Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 26341 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 26341 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CONDELLO NOME COGNOME
Data pubblicazione: 09/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20352/2021 R.G. proposto da: COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, tutti rappresentati e difesi, giusta procura in calce al ricorso, dagli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME (p.e.c.: EMAIL), NOME COGNOME (p.e.c.: ) e NOME COGNOME (p.e.c.: ), elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata da RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta procura in
calce al controricorso, dall’AVV_NOTAIO (p.e.c.: ), elettivamente domiciliata presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
nonché
RAGIONE_SOCIALE
-intimata – avverso la sentenza del la Corte d’appello di Venezia n. 1409/2021, pubblicata in data 10 maggio 2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9 maggio 2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Treviso, con sentenza n. 2438 del 2019, pubblicata in data 20 novembre 2019, revocava il decreto ingiuntivo emesso, su istanza di RAGIONE_SOCIALE, nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, debitrice principale, e NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, nella qualità di fideiussori, condannando gli opponenti al pagamento della minor somma di euro 159.969,26, oltre interessi.
L a Corte d’appello di Venezia ha respinto il gravame proposto dai fideiussori, disattendendo, per quel che ancora rileva in questa sede, l’eccezione di nullità della clausola di decadenza dalla garanzia ex art. 1957 cod. civ. per contrasto con la disciplina Antitrust di cui all’art. 2 della legge n. 287/90, per essere stata la delibera della Banca d’Italia del 2 maggio 2005 prodotta solo in grado di appello, e
ritenendo pure infondata la eccepita violazione dell’art. 1956 cod. civ., sollevata da parte appellante sul rilievo che la banca aveva erogato nuovo credito alla debitrice principale pur essendo consapevole delle sue deteriorate condizioni economiche, sul rilievo che i fideiussori, essendo soci della debitrice, si trovavano nelle condizioni di essere informati della situazione economica della stessa.
NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME ricorrono per la cassazione della decisione d’appello, con due motivi.
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata da RAGIONE_SOCIALE, resiste con controricorso.
RAGIONE_SOCIALE è rimasta intimata.
Il ricorso è stato avviato per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1. cod. proc civ.
Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti deducono, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., ‹‹violazione e falsa applicazione della legge ‘ antitrust ‘ 10 ottobre 1990, n. 287, artt. 2, 14, 20 e 33; violazione del provvedimento della Banca d’Italia n. 55/2005 in relazione alla legge 287/90; violazione e falsa applicazione dell’art. 41 Cost. , dell’art. 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, degli artt. 1418, 1419, 1421, 1957, 2697 e 2729 c.c., nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c.››.
Evidenziano che l’eccezione di nullità della fideiussione, riguardando fatti costitutivi della domanda già acquisiti al giudizio, ben poteva essere rilevata d’ufficio e che il provvedimento n. 55 del 2005 della Banca d’Italia aveva individuato nello schema contrattuale di fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie concordato dall’RAGIONE_SOCIALE fin dal 2002 alcune previsioni la cui generalizzata applicazione da parte degli istituti di credito risulta essere attuativa di
condotte anticoncorrenziali; richiamano nel ricorso, a questo proposito, le previsioni degli artt. 2, 6 e 8 di quel contratto tipo, che la Banca d’Italia ha censurato nei termini già detti per sostenere che le fideiussioni azionate sono coincidenti, almeno nella clausola 6, con le previsioni che la Banca centrale ha ritenuto essere anticoncorrenziali, ciò che avrebbe dovuto comportare la nullità parziale della singola clausola o la nullità dell’intero contratto, in quanto stipulato ‘a valle’ dell’intesa contraria alla concorrenza.
Deducono pure che nel corso del giudizio di secondo grado avevano anche prodotto in causa sia la delibera di B anca d’Italia che il modello ABI e che, erroneamente, è stata ritenuta la tardività della produzione della delibera, alla quale deve riconoscersi valenza normativa.
1.1. La censura è inammissibile.
1.2. È opportuno ricordare che le Sezioni Unite di questa Corte si sono occupate ampiamente del problema della rilevabilità d’ufficio delle nullità contrattuali (Cass., sez. U, 12/12/2014, n. 26242), ed è alla luce dei principi affermati in quella sede che deve essere letta e confermata (sia pur con le precisazioni che seguiranno) la motivazione della Corte veneziana. In quella sentenza è stato affermato, tra l’altro, che nel giudizio di appello ed in quello di cassazione il giudice, in caso di mancata rilevazione officiosa in primo grado di una nullità contrattuale, ha sempre facoltà di procedere ad un siffatto rilievo. Questo principio, però, deve essere applicato tenendo presenti le regole generali del processo civile e la relativa tempistica, onde evitare che l’esercizio di un potere officioso consenta alle parti di far valere eccezioni quando i fatti costitutivi del lamentato vizio negoziale da esaminare ex officio avrebbero potuto e dovuto essere tempestivamente allegati, onde consentire al giudice la necessaria valutazione in diritto. Qualora i fatti costitutivi della
dedotta nullità negoziale non risultino già allegati in toto dalla parte che la invoca successivamente, difatti, non è consentito al giudice, in qualsiasi stato e grado del processo, procedere d’ufficio a tali accertamenti, la rilevabilità officiosa della nullità essendo circoscritta alla sola valutazione in iure dei fatti già allegati.
1.3. L a Corte d’appello è correttamente pervenuta alla decisione di non poter esaminare l’eccezione di nullità sollevata sul rilievo che l’accertamento sulla fondatezza o meno dell’eccezione di nullità si fondava su circostanza di fatto, ossia la conformità al ‘modello ABI’ delle fideiussioni azionate, non emergente ex actis, essendosi gli odierni ricorrenti limitati ad allegare i fatti costitutivi funzionali a fondare la legittimità della rilevazione della nullità, ma non a produrre tempestivamente la delibera della Banca d’Italia e d il modello ABI, nel rispetto dei termini preclusivi previsti dal codice di rito.
Un conto è, infatti, consentire che la parte alleghi e/o rilevi dopo la scadenza delle preclusioni e anche in appello o che il giudice rilevi fatti che, già documentati o provati in atti, ossia ritualmente acquisiti, evidenziano l’infondatezza della pretesa sebbene alla stregua di eccezione non allegata dalla parte interessata nella fase procedimentale deputata all’esercizio dei poteri assertivi ; altro e ben diverso discorso è invece piegare a tale valore anche le esigenze di regolazione ordinata del processo e dell’esercizio dei poteri delle parti e del giudice, come avverrebbe se si ritenesse consentito sottrarre alle preclusioni non solo il potere di allegare e rilevare fatti (già provati nel processo) ma anche di provare e, dunque, a monte di introdurre come oggetto di prova, per la prima volta quei fatti, rimettendo in moto una fase procedimentale che deve invece considerarsi ormai chiusa, nell’ordinato svolgimento del processo (connotato imprescindibile del «giusto processo regolato dalla legge»: art. 111, comma primo, Cost.; art. 6 CEDU) (Cass., sez. 6 -3,
01/02/2023, n. 2963; Cass., sez. 3, 23/02/2024, n. 4867).
In questa direzione si muove la sentenza in questa sede impugnata che p oggia, difatti, sulla regola dell’inammissibilità di documenti nuovi in appello, come prescritto dall’art. 345 cod. proc. civ., nel testo novellato, che, accanto alla previsione, nel secondo comma, che nel giudizio di appello possono proporsi nuove eccezioni purché siano rilevabili anche d’ufficio, stabilisce, nel terzo comma, di escludere l’ammissibilità di nuove prove e nuovi documenti , esclusione ancora più rigorosa dopo la modifica introdotta dall’art. 54, comma 1, lett. b) , d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, che ha eliminato il limite a tale divieto prima costituito dalla «indispensabilità» delle nuove prove.
A mmettere in appello l’allegazione (o la rilevazione ufficiosa) di nuove eccezioni in senso lato o di mere difese (art. 345, secondo comma) non significa anche ammettere nuove prove, anche documentali, ancorché dirette a provare i fatti allegati ad oggetto di dette eccezioni o difese (art. 345, terzo comma); la stretta contiguità topografica delle norme avrebbe, infatti, altrimenti imposto di precisare che il divieto di cui al terzo comma non vale per le eccezioni in senso lato e le mere difese ammesse nel secondo.
Anzi, la indicazione al riguardo dagli stessi ricorrenti offerta -ovvero quella secondo cui la documentazione a corredo della eccezione di nullità sia stata prodotta solo nel giudizio di appello ─ conferma che, per l’appunto, gli elementi di fatto sulla cui base poter operare la valutazione dell’eccezione di nullità , sono stati irritualmente introdotti dopo lo spirare dei termini preclusivi previsti dal codice di rito.
1.4. D’altro canto, è del tutto condivisibile l’affermazione contenuta in sentenza secondo cui, diversamente da quanto assunto
da parte ricorrente, i provvedimenti amministrativi adottati dalle autorità indipendenti non rientrano tra le fonti del diritto elencate dall’art. 1 delle preleggi e restano, pertanto, esclusi dall’ambito di operatività del principio iura novit curia di cui all’art. 113 cod. proc. civ. (cfr., Cass., sez. 1, 03/12/2019, n. 31569, che ha affermato che il provvedimento con cui la Banca d’Italia ha accertato l’intesa concorrenziale posta a base della asserita nullità per contrasto con l’art. 2, lett. a) , legge n. 287 del 10 ottobre 1990, è appunto un fatto (non una norma di diritto, per la quale potrebbe valere il principio iura novit curia ); a tanto consegue che la produzione della delibera effettuata solo in appello è sicuramente inammissibile perché tardiva.
Non essendo stata dunque offerta al la Corte d’appello la documentazione indispensabile per valutare se le fideiussioni di cui si discute fossero o meno conformi allo schema ABI oggetto di sanzione contrastante con la legge n. 287/90 ed integrante intesa restrittiva della concorrenza, del tutto correttamente il giudice d’appello non ha rilevato la eccepita nullità della clausola n. 6 dei contratti, asseritamente tesa alla disapplicazione della tutela ex art. 1957 cod. civ.
Con il secondo motivo, deducendo la ‹‹ violazione degli artt. 115 e 360, primo comma, n. 5, c.p.c., sotto il duplice profilo, rispettivamente, del vizio di legittimità e del vizio di motivazione ›› , i ricorrenti, impugnando il passaggio della motivazione della sentenza gravata in cui si legge che ‹‹ non è mai stato prodotto in causa il cd. ‘modello ABI’›› , sostengono che, in realtà, il provvedimento della Banca d’Italia n. 55/2005, che riproduceva il cd. modello ABI, era stato depositato in allegato alla nota di precisazione delle conclusioni a trattazione scritta della causa di appello depositata in data 27 gennaio 2021, cosicché il giudice d’appello sarebbe incorso nella violazione della disposizione normativa invocata o, comunque, nel
vizio di motivazione per non avere preso in esame un documento che avrebbe potuto condurre ad una diversa decisione.
Il motivo è inammissibile, perché non si confronta con la ratio decidendi della pronuncia che ha dichiarato tardiva la produzione del documento, perché avvenuta solo in appello, e come tale non utilizzabile ai fini della decisione.
Il ricorso è, dunque, inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, al competente ufficio di merito dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione