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Progressione di carriera: diritto alla promozione

Un avvocato dipendente di un ente pubblico previdenziale, pur essendosi classificato utilmente in una selezione interna, si è visto negare la promozione a causa della mancata approvazione formale della graduatoria. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’ente non può interrompere arbitrariamente una procedura legittimamente avviata, confermando il diritto del lavoratore alla progressione di carriera. La sentenza chiarisce che il ‘blocco’ normativo degli stipendi ha inciso solo sugli effetti economici, non sul diritto giuridico alla promozione. Di conseguenza, al lavoratore è stato riconosciuto l’inquadramento superiore con decorrenza giuridica retroattiva, il risarcimento del danno per il periodo intermedio e gli effetti economici a partire dalla fine del blocco.

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Progressione di carriera: la P.A. non può bloccare la promozione

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha riaffermato un principio fondamentale nel diritto del lavoro pubblico: una volta avviata una procedura selettiva, la Pubblica Amministrazione non può arbitrariamente interromperla, negando il diritto alla promozione a chi si è utilmente classificato. Questa decisione chiarisce il valore del bando e la tutela del lavoratore di fronte all’inerzia dell’amministrazione, toccando temi cruciali come la progressione di carriera e gli effetti dei ‘blocchi’ normativi sulle retribuzioni.

I Fatti di Causa

Un avvocato dipendente di un importante ente pubblico previdenziale aveva partecipato a una selezione interna per l’attribuzione di un livello professionale superiore. La procedura si riferiva a posti resisi disponibili già nel 2008. Il lavoratore si era collocato in posizione utile nella graduatoria stilata dalla commissione esaminatrice. Tuttavia, l’ente non ha mai approvato formalmente tale graduatoria, bloccando di fatto la promozione.

L’ente giustificava la sua decisione sostenendo che la procedura era illegittima, in quanto bandita nel 2011 sulla base di un contratto collettivo ormai superato da uno più recente del 2010. Inoltre, invocava la normativa sul blocco delle progressioni economiche (D.L. 78/2010) come ulteriore ostacolo.

Il caso è arrivato fino alla Corte di Cassazione, dopo che la Corte d’Appello aveva dato parzialmente ragione all’ente, riqualificando il diritto del lavoratore a un mero risarcimento del danno per perdita di chance, anziché al pieno riconoscimento della promozione.

La Decisione della Corte di Cassazione e la progressione di carriera

La Suprema Corte ha ribaltato la decisione d’appello, accogliendo le ragioni del lavoratore. L’analisi dei giudici ha toccato diversi punti cardine del rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato.

La Questione della Giurisdizione

In primo luogo, la Corte ha confermato che la giurisdizione su queste controversie spetta al giudice ordinario e non a quello amministrativo. Non si tratta di un concorso pubblico per l’assunzione, ma di una progressione di carriera interna, che configura un diritto soggettivo del dipendente e non un mero interesse legittimo.

Validità della Procedura Selettiva

Contrariamente a quanto sostenuto dall’ente e dalla Corte d’Appello, la Cassazione ha ritenuto la procedura selettiva pienamente valida. Il punto cruciale è che i posti erano vacanti dal 2008. Pertanto, la disciplina applicabile era quella vigente in quel momento, non quella successiva. L’ente, avendo ritardato ingiustificatamente l’indizione della selezione, non poteva usare il cambiamento normativo come pretesto per invalidare la procedura stessa.

L’Obbligo di Concludere il Procedimento

La Corte ha ribadito un principio consolidato: l’indizione di una procedura selettiva, con la pubblicazione di un bando che ne definisce i termini, costituisce un’offerta al pubblico che vincola l’amministrazione. Quest’ultima non ha la facoltà di interrompere il procedimento per ragioni di mera opportunità, ma è tenuta a portarlo a compimento e ad approvare la graduatoria. I candidati idonei vantano un vero e proprio diritto soggettivo al completamento della procedura e, di conseguenza, alla promozione.

L’Impatto del ‘Blocco’ sulla progressione di carriera

Infine, i giudici hanno chiarito la portata del ‘blocco’ delle retribuzioni imposto dal D.L. 78/2010. Tale normativa ha sospeso solo gli effetti economici delle progressioni di carriera per il periodo 2011-2014, ma non ha mai inciso sugli effetti giuridici. Di conseguenza, il lavoratore aveva diritto al riconoscimento giuridico del nuovo inquadramento sin dal 2008, mentre gli effetti economici (l’aumento di stipendio) sarebbero scattati solo alla fine del periodo di blocco, ovvero dal 1° gennaio 2015.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte si fonda sul principio di buona fede e correttezza che deve governare il rapporto di lavoro anche nel settore pubblico. L’ente previdenziale, agendo come datore di lavoro privato, era vincolato dalle norme contrattuali che imponevano l’avvio annuale delle procedure per coprire i posti disponibili. Il ritardo nell’indire la selezione è stata una violazione di tale obbligo. Pertanto, l’amministrazione non poteva trarre vantaggio dal proprio inadempimento per applicare norme successive meno favorevoli o per bloccare del tutto la procedura. Il diritto del lavoratore alla progressione di carriera era già sorto in base alle regole vigenti al momento della vacanza dei posti. La mancata approvazione formale della graduatoria è stata quindi ritenuta un atto illegittimo, che ha leso il diritto soggettivo del dipendente. Per il periodo in cui gli effetti economici erano bloccati per legge (2008-2014), la Corte ha riconosciuto il diritto del lavoratore a un risarcimento del danno, commisurato proprio alle differenze retributive non percepite a causa del colpevole ritardo dell’ente.

Le Conclusioni

La sentenza della Cassazione stabilisce con fermezza che la Pubblica Amministrazione non può agire in modo arbitrario nelle procedure di progressione di carriera. Una volta pubblicato un bando, l’ente è obbligato a rispettarlo e a concludere l’iter. I lavoratori che partecipano e si classificano utilmente acquisiscono un diritto pieno alla promozione, che non può essere vanificato da ripensamenti o dall’inerzia dell’amministrazione. Questa decisione rappresenta una vittoria importante per la tutela dei diritti dei dipendenti pubblici, garantendo certezza e stabilità nei percorsi professionali e sanzionando i comportamenti dilatori e illegittimi del datore di lavoro pubblico.

Una Pubblica Amministrazione può interrompere una procedura di selezione per una progressione di carriera dopo averla avviata?
No, una volta avviata una procedura selettiva valida, l’amministrazione ha l’obbligo di portarla a termine. I partecipanti utilmente collocati in graduatoria vantano un diritto soggettivo alla promozione e al completamento della procedura.

Un ‘blocco’ normativo sulle retribuzioni nel pubblico impiego annulla il diritto a una promozione?
No. Norme come l’art. 9, comma 21, del D.L. 78/2010 hanno sospeso solo gli effetti economici della progressione per un determinato periodo, ma non hanno cancellato il diritto giuridico all’inquadramento superiore, che rimane valido.

Quali regole si applicano a una procedura di selezione se le norme cambiano dopo che i posti si sono resi disponibili?
La procedura è disciplinata dalle norme, legali e contrattuali, vigenti al momento in cui i posti si sono resi disponibili e l’obbligo di indire la selezione è sorto. L’ente non può avvalersi del proprio ritardo nell’avviare la procedura per applicare norme successive.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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