Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19241 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 19241 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 12/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 15584-2019 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, INDIRIZZO, nello studio del dott. NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO. AVV_NOTAIO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE
– intimata – avverso la sentenza n. 641/2019 della CORTE DI APPELLO di TORINO, depositata il 11/04/2019;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 4.5.2016 NOME NOME proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 513/2016, emesso dal
Tribunale di Asti, con il quale gli era stato ingiunto il pagamento, in favore di RAGIONE_SOCIALE, della somma di € 157.586,02 oltre accessori, a titolo di saldo di una fornitura di merce eseguita dalla predetta società in favore di RAGIONE_SOCIALE liquidazione, giusta scrittura di riconoscimento di debito e promessa di pagamento sottoscritta dal debitore opponente in data 5.5.2015.
Con sentenza n. 47/2018 il Tribunale di Asti rigettava l’opposizione, confermando il decreto ingiuntivo opposto.
Con la sentenza impugnata, n. 641/2019, la Corte di Appello di Torino rigettava il gravame interposto dall’odierno ricorrente avverso la decisione di prima istanza, confermandola.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione COGNOME NOME, affidandosi a cinque motivi.
La società intimata, RAGIONE_SOCIALE, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la parte ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente affermato che l’originale della scrittura di riconoscimento del 5.5.2016, che era stata prodotta soltanto in copia e disconosciuta in prime cure, e che era stata invece allegata in originale all’atto di appello, costituisse documento nuovo, inammissibile in seconda istanza.
Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia invece la violazione o falsa applicazione dell’art. 16 -bis del D.L. n. 179 del 2012 e dell’art. 345 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto tardiva la produzione dell’originale del documento, perché eseguita all’udienza fissata ai sensi dell’art. 351 c.p.c. e non con l’atto introduttivo del giudizio di seconda istanza.
Con il terzo motivo, la parte ricorrente si duole ancora della violazione o falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto nuova la produzione, in appello, dell’originale di un documento che il COGNOME non aveva potuto acquisire, in precedenza, senza sua colpa.
Con il quarto motivo, inoltre, denunzia l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., perché la Corte distrettuale non avrebbe considerato che la sottoscrizione apposta in calce alla scrittura del 5.5.2015 era stata disconosciuta dal NOME.
Le quattro censure, suscettibili di essere esaminate congiuntamente, sono infondate.
La Corte di Appello, dopo aver affermato erroneamente che il principio secondo cui ‘I n tema di appello, non costituisce nuova produzione ai sensi dell’art. 345, comma 3, c.p.c. il deposito in originale di un documento la cui copia è stata prodotta nel giudizio di primo grado, trattandosi della regolarizzazione formale del precedente deposito tempestivamente avvenuto’ (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1366 del 26/01/2016, Rv. 638327) si applicherebbe al solo caso in cui sia la stessa parte, che aveva prodotto il documento in copia in primo grado, a produrlo poi, in appello, in originale, e non invece al caso, diverso, in cui sia altra parte a sanare il difetto suindicato (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata), ha aggiunto che ‘In ogni caso, tale documento è anche irrilevante ai fini del decidere, in quanto il primo giudice non ha fondato la decisione sullo stesso, ma sul fatto che COGNOME aveva dimostrato che il COGNOME aveva rilasciato fideiussione’ (cfr. pag. 8 della sentenza).
Con tale decisivo passaggio della motivazione, l’affermazione iniziale della Corte distrettuale, oggettivamente erronea perché non tiene conto del principio secondo cui il materiale istruttorio che
viene acquisito agli atti del giudizio di merito non costituisce appannaggio esclusivo della parte che lo abbia prodotto, ma piuttosto patrimonio comune, alle parti ed al giudice, sulla cui base dev’essere apprezzata la fondatezza delle rispettive tesi difensive in proposito, va ribadito infatti che ‘In tema di ripartizione dell’onere probatorio, il principio, secondo cui l’onere della prova incombe a colui che allega i fatti posti a base della domanda o dell’eccezione, non e operante, ai fini della decisione della controversia, quando il giudice possa desumere il proprio convincimento in ordine alla verità dei fatti stessi dagli elementi probatori acquisiti al processo, da chiunque forniti’ : Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1059 del 20/03/1975, Rv. 374478; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 3176 del 10/11/1971, Rv. 354564 -viene superata, giacché comunque si rinviene, nel percorso motivazionale seguito dal giudice di merito, un apprezzamento circa l’irrilevanza del documento di cui si discute ai fini della decisione.
Nel prosieguo della motivazione, peraltro, la Corte di Appello evidenzia che, nel caso specifico, le dichiarazioni dei testimoni escussi in primo grado avevano confermato che il COGNOME, interessato ad evitare il fallimento della RAGIONE_SOCIALE, società a vario titolo legata ad altre società che a lui facevano capo, aveva manifestato la volontà di garantire i debiti di detta società, costituendosi garante della stessa nei confronti dei creditori, tra cui anche RAGIONE_SOCIALE (cfr. pagg. 11 e 12 della sentenza impugnata). La configurazione, dunque, di un’obbligazione di garanzia assunta dal COGNOME nell’interesse della RAGIONE_SOCIALE, debitrice originaria di RAGIONE_SOCIALE, non deriva dalla scrittura di riconoscimento del debito e promessa di pagamento, prodotta solo in copia in prime cure, disconosciuta e depositata poi in originale in appello, bensì da un complessivo apprezzamento delle risultanze istruttorie, che appare congruamente motivato e si sottrae, pertanto, a censure in sede di legittimità.
Sulla base di tali considerazioni, può essere superata l’erronea affermazione iniziale della Corte di Appello, che non considera il fatto che, una volta che il documento sia stato comunque acquisito agli atti del giudizio di merito, il giudice è investito del poteredovere di valutarlo, ai fini della decisione, dovendosi dare continuità, sul punto, al principio secondo cui ‘ Il giudice può, ai fini della decisione, valorizzare un documento in senso sfavorevole alla parte che lo ha prodotto nonostante che la parte medesima abbia dichiarato di non volersi più avvalere di esso. Ed invero, l’utilizzazione di tale documento non soltanto non importa vizio di extrapetizione, il quale riguarda soltanto lo ambito oggettivo della pronunzia e non anche le ragioni di diritto e di fatto assunte a sostegno della decisione, ma risponde anche al principio per cui il giudice e libero di utilizzare tutto il materiale probatorio ritualmente acquisito agli atti e può, quindi, trarre elementi di prova in danno di una parte dalle risultanze istruttorie acquisite su iniziativa di questa, ancorché la parte medesima dichiari di non volersi più avvalere di tale risultanze’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1397 del 21/04/1976, Rv. 380109). E’ infatti opportuno ribadire che la ‘L a vincolatività del potere dispositivo delle parti attiene al momento delle allegazioni e non e suscettibile di interferenza con il potere del giudice di valutare, nel successivo momento selettivo ed interpretativo, le fonti acquisite, salvo che l’esercizio di quest’ultimo potere costituisca il presupposto di un diverso errore in procedendo (ultra od extrapetizione; omissione di pronuncia)’ (Cass. Sez. U, Sentenza n. 3380 del 13/12/1973, Rv. 367313; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3387 del 22/11/1971, Rv. 354939). Di conseguenza, nella fattispecie era del tutto irrilevante, ai fini dell’ammissibilità della produzione in appello dell’originale della scrittura del 5.5.2015, il fatto che detto originale fosse stato prodotto in seconda istanza da una parte diversa da quella che, in prime cure, ne aveva allegato una fotocopia. Quel che rilevava,
infatti, è che il documento fosse stato comunque acquisito agli atti del giudizio di primo grado (fatto indiscusso), poiché in tale ipotesi il deposito dell’originale in appello non integra una nuova produzione, preclusa dall’art. 345 c.p.c., trattandosi, piuttosto, di mera regolarizzazione di un errore formale.
Una volta affermata l’irrilevanza della scrittura del 5.5.2015 ai fini della decisione, diviene non decisiva la censura di cui al secondo motivo, concernente il momento processuale in cui l’originale di detto documento era stato prodotto in appello, e le modalità con le quali detta produzione era, in concreto, avvenuta.
Stesso dicasi per la terza doglianza, con la quale si contesta, in sostanza, la mancata valorizzazione, da parte della Corte di Appello, del fatto che il NOME non aveva potuto acquisire, senza sua colpa, la disponibilità dell’originale del documento di cui discute prima del momento in cui lo aveva prodotto. E così anche per il quarto motivo, con il quale il ricorrente si duole del mancato rilievo, da parte del giudice di seconde cure, del fatto che egli aveva disconosciuto la firma apposta, a suo nome, sulla scrittura di cui si discute.
Con il quinto ed ultimo motivo, infine, il ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte territoriale avrebbe ritenuto provata, con motivazione apodittica e apparente, l’assunzione dell’obbligo di garanzia da parte del NOME.
La censura è infondata, in quanto la Corte distrettuale dà atto delle ragioni per le quali, a prescindere dalla scrittura di riconoscimento del debito e promessa di pagamento che il NOME aveva disconosciuto, ha comunque ritenuto provata l’assunzione, da parte del predetto, dell’obbligazione di garanzia in relazione al debito originariamente contratto da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE La motivazione della sentenza impugnata non è, sul punto, viziata da apparenza o manifesta illogicità, ed è idonea
ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dar atto dell’iter logico -argomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830, nonché, in motivazione, Cass. Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023, Rv. 666639).
In definitiva, il ricorso va rigettato.
Nulla per le spese, in assenza di svolgimento di attività difensiva da parte intimata nel presente giudizio di legittimità.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
PQM
la Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda