Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 8687 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 8687 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8511/2021 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, in persona del Legale Rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentat a e difesa dagli avvocati COGNOME NOME , COGNOME NOME; -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Procuratore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che l a rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 170/2021 depositata il 13/01/2021. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/01/2024
dalla Consigliera NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Nel 2013 la RAGIONE_SOCIALE (oggi RAGIONE_SOCIALE) conveniva in giudizio l’RAGIONE_SOCIALE adducendo di aver subito un gravissimo danno a causa del ritardo con cui era stato connesso alla rete che non gli aveva consentito di beneficiare della tariffa incentivante prevista dall’art. 2 -sexies, co. 1, D.L. n. 3/2010, così come modificato dalla Legge n.129/2010 applicabile all’energia prodotta dagli impianti fotovoltaici realizzati entro il 31 dicembre 2010 ed entrati in servizio entro il 30 giugno 2011.
Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 15721/2015, pur riconoscendo l’inadempimento dell’RAGIONE_SOCIALE affermando che l’allaccio era avvenuto tardivamente il 18 maggio 2012, rigettava tutte le domande di RAGIONE_SOCIALE
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 170/2021 del 19 gennaio 2021, rigettava l’appello principale della RAGIONE_SOCIALE ed accoglieva quello incidentale dell’RAGIONE_SOCIALE ritenendo che nessun ritardo poteva addebitarsi all’RAGIONE_SOCIALE.
Propone ricorso per cassazione, sulla base di cinque motivi RAGIONE_SOCIALE
L’RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso illustrato da memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
5.1. Con il primo motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 88 e 345, co. 3 c.p.c. ai sensi dell’art. 360, 1° co. nn. 3 e 5, c.p.c. per avere la c orte d’ appello, in accoglimento dell’istanza di stralcio di RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE escluso l’ammissibilità della produzione documentale ritenendola nuova o comunque tardiva. Lamenta che la produzione del documento si è resa necessaria in
quanto il giudice di primo grado, pur riconoscendo l’inadempimento da ritardo dell’RAGIONE_SOCIALE, ha ritenuto di non poter accogliere la richiesta di risarcimento del danno promossa dalla ricorrente in quanto anche essa sarebbe stata inadempiente perché non aveva completato l’iter procedurale. Quindi tale documento sarebbe divenuto rilevante e strategico solo a seguito della statuizione del primo giudice giacché l’RAGIONE_SOCIALE non aveva mai contestato alcun inadempimento in capo alla società ma si era limitata a resistere alle doglianze di cui all’atto introduttivo.
Il motivo è inammissibile.
La ricorrente non coglie la ratio decidendi della decisione.
Ai sensi dell’articolo 345, co. 3, c.p.c., è ammissibile la produzione di nuovi documenti in appello a condizione che la parte dimostri di non aver potuto produrli prima per causa a se non imputabile, ovvero che essi -a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado -siano indispensabili per la decisione, purché tali documenti siano a prodotti a pena di decadenza, mediante specifica indicazione nell’atto introduttivo del secondo grado del giudizio.
Il deposito di documenti nuovi in appello non è ammissibile ove la loro mancata produzione in primo grado debba essere attribuita ad una scelta volontaria della parte (Cass. n. 21956/2019).
Ebbene nel caso di specie, correttamente il giudice dell’appello ha dichiarato inammissibile la produzione della ricorrente perché si trattava di un documento che si era formato il 31 dicembre 2010, spedito il 5 gennaio 2011, che avrebbe dovuto essere prodotto nel corso del giudizio di primo grado e con riguardo al quale non è stata allegata alla esistenza di un impedimento alla produzione non imputabile alla parte.
5.2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 360 n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 276
c.p.c. per avere la Corte omesso di esaminare e pronunciarsi in ordine ai motivi di censura della sentenza di appello così come formulati dall’istante ritenendoli potenzialmente assorbiti dalla riconvenzionale promossa dall’RAGIONE_SOCIALE in virtù del principio della ‘ragione più liquida’ ed anche in difetto di motivazione.
Lamenta che le domande formulate nel ricorso d’appello non erano compatibili e/o comunque non potevano essere completamente assorbite con la domanda incidentale.
Il motivo deve essere esaminato congiuntamente al quarto con cui parte ricorrente lamenta la ‘violazione dell’art. 360 n. 5 del c.p.c., omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla mancata declaratoria del risarcimento dei danni da inadempimento contrattuale, omessa decisione su un punto strategico della controversia.
Si suole non avere il Tribunale pronunziato in ordine alle formulate domande di risarcimento del danno per il ritardo imputabile ad RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE
I motivi sono infondati.
Occorre muovere dalla premessa che il principio della ‘ragione più liquida’ si traduce soltanto in una deroga dell’ordine di trattazione delle questioni, come desumibile dall’art. 276 cod. proc. civ., ma non può certo snaturare il carattere devolutivo del sindacato demandato al giudice d’appello. Invero, il suddetto principio risulta ‘desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost., secondo cui la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione, anche se logicamente subordinata, senza necessità di esaminare previamente le altre, imponendosi, a tutela di esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, un approccio interpretativo che comporti la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica e sostituisca il profilo dell’evidenza a quello dell’ordine
delle questioni da trattare ai sensi dell’art. 276 cod. proc. civ. (Cass. Sez. Lav., ord. del 20 maggio 2020, n. 9309).
Va anche evidenziato come l’operatività di tale principio abbia conosciuto, nella giurisprudenza di questa Corte, delle opportune delimitazioni. Si è, in particolare, osservato che se l’art. 276 cod. proc. civ. non prevede alcun ordine di trattazione per le varie questioni di merito (sicché il giudice resta libero di esaminare per prima quella che ritiene, come è d’uso dire, ‘più liquida’), stabilisce una gerarchia rigorosa tra l’esame delle questioni di rito e l’esame di quelle di merito, stabilendo che non possa mai esaminarsi il merito d’una domanda, se prima non vengano affrontate e risolte le questioni pregiudiziali proposte dalle parti o rilevabili d’ufficio (Cass. Sez. 6-3, ord. 26 novembre 2019, n. 30745, Rv. 65617702). Si tratta, del resto, di rilievi, gli ultimi indicati, compiuti da questa Corte persino nella sua massima sede nomofilattica, essendosi affermato che l’art. 276, comma 2, cod. proc. civ., ‘stabilisce un ordine di esame e decisione delle questioni, distinguendo soltanto fra le questioni e, dunque, le eccezioni, pregiudiziali di rito e, genericamente, il «merito», mentre non stabilisce un ordine all’interno dell’esame di quest’ultimo (e, quindi, della pluralità di eccezioni, in ipotesi proposte)’, sicché il giudice, ‘mentre deve necessariamente seguire un criterio di decisione che gli impone di decidere prima le questioni di rito, in quanto esse pregiudicano astrattamente la possibilità di decidere nel merito, viceversa è libero di decidere sul merito, individuando la questione posta a base della decisione’ (così, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 12 maggio 2017, n. 11799, non massimata sul punto; Cass. n. 11816/2021). Orbene, alla stregua di questa configurazione più rigorosa del principio della ‘ragione più liquida’, deve ritenersi che la sua operatività, nell’ambito dei giudizi di appello, non possa contravvenire alla natura pur sempre devolutiva del sindacato ivi destinato a svolgersi. Resta, infatti, fermo che ‘il «thema
decidendi» nel giudizio di secondo grado è delimitato dai motivi di impugnazione, la cui specifica indicazione è richiesta, ex art. 342 cod. proc. civ., per la individuazione dell’oggetto della domanda di appello e per stabilire l’ambito entro il quale deve essere effettuato il riesame della sentenza impugnata’, con la conseguenza che, ‘se il riesame esorbita dai motivi, sussiste la violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato ex art. 112 cod. proc. civ.’ (Cass. Sez. 3, sent. 16 maggio 2003, n. 7629, Rv. 563150-01).
Orbene, nell’impugnata sentenza l a c orte d’Appello ha fatto invero corretta applicazione dei suindicati principi.
L’odierna ricorrente ha infatti c hiesto al giudice di appello di accertare e dichiarare la responsabilità della società RAGIONE_SOCIALE per il ritardato collegamento alla rete elettrica dell’impianto fotovoltaico , e conseguentemente condannarla al pagamento del l’indennizzo e al risarcimento del danno.
Con l’appello incidentale la società RAGIONE_SOCIALE ha chiesto la riforma del capo della sentenza ove risulta individuata la scadenza del termine per l’allaccio alla rete , avendo il Tribunale asseritamente fatto erroneamente decorrere il computo dei 90 giorni dalla data dell’8 marzo 2011 (data di accettazione del preventivo) anziché dalla data del 23 gennaio 2012, corrispondente a quella di conseguimento di tutti i permessi e della documentata indispensabile costituzione della servitù.
Ebbene, correttamente il giudice dell’appello ha esaminato prioritariamente il ricorso incidentale di RAGIONE_SOCIALE, in quanto riformando la sentenza impugnata sul capo del ‘ritardo di RAGIONE_SOCIALE‘ ha eliminato qualunque richiesta di inadempimento e/o risarcimento e/o indennizzo di RAGIONE_SOCIALE rimaste assorbite.
5.3. Con il terzo motivo COGNOME denuncia la violazione dell’art. 360 n. 3 e n. 5 del c.p.c. in relazione agli art. 6, 7 e 8 dell’All. A
della delibera dell’AEREE 99/08 denominato Testo integrato delle Connessione Attive (di seguito TICA).
Lamenta l’erronea interpretazione delle norme e omessa motivazione per avere la Corte acriticamente accolto la domanda incidentale dell’RAGIONE_SOCIALE ritenendo corretto il termine da cui far decorrere i 90 giorni, previsti dagli artt. 6, 7 e 8 del citato allegato, per l’allaccio alla rete.
Il motivo è inammissibile.
Le censure sollevate mirano esclusivamente ad accreditare una ricostruzione della vicenda e, soprattutto, un apprezzamento delle prove raccolte del tutto divergente da quello compiuto dai giudici di merito. E’ noto, infatti, che nel giudizio di legittimità non sono proponibili censure dirette a provocare una nuova valutazione delle risultanze processuali, diversa da quella espressa dal giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze che ritenga più attendibili ed idonee nella formazione dello stesso, essendo sufficiente, al fine della congruità della motivazione del relativo apprezzamento, che da questa risulti che il convincimento nell’accertamento dei fatti su cui giudicare si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi probatori acquisiti. Non essendo questa Corte giudice sul fatto, il ricorrente non può pertanto limitarsi a prospettare una lettura delle prove ed una ricostruzione dei fatti diversa da quella compiuta dal giudice di merito, svalutando taluni elementi o valorizzando altri ovvero dando ad essi un diverso significato, senza dedurre specifiche violazioni di legge ovvero incongruenze di motivazione tali da rivelare una difformità evidente della valutazione compiuta dal giudice rispetto al corrispondente modello normativo. Questa Corte ha invero già avuto modo, anche di recente, di osservare che il vizio di motivazione può essere dedotto in sede di legittimità e sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulti dalla sentenza, sia riscontrabile il deficiente esame di punti decisivi
della controversia e non può, invece, consistere in un apprezzamento in senso difforme da quello preteso dalla parte come nel caso di specie.
5.4. Con il quinto motivo, COGNOME denuncia la violazione dell’art. 360 n.n. 3 e 5 del c.p.c. in relazione agli artt. 91 e 92, 2 co., c.p.c.. Violazione di legge e omessa motivazione.
Lamenta che il giudice nel condannare alle spese deve tenere conto del quadro generale del giudizio, della condotta processuale delle parti, nonché, come accaduto nel caso di specie, del sopravvenuto mutamento dei termini della controversia senza che nulla possa addebitarsi alle parti.
Il motivo è infondato.
A fondamento della condanna alle spese di lite vi è il principio di tutela dell’effettività del diritto di difesa (art. 24 Cost.): la parte vittoriosa infatti non deve essere gravata delle spese sostenute per la causa, altrimenti subirebbe un danno economico per il solo fatto di aver agito in giudizio per il riconoscimento di un proprio diritto. Finché però la causa è pendente, e il diritto incerto, il carico delle spese deve essere anticipato da ciascuna delle parti, e solo al momento della definizione della pretesa giuridica, le spese che la parte vittoriosa ha anticipato, devono esserle restituite dalla parte che ha perso la causa.
L’art. 91 c.p.c. disciplina il principio generale di soccombenza, secondo cui il giudice condanna la parte che ha perso la causa al pagamento delle spese legali, che liquida in sentenza. Prevede subito dopo l’eccezione al principio generale, per il caso in cui il giudice ha formulato in corso di causa una proposta conciliativa, e una parte l’ha rifiutata senza giustificato motivo. In questo caso il principio di soccombenza trova una deroga parziale, e le spese legali dell’attività successiva alla proposta conciliativa sono poste a carico della parte che l’ha rifiutata, anche se fosse la parte vittoriosa.
L’art. 92 c.p.c., invece, stabilisce ulteriori deroghe al principio generale della soccombenza, consentendo al giudice di non porre le spese a carico del soccombente quando sono eccessive o superflue, e quando la parte vittoriosa ha violato i doveri di lealtà e probità nel processo.
I commi 2 e 3 dello stesso articolo disciplinano la compensazione delle spese, ovvero del caso in cui ciascuna parte sostiene le proprie spese legali. Il giudice può dunque decidere di compensare le spese tra le parti quando vi è soccombenza reciproca, quando la questione trattata è assolutamente nuova, o vi è mutamento della giurisprudenza sulle questioni dirimenti, oppure infine nel caso di conciliazione della causa.
Il giudice dell’appello ha deciso secondo il principio della soccombenza
7. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di legittimità, che liquida in complessivi euro 10.200,00, di cui euro 10.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte suprema di Cassazione in data 9 gennaio 2024
Il Presidente NOME COGNOME