra la posizione economica B2 e la posizione economica B3 a decorrere dal 23.9.2005, oltre accessori.
Con sentenza n. 1365/2013, il Tribunale di Avellino ha respinto la suddetta domanda.
La Corte di Appello di Napoli ha rigettato l’appello proposto da NOME COGNOME avverso tale sentenza.
La Corte territoriale ha rilevato che il bando emesso in data 28.11.2002 per la riqualificazione del personale del RAGIONE_SOCIALE aveva previsto la sottoscrizione di un contratto di lavoro individuale e che secondo la determina dirigenziale del 23.9.2005, emessa a seguito dell’approvazione della graduatoria di merito , l’inquadramento sarebbe avvenuto
a seguito dei controlli di cui all’art. 9 del bando, pacificamente estesi in forza di accordo sindacale a tutte le autocertificazioni, e non effettuati a campione.
Ha rilevato che l’art. 71 del DPR n. 445/2000 ha posto esclusivamente a carico del responsabile del procedimento la sanzione relativa al mancato rispetto del termine di trenta giorni per concludere i controlli ed ha in ogni caso ritenuto dirimente la circostanza che il suddetto termine era scaduto il 22.10.2005, mentre la COGNOME era stata messa in quiescenza dal 1.11.2005, ovvero dopo sei giorni lavorativi; ha in proposito evidenziato che tale ridotto lasso di tempo non era idoneo a consentire la stipula di un contratto di lavoro individuale (altra condizione necessaria per l’inquadramento nel profilo superiore, r ispetto alla quale non era stato previsto alcun termine perentorio) ed ha pertanto escluso la sussistenza del nesso di causalità per il preteso danno patito dalla COGNOME e la condotta dell’Amministrazione.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo.
Il RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
DIRITTO
1.L’unico motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., insufficienza della motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 3 d.lgs. n. 165/2001, degli artt. 2, 29, 30 e 32 Cost., nonché degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.
Addebita alla Corte territoriale di avere erroneamente interpretato il bando di concorso, che aveva fatto decorrere la corresponsione del trattamento economico dall’attribuzione della qualifica di vincitore con inserimento nella graduatoria definitiva; lamenta l’omessa valutazione di un fatto decisivo.
Richiama la giurisprudenza di legittimità secondo cui un bando che contenga tutti gli elementi essenziali prevedendo il riconoscimento del diritto del vincitore del concorso di ricoprire la posizione di lavoro disponibile, nonché la data a decorrere della quale è destinata ad operare giuridicamente l’attribuzione della nuova posizione, costituisce un’offerta al pubblico che impegna il datore di lavoro al rispetto della norma con cui ha delimitato la propria discrezionalità, e lo vincola altresì adempiere l’obbligazione secondo correttezza e buona fede, sicché il superamento del concorso, indipendentemente dalla successiva nomina, consolida nel patrimonio dell’interessato l’acquisizione di una situazione giuridica individuale.
Aggiunge che la Pubblica Amministrazione non esercita poteri di supremazia speciale, ma opera nel rapporto di pubblico impiego con la capacità del datore di lavoro privato nell’ambito del quale le posizioni giuridiche dei dipendenti sono costituite da diritti soggettivi o da interessi legittimi di diritto privato, sempre riconducibili alla categoria dei diritti e non degradabili per effetto di atti unilaterali del datore di lavoro pubblico.
Sostiene che il passaggio di livello nell’ambito della stessa area non costituisce una nuova assunzione ed esula pertanto dall’ambito di applicazione dell’art. 35 del d.lgs. n. 165/2001.
Il ricorso è inammissibile, in quanto non censura la ratio decidendi della sentenza impugnata, secondo cui il termine per i controlli sulle autocertificazioni è scaduto in data 22.10.2005, mentre la COGNOME era stata messa in quiescenza dal 1.11.2005, ovvero dopo sei giorni lavorativi, e secondo cui tale ridotto lasso di tempo non era idoneo a consentire la stipula di un contratto di lavoro individuale, per la quale non era previsto alcun termine perentorio.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna RAGIONE_SOCIALE quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali “rationes decidendi”, neppure sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. Sez.
U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013; Cass. Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 16314 del 18/06/2019).
In ordine alla procedura di riqualificazione in esame (indetta in data 28.11.2002), la Corte territoriale ha evidenziato che l’art. 7 del bando prevedeva la firma di un contratto individuale di lavoro individuale.
A fronte di tale statuizione, da cui si desume la differenza di tale procedura rispetto alle procedure di progressione meramente economica, il ricorso lamenta la violazione del bando di concorso ed il difetto di motivazione sulle relative disposizioni, senza tuttavia riportarlo integralmente e senza localizzarlo.
L’onere della parte di indicare puntualmente il contenuto degli atti richiamati all’interno RAGIONE_SOCIALE censure è stato recentemente ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte, sia pure nell’ambito dell’affermata necessità di non intendere il principio di autosufficienza del ricorso in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza C.E.D.U. Succi e altri c. Italia del 28.10.2021 (Cass. SU n. 8950/2022).
Il motivo tende inoltre ad una rivisitazione del fatto, sollecitando una diversa interpretazione del bando.
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di norme di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio o di omessa pronuncia miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (vedi, per tutte: Cass. S.U. 27 dicembre 2019, n. 34476 e Cass. 14 aprile 2017, n. 8758).
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per la ricorrente , di versare l’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
PQM
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna la ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese di giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi ed in € 4.000,00 per competenze professionali, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 12 gennaio 2024.
Il Presidente
NOME COGNOME