Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 559 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 559 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/01/2025
Oggetto: Equa riparazione
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 06918/2023 R.G. proposto da
COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato a ll’ indirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE;
-ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale in Roma, INDIRIZZO, è domiciliata;
-controricorrente –
Avverso il decreto del 21/10/2022 reso dalla Corte d’Appello di Catania, comunicato il 20/12/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9 luglio 2024 dalla dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
Con ricorso depositato il 16 giugno 2022, COGNOME NOME propose opposizione avverso il decreto del 30 maggio 2022, pubblicato il 9 giugno 2022, con il quale il giudice designato dalla Corte d’appello di Catania aveva respinto il ricorso da lui proposto onde ottenere l’indennizzo per l’irragionevole durata del procedimento iniziato, in primo grado, davanti al Tribunale di Ragusa il 3 luglio 2007 e conclusosi con sentenza del 15 Aprile 2013, e, in secondo grado, davanti alla Corte d’Appello di Catania il 16 maggio 2013 e definito con sentenza del 16 ottobre 2017, oltreché impugnato davanti alla Corte di Cassazione con ricorso depositato il 29 dicembre 2017 e tuttora pendente.
Con decreto del 21 ottobre 2022, la Corte d’Appello di Catania, constatata la mancata costituzione del Ministero della Giustizia, rigettò l’opposizione, sul presupposto che risultasse agli atti soltanto l’opposto decreto emesso dal primo giudice, ma non anche il ricorso ex art. 3 legge n. 89 del 2001 e tutto il fascicolo di parte del procedimento monitorio, contenente presumibilmente gli atti e i verbali del procedimento presupposto per il quale era stato chiesto l’indennizzo per la durata irragionevole del medesimo, mentre sarebbe stato inutile disporre l’acquisizione del fascicolo d’ufficio del procedimento monitorio, poiché contenente soltanto l’impugnato decreto e il ricorso per ingiunzione, ma non i documenti posti a sostegno della domanda.
Contro il predetto decreto, COGNOME NOME propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Il Ministero della Giustizia resiste con controricorso.
Considerato che :
1.1 Con il primo motivo, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2797 cod. civ., 115 cod. proc. civ., 169, 342 e 349, ultimo comma, cod. proc. civ., 12 e 16 d.P.R. 13 febbraio 2001, n. 123, 72 e 77 disp. att. cod. proc. civ., in relazione a ll’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nonché l’omesso esame e valutazione circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., per avere la Corte erroneamente rigettato il decreto in ragione dell’asserita omessa produzione del fascicolo di parte. Il ricorrente ha, sul punto, affermato che, come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte, con l’introduzione del processo civile telematico non esiste più la distinzione tra fascicolo d’ufficio e fascicolo di parte, esistendo un unico fascicolo digitale, contenente anche gli atti depositati dalla parte, da trasmettersi a cura della cancelleria, e che il giudice d’appello, in virtù del principio di non dispersione della prova, può porre a fondamento della decisione il documento prodotto in formato cartaceo non rinvenibile nei fascicoli di parte, apprezzandone il contenuto trascritto o indicato nella decisione impugnata o in altro provvedimento del processo, ovvero ordinare alla parte interessata di produrre alcuni documenti acquisiti in primo grado, sicché la Corte d’appello avrebbe dovuto attingere dai documenti prodotti in telematico oppure chiederne la produzione.
1.2 Il motivo è inammissibile.
In disparte il fatto che le Sezioni Unite, citate nella censura, non hanno affatto detto che la distinzione codicistica tra fascicolo d’ufficio e fascicolo di parte è stata abrogata, avendo piuttosto affermato esattamente il contrario, ossia che l’impianto codicistico è rimasto confermato anche dopo la riforma introdotta con il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, essendosi equiparato, nel novellato art. 36 disp. att. cod. proc. civ., la tenuta e
conservazione del fascicolo informatico alla tenuta e conservazione del fascicolo d’ufficio su supporto cartaceo e d essendosi continuato a prevedere, con gli artt. 165 e 166 cod. proc. civ. e 74 disp. att. cod. proc. civ., che i documenti offerti in comunicazione siano contenuti nel fascicolo di parte, nonostante il modificato art. 87 disp. att. cod. proc. civ. faccia rinvio all’art. 196quater per le modalità di produzione dei documenti (vedi Cass., Sez. Un., 16/2/2023, n. 4835), ciò che rileva, nella specie, è che i giudici di merito hanno affermato di avere riscontrato in atti la sola produzione del decreto opposto emesso dal consigliere delegato e l’assenza di tutto il fascicolo di parte del procedimento, contenente verosimilmente gli atti e i verbali del procedimento presupposto.
Orbene, la doglianza si appunta sulla mancata acquisizione dei documenti non rivenuti dai giudici di merito, ma sostanzialmente contenuti nel fascicolo telematico, comprensivo di quello di parte, come parrebbe arguirsi da tenore della stessa, senza rispettare però il dettato del n. 6 dell’art. 366 cod. proc. civ., il quale impone di indicare specificamente gli atti processuali e i documenti sui quali il ricorso si fonda (vedi Cass., Sez. 5, 18/11/2015, n. 23575; Cass., Sez. 5, 15/01/2019, n. 777), mediante la riproduzione diretta o indiretta del contenuto che sorregge la censura, precisando, in quest’ultimo caso, la parte del documento cui quest’ultima corrisponde (Cass., Sez. 5, 15/07/2015, n. 14784; Cass., Sez. 6-1, 27/07/2017, n. 18679) e i dati necessari all’individuazione della sua collocazione quanto al momento della produzione nei gradi dei giudizi di merito (vedi Cass., Sez. 5, 18/11/2015, n. 23575; Cass., Sez. 5, 15/01/2019, n. 777) e ciò, a maggior ragione, quando, come nella specie, la decisione sia censurata per non averne tenuto conto (Cass., Sez. 1, 13/11/2023, n. 31420; Cass., Sez. 5 , 4.10.2018, n. 24340).
Consegue da quanto detto l’inammissibilità della censura.
2.1 Col secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 154 cod. proc. civ., in relazione a ll’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito omesso di concedere la proroga del termine ordinatorio assegnatogli dal giudice per la produzione di documenti. Infatti, premesso che, con ordinanza del 18/4/2022, la Corte d’Appello lo aveva invitato a produrre in giudizio certificazione o attestazione della pendenza della lite in cassazione e attestazione di conformità della documentazione acquisita, concedendo all’uopo il termine di dieci giorni, e che in data 23/5/2022 e, dunque, nei termini, aveva chiesto la proroga per la produzione richiesta, il provvedimento era errato in quanto non aveva concesso la proroga cui egli aveva diritto.
2.2 La censura è inammissibile.
Giova in proposito ricordare come i motivi contenuti nel ricorso introduttivo del giudizio di cassazione, in quanto rimedio a critica vincolata, debbano avere, a pena di inammissibilità, i caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata (Cass. Sez. 6 – 1, 24/02/2020, n. 4905).
La censura, invece, non attinge la ratio decidendi del decreto impugnato, nel quale la questione della mancata concessione dei termini di proroga da parte del giudice designato è stata superata allorché la Corte d’Appello ha riconosciuto che l’istanza di proroga della richiesta di integrazione documentale risultava depositata il 23/5/2022 e, dunque, entro il termine di giorni 10 assegnato dal primo giudice, essendo stato il provvedimento relativo comunicato il 18/5/2022, con conseguente sua inammissibilità.
3.1 Con il terzo motivo si lamenta, infine, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1 -bis e 3 legge 24 marzo 2001, n. 89 e
degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione a ll’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., perché i giudici di merito non avevano liquidato l’indennizzo in quanto avevano chiesto le copie autentiche degli atti di causa, benché gli atti fossero stati tutti depositati, l’autenticazione non fosse prevista a pena di inammissibilità e nessuno avesse contestato i fatti posti a base del ricorso. Ad avviso del ricorrente, ciò che rilevava era soltanto la prova delle sue asserzioni, fornita attraverso il deposito della documentazione, mentre la mancata attestazione della autenticità era una mera formalità, superata dalla mancata contestazione.
3.2 La censura è, parimenti, inammissibile.
La stessa non attinge, infatti, la ratio decidendi della pronuncia, nella quale i giudici di merito non hanno affatto detto di non considerare provata la fondatezza della pretesa per essere i documenti prodotto a sostegno privi della richiesta autenticazione, ma hanno, viceversa, affermato che nessuno documento era contenuto nel fascicolo di parte se non il decreto opposto.
Ne consegue l’inammissibilità del motivo.
4 . In conclusione, dichiarata l’in ammissibilità dei tre motivi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico della ricorrente.
P.Q.M.
La Corte d ichiara l’inammissibilità del ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito e agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda