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Produzione documenti in appello: la Cassazione decide

Una società creditrice si vede negare la possibilità di provare l’interruzione della prescrizione perché il documento chiave, un atto di precetto, viene considerato tardivo in appello. La Corte di Cassazione ribalta la decisione, affermando che nei giudizi di opposizione all’esecuzione, la produzione documenti avvenuta nella fase sommaria li rende già acquisiti al processo, consentendone il deposito in appello senza preclusioni.

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Produzione documenti in appello: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2827 del 2024, affronta una questione cruciale nella procedura civile: la produzione documenti nei giudizi di appello, specialmente in quei procedimenti, come l’opposizione all’esecuzione, caratterizzati da una struttura bifasica. La decisione chiarisce che un documento depositato nella fase iniziale (sommaria) non può essere considerato “nuovo” in appello, anche se non ridepositato nella fase di merito di primo grado.

I fatti del caso

Una garante, che aveva concesso un’ipoteca su un suo immobile a garanzia di un mutuo concesso a una società, si opponeva all’espropriazione immobiliare avviata da una società finanziaria creditrice. La garante sosteneva che il credito fosse ormai estinto per prescrizione.

Il Tribunale le dava ragione, affermando che la società creditrice non aveva fornito in giudizio la prova di aver compiuto atti idonei a interrompere il termine di prescrizione. La società creditrice proponeva appello, producendo in quella sede l’atto di precetto notificato alla società debitrice, documento che provava l’interruzione. Tuttavia, la Corte d’Appello confermava la decisione di primo grado, ritenendo tardiva la produzione di tale documento, in quanto vietata dall’art. 345 del codice di procedura civile.

La vicenda processuale è stata complessa, includendo una prima pronuncia della Cassazione che annullava la sentenza per un difetto di contraddittorio, ma il nodo centrale è sempre rimasto lo stesso: il documento che provava l’interruzione della prescrizione era stato prodotto in tempo utile?

L’evoluzione del processo e il nodo della prova

Il cuore del problema risiedeva nella natura del giudizio di opposizione all’esecuzione. Questo tipo di causa ha una struttura definita “bifasica”:

1. Fase Sommaria: Si svolge rapidamente davanti al giudice dell’esecuzione e serve a decidere sulla sospensione dell’esecuzione.
2. Fase di Merito: È un vero e proprio giudizio di cognizione in cui si accerta, in modo pieno ed esauriente, se il diritto del creditore esista o meno.

Nel nostro caso, la creditrice aveva depositato l’atto di precetto nel fascicolo dell’esecuzione (legato alla fase sommaria), ma non lo aveva poi ridepositato nel giudizio di merito di primo grado. Quando lo ha presentato in appello, i giudici lo hanno considerato una prova “nuova” e quindi inammissibile.

Il principio della Cassazione sulla produzione documenti

La Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso della società finanziaria, ha ribaltato questa impostazione. Il ragionamento della Corte si fonda su un principio fondamentale: il procedimento di opposizione, sebbene bifasico, è unitario.

Questo significa che la fase di merito è la prosecuzione di quella sommaria, non un procedimento separato. Di conseguenza, i documenti prodotti nella prima fase si devono considerare già acquisiti agli atti del processo. Non sono prove “nuove” e la loro produzione documenti in appello non è una novità, ma un recupero di materiale probatorio già a disposizione del giudizio.

Le motivazioni della Corte

La Suprema Corte ha fondato la sua decisione su consolidati principi giurisprudenziali, richiamando precedenti importanti come la sentenza n. 26116 del 2021 e la pronuncia delle Sezioni Unite n. 14475 del 2015. Quest’ultima, in particolare, aveva già chiarito, in materia di opposizione a decreto ingiuntivo (un altro procedimento bifasico), che i documenti allegati al ricorso monitorio non possono essere considerati nuovi se prodotti in appello.

La Cassazione ha inoltre ribadito il cosiddetto “principio di non dispersione della prova”. Una volta che una prova è stata ritualmente acquisita al processo, essa deve rimanere a disposizione del giudice per la decisione finale. Impedirne l’utilizzo nelle fasi successive del giudizio, solo perché non materialmente ridepositata, contrasterebbe con i principi del giusto processo e della sua ragionevole durata.

Pertanto, la Corte d’Appello ha errato nel dichiarare inammissibile l’atto di precetto. Avrebbe dovuto, invece, verificare se tale documento fosse stato effettivamente depositato nella fase sommaria e, in caso affermativo, considerarlo pienamente utilizzabile ai fini della decisione, valutandone l’idoneità a interrompere la prescrizione.

Le conclusioni e le implicazioni pratiche

La sentenza rappresenta un importante punto di riferimento per gli operatori del diritto. Stabilisce con chiarezza che nei procedimenti a struttura bifasica, come le opposizioni esecutive, la documentazione prodotta nella fase iniziale entra a far parte del fascicolo processuale in modo stabile.

Le parti non sono tenute a una formale e ripetuta attività di produzione documentale in ogni singola fase. La mancata rideposizione di un documento nel giudizio di merito non ne causa la “scomparsa” dal processo. Questo principio garantisce una maggiore fluidità processuale e tutela il diritto di difesa, evitando che questioni di merito vengano decise sulla base di mere preclusioni formali. La parte che si vede erroneamente negare l’utilizzo di un documento già prodotto ha il diritto di ripresentarlo in appello, senza che ciò possa essere considerato una violazione del divieto di nuove prove.

Un documento prodotto solo nella fase iniziale (sommaria) di un’opposizione all’esecuzione può essere depositato in appello?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, poiché il procedimento di opposizione è unitario, un documento prodotto nella fase sommaria è già acquisito al processo. Pertanto, può essere legittimamente depositato in appello senza essere considerato una prova “nuova” e inammissibile.

Perché un’opposizione all’esecuzione è considerata un procedimento “unitario” nonostante sia divisa in due fasi?
Perché la fase di merito a cognizione piena è la naturale prosecuzione della fase sommaria iniziale. Non sono due giudizi distinti, ma due momenti di un unico percorso processuale volto ad accertare il diritto contestato. Di conseguenza, gli atti compiuti in una fase hanno rilevanza anche nell’altra.

Cosa significa il principio di “non dispersione della prova” citato dalla Corte?
Significa che una prova, una volta che è stata validamente prodotta e acquisita agli atti di un processo, non deve essere “dispersa” o ignorata nelle fasi successive. Deve rimanere nella sfera di cognizione del giudice per tutta la durata del giudizio, in conformità con i principi costituzionali del giusto processo e della sua ragionevole durata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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