Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5717 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 5717 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/03/2025
Oggetto: contratti bancari
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2722/2021 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore , rappresentata e difesa da ll’ avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa da ll’ avv. NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli n. 3959/2020, depositata il 23 novembre 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 febbraio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli, depositata il 23
novembre 2020, che, in riforma della sentenza del locale Tribunale, ha accertato il suo credito nei confronti della Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. nella minor somma di euro 245.975,08, oltre interessi dalla data della domanda giudiziale;
la Corte di appello ha riferito che la domanda originaria della società aveva a oggetto l’accertamento della nullità delle clausole dei contratti di mutuo stipulati con la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. aventi a oggetto la determinazione degli interessi per usurarietà e per applicazione del tasso di cambio Lira -ECU e delle clausole di due rapporti di conto corrente instaurati con la medesima banca aventi a oggetto la applicazione degli interessi per indeterminazione degli stessi, in quanto individuati con riferimento al cd. «uso su piazza», e in violazione del divieto di anatocismo, e la conseguente condanna della banca alla restituzione di quanto indebitamente riscosso;
-ha dato atto che il giudice di prime cure, disattesa l’eccezione di prescrizione sollevata dalla banca convenuta e respinta la domanda relativa ai rapporti di mutuo, aveva accertato l’indebita annotazione a debito delle dedotte poste e condannato la banca alla restituzione dei relativi importi, quantificato in euro 1.759.489,01, oltre interessi a decorrere dalla data della domanda;
-ha, quindi, parzialmente accolto il gravame della banca evidenziando che la posta di euro 1.513.513,93, ritenuta dal Tribunale quale versamento effettuato dalla correntista, costituiva, in realtà, un giroconto operato al fine di consentire la chiusura del conto e il passaggio del relativo saldo a sofferenza e, dunque, non poteva considerarsi quale importo indebitamente riscosso dalla banca e da restituirsi alla correntista, e rideterminando, di conseguenza, l’importo restitutorio nella differenza tra l’importo accertato dal giudice di primo grado e tale importo;
il ricorso è affidato a cinque motivi;
resiste con controricorso la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a.;
la ricorrente deposita memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.;
CONSIDERATO CHE:
-con il primo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione degli artt. 112, 183 184 e 198, secondo comma, cod. proc. civ. e 50 t.u.b., per aver la Corte di appello attribuito rilevanza all’estratto conto redatto dalla banca ai sensi dell’art. 50 t.u.b., peraltro ritenuto dalla stessa banca incompleto, ritenuto erroneamente che le risultanze di tale estratto conto non fossero state specificamente contestate e preso in esame documenti prodotti dalla banca successivamente allo spirare delle preclusioni istruttorie previste per il giudizio di primo grado;
il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato;
deve rammentarsi che il principio della corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato, di cui è espressione l’art. 112 cod. proc. civ., implica unicamente il divieto, per il giudice, di attribuire alla parte un bene non richiesto o, comunque, di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda e deve ritenersi violato solo quanto il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri uno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione ( petitum e causa petendi ), attribuendo o negando ad uno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nell’ambito della domanda o delle richieste delle parti (cfr. Cass. 3 luglio 2019, n. 17897; Cass. 13 novembre 2018, n. 29200; Cass. 17 gennaio 2018, n. 906);
tale vizio non è, dunque, astrattamente configurabile laddove si deduca che il giudice abbia erroneamente ritenuto che una prova sia stata ritualmente offerta dalle parti o sia dotata di valenza probatoria, attenendo tale valutazione all’ammissibilità e rilevanza dei mezzi di
prova e non a elementi che concorrono alla individuazione del petitum e la causa petendi ;
inammissibile è, altresì, la doglianza nella parte in cui censura la mancata valutazione della contestazione operata dall’attrice alle risultanze dell’estratto conto, ritenuta dai giudic i di merito inesistente, atteso che l’ accertamento della sussistenza di una contestazione ovvero d’una non contestazione, rientrando nel quadro dell’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza dell’atto della parte, è funzione del giudice di merito, non sindacabile in cassazione per violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. (Cass. 7 febbraio 2019, n. 3680; Cass. 28 ottobre 2019, n. 27490);
quanto, infine, alla dedotta violazione delle regole previste per la ammissibilità dei documenti, in relazione alla inosservanza dei termini decadenziali previsti da (previgente) art. 184 cod. proc. civ., si rileva che la Corte di appello, pur riconoscendo che tali documenti erano stati tardivamente prodotti, ha, nella sostanza, ritenuto che, trattandosi di un’azione di ripetizione di indebito, fosse onere dell’attrice e non della banca convenuta -dimostrare il carattere indebito dei pagamenti effettuati e che la produzione documentale tardiva trovava giustificazione nell’esigenza di consentire un appropriato e completo svolgimento delle operazioni consulenziali, in relazione a un primo elaborato che si presentava «deficitario», omettendo « l’analisi analitica del c.d. partitario interno, tenendo conto della natura della sua costituzione, delle movimentazioni in esso registrate dall’aper tura alla chiusura e della destinazione del saldo, se conforme o meno agli assunti della Banca»;
-la Corte territoriale ha aggiunto che scopo dell’accertamento demandato al consulente era «di tener conto di tutta la documentazione … prodotta dalla Banca in sede di operazioni peritali, al fine di accertare la natura e la provenienza dei fondi oggetto di giroconto» e che per tale ragione il consulente è stato invitato a
fornire gli opportuni chiarimenti;
orbene, si osserva, in proposito, che il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza del contraddittorio delle parti, può acquisire, anche prescindendo dall’attività di allegazione delle parti, tutti i documenti che si rende necessario acquisire al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, laddove non diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda e delle eccezioni che è onere delle parti provare (cfr. Cass., Sez. Un., 1° febbraio 2022, n. 3086);
nel caso in esame, la documentazione tardivamente prodotta dalla banca non risulta essere finalizzata a dimostrare un fatto principale o un’eccezione non rilevabile d’ufficio, ma si risolve in una mera difesa; – ne consegue che la produzione documentale effettuata dalla banca nel corso delle operazioni consulenziali è stata correttamente ritenuta ammissibile in quanto finalizzata a un accertamento riguardante il fatto costitutivo della pretesa il cui onere non gravava sulla banca e, interessati dalle
comunque, rientrava nell’ambito degli accertamenti allegazioni delle parti;
le considerazioni da ultimo espresse con riferimento a tale profilo di doglianza conducono a ritenere infondato il secondo motivo, vertente su analoga questione, con cui la ricorrente deduce, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 345 cod. proc. civ., per aver la Corte di appello ritenuto ammissibile la documentazione prodotta tardivamente dalla banca;
con il terzo motivo la ricorrente denuncia , con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., per aver la Corte di appello disposto una nuova consulenza tecnica d’ufficio e un successivo «chiarimento e integrazione», consentendo che l’indagine prendesse in esame anche la documentazione prodotta tardivamente dalla
banca;
il motivo è inammissibile;
per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., occorre denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio, fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio (cfr. Cass., Sez. Un., 30 settembre 2020, n. 20867);
parte ricorrente non ha assolto a un siffatto onere, in quanto si è limitata a dedurre che tali prove erano state tardivamente prodotte e, in quanto tali, erano inammissibili, riconoscendo espressamente che le stesse erano state introdotte nel giudizio, seppur irritualmente;
sotto altro profilo può osservarsi che rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di disporre indagini tecniche suppletive o integrative, di sentire a chiarimenti il consulente sulla relazione già depositata ovvero di rinnovare, in parte o in toto , le indagini, sostituendo l’ausiliare del giudice, e l’ esercizio di tale potere non è sindacabile in sede di legittimità per violazione di legge (cfr. Cass. 24 gennaio 2019, n. 2103; Cass. 30 marzo 2010, n. 7622; Cass. 17 dicembre 2009, n. 26499);
con il quarto motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli art. 2697, primo comma, 2710 o 2733 cod. civ., per aver la sentenza impugnata omesso di considerare che le annotazioni presenti nella documentazione contabile della banca -e, per l’esattezza, l’azzeramento del conto mediante giroconto -avevano valore di confessione, per cui assolveva la correntista dal l’onere di dimostrare la correttezza dell’annotazione a suo favore;
il motivo è inammissibile;
la censura investe la questione, attenente alla natura confessoria
delle risultanze presenti nella contabilità della banca, di cui non vi è cenno nella sentenza impugnata e, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, la parte è tenuta ad allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di specificità del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio (cfr. Cass. 9 agosto 2018, n. 20694; Cass. 13 giugno 2018, n. 15430);
parte ricorrente non ha assolto a un siffatto onere;
-con l’ultimo motivo la ricorrente critica la sentenza di appello per violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 122, 183, 184 e 245 cod. proc. civ. e 2697 e 2710 cod. civ., nella parte in cui ha ritenuto sufficientemente dimostrata la natura meramente contabile del giroconto in oggetto e, dunque, la sua non riconducibilità a un versamento operato dalla correntista;
il motivo è inammissibile;
la doglianza si risolve in una critica alla valutazione degli elementi istruttori operata dal giudice di merito che non è sindacabile in questa sede sotto il paradigma della violazione o falsa applicazione della legge (cfr. Cass., Sez. Un., 27 dicembre 219, n. 34476);
per le suesposte considerazioni, pertanto, il ricorso non può essere accolto;
le spese del giudizio seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi
euro 15.000,00, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, euro 200,00 per esborsi e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , t.u. spese giust., dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 14 febbraio 2025.