Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 9753 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 9753 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 11/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8860 R.G. anno 2021 proposto da:
COGNOME NOME E COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME, COGNOME NOME E COGNOME NOME;
ricorrente
contro
BANCA CARIGE SPA RAGIONE_SOCIALE , elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che l a rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME;
contro
ricorrente avverso la SENTENZA n. 446/2020 emessa da CORTE D’APPELLO MESSINA.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 febbraio 2024 dal consigliere relatore NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. Il Tribunale di Patti, con sentenza del 24 novembre 2016, n. 766, ha accolto l’opposizione proposta da Banca RAGIONE_SOCIALE avverso il decreto ingiuntivo pronunciato su istanza di NOME COGNOME e NOME COGNOME per la somma di € 145.000,00 : somma prelevata dal conto corrente a loro intestato a mezzo di un funzionario dell’istituto di credito ; il suddetto importo, secondo gli ingiungenti, avrebbe dovuto essere investito in fondi obbligazionari e poi restituito ai correntisti. Il Tribunale ha ritenuto non provati i fatti allegati dagli intimanti opposti.
2. La Corte di appello di Messina, con sentenza del 2 novembre 2020, ha rigettato l’appello proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME; ha ritenuto che: nel ricorso per decreto ingiuntivo i ricorrenti avevano indicato di aver prodotto la «documentazione in originale riportata nell’indice del fascicolo », mentre in detto fascicolo non erano contenuti scritti, salvo due note spese identiche; nella comparsa di risposta gli opposti si erano limitati a dichiarare che «si produce ut sopra il fascicolo di parte della fase monitoria, D.I. e copia dell’atto di citazione in opposizione», senz ‘ altro specificare; il fascicolo del procedimento monitorio, depositato in appello, conteneva bensì un elenco di documenti prodotti, ma era sottoscritto soltanto dal difensore, non dal cancelliere; in definitiva, i documenti dei correntisti erano stati prodotti solo in grado di appello, e dunque tardivamente; in particolare, non vi era prova che tali documenti costituissero corredo del ricorso monitorio; la mancata risposta all’interrogatorio formale del legale rappresentante della banca andava valutata, ai fini dell’ammissione dei fatti dedotti nell’interrogatorio, unitamente ad altri elementi di prova, nel caso in esame del tutto assenti.
Avverso questa sentenza ricorrono per cassazione NOME COGNOME e NOME COGNOME, sulla base di due motivi, cui resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE.
E’ stata formulata , da parte del Presidente della sezione, una proposta di definizione del giudizio a norma dell’art. 380bis c.p.c.. A fronte di essa, la difesa della parte ricorrente ha domandato la decisione della causa e ha poi depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La proposta ha il tenore che segue.
«l primo motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 232 c.p.c., oltre ad omesso esame, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c. in quanto la Corte territoriale non ha ritenuto provata la domanda sulla base della documentazione in atti, la quale dimostrava l’esistenza del rapporto di mandato tra i correntisti e la banca, né ha tenuto conto della dichiarazione confessoria della banca stessa, laddove confermava l’esistenza del rapporto in questione, così rigettando la domanda per carenza di prova; invece, dagli atti processuali si evince la prova per l’accoglimento delle domande dei correntisti; erra, inoltre, la sentenza impugnata, laddove ritiene che la mancata risposta all’interrogatorio formale ─ richiesto in primo grado dalla banca e ammesso dal giudice come prova orale che avrebbe corroborato le evidenze in atti ─ dovesse valutarsi unitamente ad altri elementi di prova, perché la mancata risposta è ulteriore elemento di prova a sostegno delle domande dei ricorrenti che risultano, dunque, pienamente provate;
«il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 163, comma 3, n. 5, 165 e 345 c.p.c., 77 disp. att. c.p.c., ed omesso esame di fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., in quanto la sentenza impugnata ha omesso di esaminare i documenti ritualmente prodotti in appello ed ha ritenuto che non fossero stati già depositati al momento del ricorso monitorio,
sebbene la banca, nel costituirsi in appello, non aveva contestato alcunché, onde la Corte d’appello avrebbe dovuto esaminare tale documentazione ed accogliere la domanda;
«ritenuto che:
«i motivi sono inammissibili, in quanto ripropongono un giudizio sul fatto, senza censurare e confrontarsi con la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale ha ritenuto, con accertamento concreto, non prodotti tempestivamente i documenti, depositati solo in appello, e quindi infondata la domanda per carenza probatoria;
« invero, i motivi, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge e di omesso esame circa un fatto decisivo, mirano ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. Sez. U. 27 dicembre 2019, n. 34476), non considerando il principio consolidato, per il quale invece il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento dagli atti del processo e dalle vicende occorse, essendo sufficiente che egli esponga gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione (Sez. 5, n. 29730 del 29.12.2020, Sez. 5, n. 3104 del 9.2.2021);
« inoltre, il motivo di violazione dell’art. 115 c.p.c. difetta di specificità, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., neppure riportando i passaggi degli atti avversi, dai quali pretende di desumere una non contestazione;
« si ricorda pure che la violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, e che, analogamente, la violazione dell’art. 116 c.p.c. è idonea a integrare il vizio di cui all’art. 360, comma
1, n. 4, c.p.c. solo quando il giudice di merito abbia disatteso il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale, e non per lamentare che lo stesso abbia male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova (Sez. 3, 28.2.2017, n. 5009; Sez. 2, 14.3.2018, n. 6231);
« quanto al preteso vizio di violazione dell’art. 232 c.p.c., esso non ricollega affatto automaticamente alla mancata risposta all’interrogatorio formale, per quanto ingiustificata, l’effetto della confessione, ma riconosce al giudice soltanto la facoltà di ritenere come ammessi i fatti dedotti con il mezzo istruttorio, purché concorrano altri elementi di prova, secondo il suo libero apprezzamento non sindacabile in Cassazione (Cass. 2 ottobre 2020, n. 21006; Cass. 22 novembre 2019, n. 30519; Cass. 18 aprile 2018, n. 9436)».
2. Il Collegio reputa condivisibili tali rilievi.
Va osservato, in aggiunta, che i due mezzi di censura pongono questioni di natura processuale, che avrebbero dovuto prospettarsi facendo valere il vizio di cui all’art. 360, n. 4, c.p.c. o, comunque, facendo univoco riferimento alla nullità del procedimento o della decisione determinata dal vizio lamentato (cfr. Cass. Sez. U. 24 luglio 2013, n. 17931; Cass. 7 maggio 2018, n. 10862).
Si evidenzia, inoltre, che il fascicolo del procedimento monitorio era carente di un elenco dei documenti, prodotti col ricorso per ingiunzione, recante la sottoscrizione del cancelliere (prevista dall’art. 74 disp. att. c.p.c.) (cfr. sentenza impugnata, pag. 4). A fronte di ciò, non vale opporre che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in mancanza di contestazione sull’esibizione o sui documenti , l’omissione della sottoscrizione dell’indice del fascicolo da parte del cancelliere costituisce mera irregolarità formale, che non preclude l’utilizzazione dei documenti medesimi ai fini del giudizio (per tutte: Cass. 2 marzo 2007, n. 4898). Emerge, infatti, che tra gli allegati al fascicolo del giudizio di opposizione della parte convenuta, depositati al momento
della costituzione di questa, non compariva il fascicolo contenente i documenti prodotti nella fase ingiuntiva del procedimento; tale fascicolo non risulta essere stato depositato nemmeno nei termini e di cui all’art. 183, comma 6, c.p.c. (cfr. pag. 5 della sentenza di appello, ove è precisa menzione di un rilievo formulato dal Giudice di primo grado). Correttamente la Corte di appello ha dato atto della tardività della produzione dei documenti. Se il fascicolo fosse stato munito della sottoscrizione del cancelliere di cui all’art . 74, comma 3, disp. att. c.p.c., vi sarebbe stata certezza quanto al fatto che i documenti indicati nell’elenco erano stati prodotti tempestivamente (in particolare: prima della pronuncia del decreto) e avrebbe dovuto farsi applicazione del principio per cui i documenti allegati alla richiesta di decreto ingiuntivo e rimasti a disposizione della controparte, agli effetti dell’art. 638, terzo comma, c.p.c., seppur non prodotti nuovamente nella fase di opposizione, rimangono nella sfera di cognizione del giudice di tale fase, in forza del principio «di non dispersione della prova» ormai acquisita al processo, e non possono perciò essere considerati nuovi (Cass. Sez. U. 10 luglio 2015, n. 14475). Mancando detta sottoscrizione, l’indicata certezza è insussistente; né può credersi che la parte opposta fosse tenuta a contestare la mancata produzione dei documenti annotati nell’indice non firmato dal cancelliere, visto che al momento in cui COGNOME e COGNOME si costituirono (e anche successivamente) il fascicolo contenente i documenti non era stato depositato: talché la banca non poteva che ignorarli.
Il ricorso è quindi dichiarato inammissibile.
Le spese processuali seguono la soccombenza.
─ Poiché il giudizio è definito in conformità della proposta, va disposta condanna della parte istante a norma dell’art. 96, comma 3 e comma 4, c.p.c.. Le dette disposizioni, cui fa rinvio l’art. 380bis c.p.c., sono difatti immediatamente applicabili giusta il comma 1 dell’art. 35 del d,lgs. n. 149/2022 ai giudizi ─ come quello in esame ─ introdotti
con ricorso già notificato alla data del 1° gennaio 2023 e per i quali non è stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio (Cass. Sez. U. 27 settembre 2023, n. 27433, in motivazione).
Vale, poi, rammentare quanto segue: in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380bis , comma 3, c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022) ─ che, nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 c.p.c. ─ codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché il non attenersi ad una valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente (Cass. Sez. U. 13 ottobre 2023, n. 28540).
In tal senso, la parte ricorrente va condannata, nei confronti di quella controricorrente, al pagamento della somma equitativamente determinata di € 6.000,00, oltre che al pagamento dell’ulteriore somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
La Corte
dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in € 200,00, ed agli accessori di legge; condanna parte ricorrente al pagamento della somma di € 6.000,00 in favore della parte controricorrente, e di una ulteriore somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione