Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 691 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 691 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/01/2024
Oggetto: compensi professionali
ORDINANZA
sul ricorso n. R.G. 23369/2021, proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’ avv. NOME COGNOME con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO presso l’avv. NOME COGNOME.
-RICORRENTE –
contro
NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO
-CONTRORICORRENTE –
e
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t..
-INTIMATA-
avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna n. 1418/2021, pubblicata in data 7.6.2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9.11.2023 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE ha proposto opposizione al decreto ingiuntivo n. 303/2010, emesso dal Tribunale di Forlì Sezione distaccata di Cesena in favore dell’ing . NOME COGNOME per l’importo di € 198.412,99 oltre accessori, a titolo di compenso per la progettazione di un magazzino in Pievesestina di Cesena, deducendo che l’incarico professionale era stato conferito dalla RAGIONE_SOCIALE, proprietaria del suolo concesso alla società opponente per la realizzazione dell’intervento , e che il progetto era comunque incompleto e inficiato da numerosi errori ed inesattezze.
NOME COGNOME ha chiesto ed ottenuto di chiamare in causa della RAGIONE_SOCIALE; quest’ultima ha sostenuto che il rapporto professionale era sorto con altro progettista, NOME COGNOME tenuto a farsi carico del pagamento spettante al COGNOME, lamentando -inoltre -che la progettazione contrastava con le previsioni degli strumenti urbanistici ed era inutilizzabile.
Riunito il giudizio alla causa di opposizione avverso l’ingiunzione di pagamento dei compensi emessa nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e in favore del COGNOME, all’esit o dell’istruttoria il Tribunale ha revocato entrambi i decreti
opposti e ha condannato la RAGIONE_SOCIALE a pagare l’importo di € 143.827,29 in favore di NOME COGNOME e di €. 20.021,91 in favore di NOME COGNOME oltre interessi legali e spese di giudizio, compensate per un quarto.
Proposto appello dalla soccombente, la Corte di appello di Bologna ha confermato la decisione, ritenendo che l’incarico professionale ai due tecnici fosse stato conferito da entrambe le società (RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE), essendo agli atti una proposta di incarico redatta per iscritto ed accettata dai professionisti per facta concludentia mediante l’esecuzion e delle prestazioni.
Ha evidenziato -a conferma del conferimento dell’incarico anche da parte della RAGIONE_SOCIALE -che l’attività professionale non riguardava solo la costruzione del capannone al grezzo sul suolo di Perugini Arvedo, ma tutti gli impianti e le finiture e che i preventivi di spesa per l’esecuzione dell’opera erano intestati all’attuale ricorrente, ponendo in rilievo che la realizzazione dell’opera mirava a farle ottenere taluni finanziamenti europei.
Ha respinto le censure alla c.t.u., per avere utilizzato documenti non ritualmente acquisiti, reputando generica la contestazione sulla congruità del compenso ed infondata l’eccezione di inadempimento, osservando che la mancata approvazione del progetto non era dipesa da errori degli elaborati, ma dal fatto che la committenza aveva desistito dalla realizzazione del progetto, non avendo ottenuto i contributi europei.
La cassazione della sentenza è chiesta dalla RAGIONE_SOCIALE con ricorso fondato su quattro motivi.
NOME COGNOME e NOME COGNOME resistono con controricorso.
La RAGIONE_SOCIALE è rimasta intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Le eccezioni di inammissibilità del ricorso non infondate, non essendo proposte esclusivamente questioni di merito, né essendo il ricorso carente dell’indicazione degli atti e dei documenti su cui si fonda il ricorso o della compiuta esposizione delle vicende di causa.
Il primo motivo denuncia la violazione degli art. 194 e 195 c.p.c. e 87, 90 disp. att. c.p.c., per avere la pronuncia liquidato il compenso per la progettazione strutturale sulla base di documenti (allegati alla c.t.u. nn. 5-10) consegnati tardivamente al consulente, atti del cui deposito la ricorrente aveva eccepito la tardività.
Il motivo è fondato.
La Corte di appello ha ritenuto utilizzabili gli allegati alla consulenza, limitandosi a dar atto che il c.t.u. aveva dichiarato di non avere tenuto conto dei documenti consegnati solo nel corso delle operazioni dal consulente di parte.
Tuttavia, come è puntualmente evidenziato in ricorso (pagg. 14 e ss.), l’importo complessivo liquidato sulla scorta della c.t.u. comprendeva anche il compenso per la progettazione strutturale, non altrimenti documentata, a conferma che gli elaborati tardivamente prodotti in causa erano stati utilizzati
per la quantificazione delle spettanze professionali, poi recepita dal giudice di merito.
Essendo in discussione lo svolgimento dell’incarico e la quantificazione del compenso ed essendo onere dei professionisti dare prova delle attività svolte, la progettazione strutturale doveva essere depositata nel rispetto delle preclusioni processuali, potendo il consulente acquisire d’ufficio , nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza del contraddittorio delle parti, tutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, ma con esclusione proprio di quelli diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda (le specifiche prestazioni professionali espletate) e delle eccezioni, salvo che per quelle rilevabili d’ufficio (Cass. s.u. 3086/2022).
3. Il secondo motivo denuncia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ai sensi dell’art. 132 c.p.c., per aver la Corte di merito tenuto conto solo di talune prove testimoniali, svalutando altri elementi e la stessa C.t.u., e per aver desunto la prova del conferimento dell’incarico professionale ad entrambi i professionisti da un documento contestato (la lettera di incarico del 29.10.2010), non dando il dovuto rilievo alle deposizioni dei testi, alle dichiarazioni confessorie del COGNOME, che, nel corso nell’interrogatorio formale, aveva ammesso di avere operato su incarico del COGNOME, e ad una comunicazione del COGNOME indirizzata alla società, in cui questi aveva fatto presente di servirsi, in proprio, di più collaboratori.
La sentenza, del tutto immotivatamente e in contrasto con le risultanze istruttorie e le ammissioni dei resistenti, avrebbe negato l’inadempimento dei progettisti, pur avendo il COGNOME ammesso di avere dovuto rettificare gli elaborati e l’importo dei lavori, a riprova del fatto che la progettazione, neppure ultimata, non era conforme alle norme urbanistiche locali.
Il motivo è infondato.
Il ricorso non chiarisce con il dovuto grado di specificità sotto quale profilo fosse stata contestata in giudizio la valenza della e-mail del 29.10.2010 contenente la proposta contrattuale, limitandosi a negare, con un generico rinvio agli atti di causa, la riferibilità del documento ad entrambe le società.
La censura, oltre che generica, non è decisiva: la lettera di incarico ha costituito solo uno degli elementi da cui il giudice ha desunto la prova del conferimento dell’incarico professionale, avendo posto in rilievo che, come emerso dalle deposizioni testimoniali, la progettazione era funzionale all’obiettivo della RAGIONE_SOCIALE di accedere ai fondi europei, aveva perciò riguardato non solo le opere al grezzo ma anche gli impianti e le finiture, e che tutti i preventivi di spesa erano a nome della ricorrente.
Logicamente motivato, con puntuale indicazione degli elementi ritenuti probanti, è dunque il riconoscimento di un rapporto contrattuale diretto tra la RAGIONE_SOCIALE verso entrambi i professionisti, ai quali l’incarico era stato proposto con la email del 29.10.2010, con autonoma assunzione di responsabilità di
ciascuno verso la committente, non occorrendo che la sentenza confutasse esplicitamente le contrarie risultanze probatorie (Cass. 16499/2009; Cass. 11511/2014; Cass. 16467/2017).
La natura confessoria delle dichiarazioni dei due tecnici non è, invece, tema analizzato nella sentenza impugnata, né il ricorso indica se e quando sia stata dedotta nei gradi di merito; competeva, comunque, al giudice di merito valutare le dichiarazioni rese nel corso dell’interrogatorio o i documenti prodotti e stabilire se tali elementi avessero valore confessorio (cfr. Cass. 3524/1985; Cass. 2231/1991; Cass. 5330/2003; Cass. 18987/2003; Cass. 2048/2019; Cass. 3698/2020).
La denunciata violazione dell’obbligo di motivazione riguardo alla sussistenza del rapporto professionale, per come dedotto dai resistenti, è -dunque – insussistente.
Non è poi consentito un sindacato di merito o di un controllo di adeguatezza motivazionale ai sensi dell’art. 360, n. 5 c.p.c. nel testo introdotto alle modifiche apportate dal D.L. n. 83/12, convertito in legge n. 134/12, controllo non più consentito dal nuovo testo dell’art. 360, n. 5 c.p.c.
La riformulazione della norma, disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge
costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (S.U. n. 8053/14).
Quanto infine all’eccezione di inadempimento i rilievi della ricorrente appaiono motivatamente confutati dal giudice di merito, che ha posto in evidenza come il Comune avesse semplicemente richiesto in fase istruttoria l’acquisizione di documenti, senza sollevare alcun rilievo alla correttezza della progettazione, la quale, poi, non era stata completata a causa della mancata erogazione dei finanziamenti europei, con accertamento dell’insussistenza di profili di negligenza o della stessa inutilizzabilità della progettazione che involge questioni esclusivamente di merito, insindacabili in cassazione.
4. Il terzo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, rappresentato dall’unico elemento comprovante il conferimento dell’incarico, ossia la comunicazione del 17.7.2008 inviate dal COGNOME alla RAGIONE_SOCIALE, da cui si evinceva che il tecnico si era qualificato come referente e coordinatore degli altri
collaboratori, a riprova dell’insussistenza di un rapporto direttivo tra la ricorrente e il COGNOME.
Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 348 ter, commi IV e V c.p.c., poiché la sentenza di appello è fondata sulle stesse ragioni inerenti alle questioni in fatto, rispetto alla sentenza di primo grado; il giudice ha comunque esaminato ed accertato la sussistenza del rapporto professionale con entrambi i resistenti sulla base delle risultanze cui si è già fatto cenno, non dovendo dare conto di tutti le risultanze processuali (Cass. s.u. 8053/2014).
La circostanza dedotta è priva di decisività giacché il fatto che il COGNOME fosse un collaboratore del COGNOME non era inconciliabile con la scelta di officiare anche il primo di un’autonoma posizione di responsabilità verso la committenza sulla base di un incarico individuale distinto.
5. Il quarto motivo denuncia la violazione dell’art. 2230 c.c., per aver la sentenza ritenuto provato il conferimento dell’incarico professionale nei confronti dei due professionisti, omettendo di considerare che il committente non necessariamente si identifica con il soggetto a favore del quale è stata resa la prestazione.
Il motivo è inammissibile.
E’ indubbio che nel contratto di prestazione di opera professionale la qualità di cliente può non coincidere con quella del soggetto a favore del quale l’opera del professionista deve essere svolta, per cui chiunque può, per le più svariate ragioni, dare incarico ad un professionista affinché questi
presti la propria opera a favore di un terzo, con la conseguenza che il contratto si conclude tra il committente, tenuto al pagamento, ed il professionista (Cass. 624/1977: Cass. 4592/1995; Cass. 1244/2000; Cass. 7309/2000; Cass. 19956/2004; Cass. 22233/2004; Cass. 19970/2020).
Nello specifico è però rimasto acclarato che la società destinata ad avvalersi della progettazione era la stessa che aveva conferito l’incarico, ed era quindi obbligata a pagare il compenso.
La censura è, al riguardo, non pertinente, supponendo la verità di circostanze contrastanti con gli accertamenti svolti nei gradi di merito.
E’ per tali motivi, accolto il primo motivo di ricorso, con rigetto delle altre censure; l’impugnata sentenza è cassata in relazione alla censura accolta, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso, respinge le altre censure, cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda