Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 24769 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 24769 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 38446/2019 r.g. proposto da:
COGNOME NOME E COGNOME NOME, entrambi rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale allegata al ricorso, d all’AVV_NOTAIO, presso il cui studio elettivamente domiciliano in Messina, alla INDIRIZZO.
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE; SOCIETÀ RAGIONE_SOCIALE, quale procuratrice di RAGIONE_SOCIALE
-intimate al quale risulta abbinato quello proposto da:
COGNOME NOME E COGNOME, entrambi rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale allegata al ricorso, d all’AVV_NOTAIO, presso il cui studio elettivamente domiciliano in Messina, alla INDIRIZZO.
contro
RAGIONE_SOCIALE; SOCIETÀ RAGIONE_SOCIALE, quale procuratrice di RAGIONE_SOCIALE
-intimate –
avverso la sentenza, n. cron. 1012/2018, della CORTE DI APPELLO DI MESSINA, pubblicata il giorno 13/11/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno
11/09/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con atto ritualmente notificato NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME citarono la ex Banca Popolare di Lodi (poi oggi RAGIONE_SOCIALE) innanzi al Tribunale di Messina chiedendone la condanna alla restituzione di tutte le somme illegittimamente corrispostele, oltre al risarcimento dei danni conseguenti alla illegittimità della determinazione del tasso di interesse, nonché della capitalizzazione trimestrale operata sul conto corrente intrattenuto dalla COGNOME presso l’istituto bancario, oltre all’applicazione di un tasso di interesse superiore al tasso soglia fissato dalla normativa antiusura.
1.1. Si costituì la Banca convenuta, contestando le avverse pretese, di cui chiese il rigetto, e formulando domanda riconvenzionale volta a sentire condannare gli attori al pagamento, in proprio favore, di € 42.450,45 corrispondente al saldo debitore maturato su quel conto alla data del 31 dicembre 2001.
1.2. La stessa banca, peraltro, con separato ricorso, chiese ed ottenne dal predetto tribunale, in danno dei menzionati attori, un’ingiunzione di pagamento per l’importo suddetto .
1.2.1. NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME proposero opposizione, ex art. 645 cod. proc. civ., avverso quel decreto, motivata dalle medesime argomentazioni poste a
base del precedente processo, e nel conseguente giudizio si costituì RAGIONE_SOCIALE, acquirente in blocco dei crediti di RAGIONE_SOCIALE.
1.3. Riuniti i descritti procedimenti ed espletata una c.t.u. contabile volta alla ricostruzione dei rapporti dare avere tra le parti, il menzionato tribunale: i ) con sentenza non definitiva n. 863/2010, previa dichiarazione di nullità della clausola di convenzione degli interessi con riferimento alle condizioni praticate usualmente dalle agenzie di credito, di nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi e della commissione di massimo scoperto, rigettò la domanda di risarcimento proposta dagli attori e rimise la causa sul ruolo disponendo il richiamo del c.t.u. perché ricostruisse il saldo debitore del conto corrente applicando il tasso di interesse legale ad eliminando l’applicazione della commissione di massimo scoperto e di ogni genere di capitalizzazione degli interessi; ii ) con successiva sentenza definitiva n. 39/2011, poi, revocò il decreto ingiuntivo e condannò RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore della correntista, della somma di € 48.332,24, compensando per metà le spese di giudizio.
Avverso entrambe tali sentenze propose gravame RAGIONE_SOCIALE, quale procuratrice di RAGIONE_SOCIALE, e nel corrispondente procedimento si costituirono NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, eccependo, pregiudizialmente, l’inammissibilità dell’avversa impugnazione perché notificata presso il difensore della COGNOME in primo grado anziché agli eredi della stessa, atteso che quest’ultima era deceduta da tempo, altresì evidenziando che NOME NOME e NOME COGNOME avevano già rinunciato alla sua eredità. Lamentarono, inoltre, il mancato accoglimento, da parte del tribunale, della domanda di risarcimento dei danni subiti dalla correntista e dai fideiussori per effetto della condotta illegittima tenuta dalla banca, rimarcando, altresì, la nullità delle fideiussioni prestate per indeterminatezza dell’oggetto.
2.1. L’adita Corte di appello di Messina, con sentenza del 22 ottobre/13 novembre 2018, n. 1012, così decise: « a) accoglie parzialmente l’appello e,
per l’effetto, condanna gli appellati, in solido, al pagamento, in favore dell’appellante, della somma di € 33.018,78, oltre interessi legali fino al soddisfo; b) compensa integralmente tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio ».
2.1.1. Per quanto qui ancora di interesse, quella corte: i ) disattese l’eccezione di inammissibilità del gravame sollevata dagli appellati sul presupposto della erronea notificazione dell’atto di appello. Osservò, sul punto, che « L’esame delle relate di notifica dell’atto di appello evidenzia che la Banca ha provveduto alla notifica a COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, i primi due sia nella qualità di eredi di COGNOME NOME, presso la loro residenza anagrafica, sia in proprio presso lo studio del loro difensore in primo grado. Orbene, se così stanno le case, e non pare possano residuare dubbi al riguardo, ne discende che le doglianze mosse sul punto dalla difesa degli appellati non colgono nel segno, anche considerando la rinunzia di COGNOME NOME e COGNOME NOME alla eredità di COGNOME NOME. Non vi è stata alcuna omissione che abbia potuto inficiare la regolarità del contraddittorio che risulta correttamente instaurato »; ii ) considerò corretto l’operato del tribunale nella parte in cui aveva dichiarato la illegittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi, della applicazione della commissione di massimo scoperto e di tutte le altre spese prive di titolo negoziale giustificativo; iii ) ritenne, invece, che « le conclusioni cui perviene il CTU a proposito della operazione di contabilizzazione della somma di € 44.451,51, confermate nei successivi atti peritali integrativi in primo grado e ribadite anche nell’odierno grado di giudizio, in seno alla relazione tecnica del 07/02/2013, non siano condivisibili. Risulta abbastanza chiaro, infatti, anche alla luce della documentazione prodotta dalla Banca appellante, che la somma di € 44.451,51 non costituisca una rimessa effettuata dalla correntista per azzerare la propria situazione debitoria, bensì una operazione contabile interna della banca che ha girato a sofferenza il relativo importo, portando così a zero il saldo finale. Alla luce di ciò, e considerato che, come evidenziato dal c.t.u., al momento della girata a sofferenza del superiore importo, il saldo bancario presentava un attivo di €
11.432,73 a favore della correntista, ne consegue che residua in favore della Banca un credito di € 33.018,78 che va maggiorato degli interessi legali fino al soddisfo »; iv ) opinò, infine, quanto al gravame incidentale « spiegato dagli appellati, che le fideiussioni siano perfettamente valide e che non sussistano i presupposti per dichiararne la nullità per violazione degli artt. 2698, 1341 e 1469 c.c. Parimenti non accoglibile si appalesa la domanda volta ad ottenere, in via incidentale, il risarcimento dei danni nella misura di € 5.000 per ciascuno degli appellati, essendo tale domanda sfornita di supporto probatorio ».
Per la cassazione di questa sentenza hanno proposto separati ricorsi, illustrati da un’unica memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ., rispettivamente, NOME COGNOME e NOME COGNOME, affidandosi a quattro motivi, nonché NOME COGNOME e NOME COGNOME, pure con quattro motivi. RAGIONE_SOCIALE BPM RAGIONE_SOCIALEp.a. e RAGIONE_SOCIALE, quest’ultima quale procuratrice di RAGIONE_SOCIALE, uniche destinatarie della notificazione dei menzionati ricorsi, non hanno svolto difese in questa sede.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Rileva, preliminarmente, il Collegio che i separati ricorsi promossi, in pari data, contro la medesima sentenza della Corte di appello di Messina n. 1012 del 2018, rispettivamente, da NOME COGNOME e NOME COGNOME, nonché da NOME COGNOME e NOME COGNOME, devono essere riuniti ex art. 335 cod. proc. civ.. Gli stessi, peraltro, si rivelano di contenuto assolutamente identico, anche quanto ai motivi in ciascuno di essi formulati e ciò ne consente, pertanto, l’esame unitario.
Il loro primo motivo, rubricato « Nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt. 102 e/o 331 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. », ribadisce l’eccezione di nullità della notificazione del gravame della banca eseguita presso il difensore di NOME COGNOME costituito in primo grado, invece che agli eredi della COGNOME, da tempo deceduta, da ciò facendone derivare la nullità dell’intero procedimento d’appello e della sentenza oggi impugnata. I ricorrenti assumono, ino ltre, che già con la propria comparsa di costituzione innanzi alla corte distrettuale,
avevano eccepito la mancata notificazione dell’appello agli eredi della COGNOME e che la invocata nullità « è ancora più evidente ove si consideri la circostanza che i figli della COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, avevano rinunziato all’eredità, pertanto non erano parti del giudizio di appello quali eredi della COGNOME ».
2.1. Questa doglianza non merita accoglimento.
2.2. Invero, le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza del 4 luglio 2014, n. 15295, hanno stabilito che: i ) « In caso di morte o perdita di capacità della parte costituita a mezzo di procuratore, l’omessa dichiarazione o notificazione del relativo evento ad opera di quest’ultimo comporta, giusta la regola dell’ultrattività del mandato alla lite, che il difensore continui a rappresentare la parte come se l’evento stesso non si fosse verificato, risultando così stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata (rispetto alle altre parti ed al giudice) nella fase attiva del rapporto processuale, nonché in quelle successive di sua quiescenza od eventuale riattivazione dovuta alla proposizione dell’impugnazione. Tale posizione è suscettibile di modificazione qualora, nella fase di impugnazione, si costituiscano gli eredi della parte defunta o il rappresentante legale di quella divenuta incapace, ovvero se il suo procuratore, già munito di procura alla lite valida anche per gli ulteriori gradi del processo, dichiari in udienza, o notifichi alle altre parti, l’evento, o se, rimasta la medesima parte contumace, esso sia documentato dall’altra parte o notificato o certificato dall’ufficiale giudiziario ex art. 300, quarto comma, cod. proc. civ. »; ii ) « La morte o la perdita di capacità della parte costituita a mezzo di procuratore, dallo stesso non dichiarate in udienza o notificate alle altre parti, comportano, giusta la regola dell’ultrattività del mandato alla lite, che: a) la notificazione della sentenza fatta a detto procuratore, ex art. 285 cod. proc. civ., è idonea a far decorrere il termine per l’impugnazione nei confronti della parte deceduta o del rappresentante legale di quella divenuta incapace; b) il medesimo procuratore, qualora originariamente munito di procura alla lite valida per gli ulteriori gradi del processo, è legittimato a proporre impugnazione – ad eccezione del ricorso per cassazione, per cui è richiesta la procura speciale –
in rappresentanza della parte che, deceduta o divenuta incapace, va considerata, nell’ambito del processo, tuttora in vita e capace; c) è ammissibile la notificazione dell’impugnazione presso di lui, ai sensi dell’art. 330, primo comma, cod. proc. civ., senza che rilevi la conoscenza “aliunde” di uno degli eventi previsti dall’art. 299 cod. proc. civ. da parte del notificante ».
2.2.1. Tali principi, sostanzialmente ribaditi ripetutamente dalla successiva giurisprudenza di legittimità ( cfr., ex aliis , Cass. n. 19533 del 2014; Cass. n. 710 del 2016; Cass. nn. 20840 e 24845 del 2018; Cass. n. 8037 del 2021; Cass. n. 2439 del 2024), consentono agevolmente di ritenere che, non risultando dalla sentenza oggi impugnata se e quando il difensore costituito della COGNOME in primo grado avesse dichiarato, nel procedimento innanzi al Tribunale di Messina , l’evento morte della sua assistita, per ciò solo deve considerarsi correttamente a lui notificato il gravame della banca avverso le sentenze (non definitiva e definitiva) rese dal medesimo Tribunale.
2.2.2. A tanto deve aggiungersi che la corte distrettuale ha pure dato atto che (come peraltro verificato da questa Corte, essendole consentito l’accesso agli atti del fascicolo in ragione della natura di error in procedendo del vizio denunciato) la notifica del gravame suddetto era stata eseguita, nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME, quali eredi di NOME COGNOME, presso la loro residenza anagrafica, e, in proprio, presso il loro difensore costituito in primo grado, sicché nessun dubbio può sussistere circa la rituale instaurazione di quella impugnazione.
2.2.3. La circostanza, poi, che NOME COGNOME e NOME COGNOME avessero, nelle more, rinunciato all’eredità materna avrebbe avuto rilevanza esclusivamente come ostacolo ad una loro eventuale condanna per debiti non assunti in proprio (quali ad esempio, quelli emergenti dalle prestate fideiussioni) ma su di essi eventualmente gravanti nella (invece rinunciata) qualità di eredi della COGNOME.
2.3. Da ultimo, va rimarcato che gli odierni ricorrenti nemmeno hanno indicato i nominativi di eventuali altri figli (oltre a NOME COGNOME e NOME COGNOME) e/o eredi di quest’ultima nei cui confronti avrebbe
dovuto essere integrato il contraddittorio in appello, sicché, in tali parti, le doglianze in esame si rivelano inammissibili, dovendo trovare applicazione il consolidato, e qui condiviso, principio per cui « la parte che deduce la non integrità del contraddittorio ha l’onere di indicare quali siano i litisconsorti pretermessi e di dimostrare i motivi per i quali è necessaria l’integrazione » ( cfr . Cass. n. 17589 del 2020; Cass. n. 5679 del 2020; Cass. n. 25810 del 2013; Cass. n. 12346 del 2009; Cass. n. 12504 del 2007; Cass. n. 5880 del 2006). Va considerato, del resto, che le risultanze del fascicolo d’ufficio non possono valere a colmare eventuali carenze espositive del ricorso per cassazione.
Il secondo ed il terzo motivo di entrambi i ricorsi denunciano, rispettivamente, in sintesi:
II) « Violazione dell’art. 345, comma 2, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., non avendo la Corte d’Appello statuito sull’inammissibilità della produzione documentale svolta da parte avversa nel giudizio di appello », contestandosi alla corte territoriale di non essersi pronunciata « sull’inammissibile produzione documentale » operata dalla banca appellante nel corso del procedimento di secondo grado, benché asseritamente eccepita dagli odierni ricorrenti nella loro memoria di replica in quella sede;
III) « Violazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., non avendo assolto l’istituto di credito all’onere della prova », assumendosi, esclusivamente, che « L’istituto di credito avrebbe dovuto provare le proprie ragioni creditorie. Dette ragioni non sono state provate come dimostrano le sentenze di primo grado e la CTU. Né l’avere prodotto tardivamente una documentazione, dell’istituto di credito e nella disponibilità del medesimo istituto, può essere ritenuto in qualsivoglia modo produzione ammissibile. Invece, la Corte ha accolto l’appello di parte avversa proprio in forza di detta documentazione non considerata dal c.t.u., che, sia nel primo grado, che nel secondo grado aveva operato le stesse conclusioni sostenendo che la Banca fosse non creditrice, bensì debitrice e che la produzione della banca non era conforme alla normativa ».
3.1. Queste doglianze, scrutinabili congiuntamente perché chiaramente connesse, si rivelano complessivamente insuscettibili di accoglimento per le dirimenti considerazioni di cui appresso.
3.2. Innanzitutto, i ricorrenti non indicano, come sarebbe stato loro specifico onere, l’effettivo contenuto della documentazione de qua , non bastandone soltanto la loro localizzazione ( cfr . Cass., SU, n. 34469 del 2019; Cass. n. 18695 del 2021; Cass. n. 31999 del 2022; Cass. n. 5141 del 2023).
3.3. Va considerato, poi, che, nella specie, il giudizio di appello risulta essere stato instaurato nell’ottobre 2011 (come emerge da quanto esposto alla pag. 4 del ricorso), dovendo, quindi trovare applicazione il testo dell’art. 345 cod. proc. civ. come modificato dalla legge n. 69 del 2009 (applicabile anche ai giudizi pendenti, in primo grado, alla data del 4 luglio 2009. Cfr. art. 58, comma 2, della legge n. 69 del 2009), e non quello successivamente modificato dal d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012 (applicabile, invece, ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dall’11 settembre 2012), che ha soppresso, in sede di conversione, il riferimento alla ‘ indispensabilità ‘ della prova ai fini della decisione.
3.3.1. Nel testo qui utilizzabile e per quanto di interesse in questa sede, dunque, il menzionato articolo prevedeva, ai commi 2 e 3: ‘ II. Non possono proporsi nuove eccezioni, che non siano rilevabili anche d’ufficio. III. Non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che il collegio non li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. Può sempre deferirsi il giuramento decisorio ‘.
3.3.2. Orbene, giusta lo stabile orientamento delle Sezioni Unite di questa Corte, nel giudizio di appello, costituisce prova nuova indispensabile, ai sensi dell’art. 345, comma 3, cod. proc. civ., nel testo previgente rispetto alla novella di cui al d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, quella di per sé idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o
confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto indimostrato o non sufficientemente provato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado ( cfr . Cass., SU, n. 10790 del 2017. Si vedano pure, in senso conforme, Cass. n. 24164 del 2017; Cass. n. 24129 del 2018; Cass. nn. 196 e 8551 del 2024).
3.3.3. Ad avviso di questo Collegio, quindi, nel solco della giurisprudenza delle Sezioni Unite, e come recentemente sancito da Cass. n. 196 del 2024 ( cfr . in motivazione, pag. 16 e ss.), « il fatto stesso che nel vigore della disciplina previgente l’indispensabilità del documento costituisse requisito, necessario e sufficiente, per la producibilità in appello, indipendentemente dalla accertata impossibilità di produzione in primo grado, la quale integrava una diversa ed alternativa ipotesi di nuova producibilità, dimostrava che -nella suddetta ipotesi di indispensabilità -a nulla rilevava che tale impossibilità non sussistesse e che la parte, pertanto, tale documento avrebbe già potuto produrre in primo grado. Diversamente opinando, invero, si attribuirebbe alla riforma del 2012 un significato non innovativo, bensì meramente interpretativo del precedente testo dell’art. 345, comma 3, cod. proc. civ. Il nuovo testo dell’art. 345, comma 3, cod. proc. civ. da quest’ultima scaturito , ove letto diversamente da come sopra argomentato sarebbe, infatti, sostanzialmente inutile. E cioè, esigendosi sempre, anche nel testo previgente, l’impossibilità della precedente produzione in termini, non si comprende dove risiederebbe la diversità di disciplina fra tale testo e quello attuale. Anzi, paradossalmente, il nuovo testo dell’art. 345, comma 3, cod. proc. civ., sarebbe più permissivo del testo previgente. Infatti, attualmente, valutata l’impossibilità di produzione in termini, un nuovo documento sarebbe sempre producibile in appello, anche se non indispensabile. Per contro, secondo il testo previgente, considerando che il documento, oltre ad essere nuovo e non
precedentemente producibile, doveva essere anche indispensabile, le maglie dell’ammissione in appello sarebbero più strette di quelle ora vigenti ».
3.4. Fermo quanto precede, nell’odierna vicenda, non risulta che la documentazione menzionata dai ricorrenti nel loro odierno secondo motivo fosse stata già prodotta dalla banca (e ritenuta inammissibile dal tribunale) in primo grado, sicché la stessa, ove effettivamente indispensabile ai fini della decisione, era sicuramente producibile in appello ( cfr . Cass. n. 196 del 2024; Cass. n. 11804 del 2021).
3.4.1. Costituisce orientamento consolidato, poi, quello secondo cui « Nel giudizio di legittimità, qualora venga dedotta l’erroneità dell’ammissione o della dichiarazione di inammissibilità di una prova documentale in appello, la RAGIONE_SOCIALE, in quanto chiamata ad accertare un “error in procedendo” , è giudice del fatto, ed è, quindi, tenuta a stabilire se si trattasse in astratto di prova indispensabile, ossia teoricamente idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione dei fatti di causa » ( cfr . Cass. n. 32815 del 2023). Spetta, dunque, a questa Corte un apprezzamento di detta prova da svolgersi al solo fine di stabilirne l’idoneità teorica ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione dei fatti di causa, spettando pur sempre al giudice di merito l’apprezzamento in concreto delle inferenze desumibili dalla prova ai fini di tale ricostruzione ( cfr . Cass. n. 20525 del 2020).
3.4.2. Muovendo da tali principi, dunque, è innegabile, in relazione all’odierna vicenda, la potenziale idoneità dimostrativa, in rapporto al thema probandum , avuto riguardo allo sviluppo assunto dall’intero processo, della copia del libro giornale sezionale dei crediti in sofferenza che i ricorrenti hanno riferito essere stato prodotto dalla banca appellante solo in sede di gravame, mentre non compete a questa Corte, come si appena riferito, sindacare l’apprezzamento in concreto che di questo documento e di quanto da esso ricavabile ne ha fatto la corte distrettuale.
3.5. Alla stregua delle esposte argomentazioni, pertanto, il vizio lamentato nel secondo motivo sia del ricorso di NOME COGNOME e NOME COGNOME che di quello di NOME COGNOME e NOME COGNOME si rivela insussistente, mentre, quanto al terzo, basta qui solo ricordare che
un’autonoma questione di malgoverno del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. si pone esclusivamente ove il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di un’eventuale incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia ritenuto assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. ( cfr ., anche nelle rispettive motivazioni, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 15032 e 10794 del 2024; Cass. n. 9021 del 2023; Cass. n. 11963 del 2022; Cass. nn. 17313 e 1634 del 2020; Cass. nn. 26769 e 13395 del 2018; Cass. n. 26366 del 2017; Cass nn. 19064 e 2395 del 2006), nella specie nemmeno prospettato (e comunque da rapportarsi – in ipotesi – al testo novellato di cui alla citata norma, introdotto dal d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, qui applicabile ratione temporis , risultando impugnata una sentenza resa il 13 novembre 2018).
4. Il quarto motivo di ciascun ricorso, infine, rubricato « Nullità della fideiussione per violazione degli artt. 1956 c.c. e/o 1957 c.c. e/o 1175 c.c. e/o 1176 c.c. e/o 1418 c.c. e/o 115, comma 1, c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. », contesta alla corte di appello di avere ritenuto « perfettamente valide » le fideiussioni prestate dagli appellati ed insussistenti « i presupposti per dichiararne la nullità per violazione degli artt. 2698, 1341 e 1469 c.c. », così disattendendo il loro gravame incidentale con cui ne avevano invocato la nullità e/o inefficacia, o, in subordine, la sussistenza del beneficio dell’escussione di cui all’art. 1957 cod. civ., con ogni conseguente statuizione. Si assume, in particolare, che: i ) « La fidejussione, su cui si fonda il decreto ingiuntivo, ex art. 1956 è considerare nulla e/o inesistente e/o inefficace e/o annullabile, poiché la stessa presenta una clausola di dispensa della banca creditrice dall’onere di conseguire una specifica autorizzazione del fideiussore per nuove concessioni di credito in caso di mutamento delle condizioni patrimoniali del debitore garantito. Nel caso di specie, la banca, beneficiaria della fideiussione, non ha tenuto un comportamento, nei
confronti dei fideiussori, improntato al rispetto dei principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto e ciò determina la nullità delle fideiussioni »; ii ) « Si era anche chiesto che venisse dichiarata la nullità della clausola di deroga all’art. 1957 c.c. » per le ragioni specificamente spiegate nell’odierna doglianza.
4.1. Questo motivo deve considerarsi complessivamente inammissibile.
4.2. Invero, anche volendosi sottacere la circostanza che della prospettazione di analoghe censure in appello non vi è traccia nella sentenza impugnata (in cui si legge soltanto, alla pagina 4, che NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, « In via riconvenzionale, hanno lamentato altresì la nullità delle fideiussioni prestate per indeterminatezza dell’oggetto ». Doglianza questa respinta dalla corte territoriale con la motivazione di cui si è detto in precedenza), non può, invece, non rimarcarsi, da un lato, che i ricorrenti nemmeno hanno riprodotto, in evidente violazione del principio di autosufficienza del ricorso, il contenuto delle clausole asseritamente contrastanti con gli artt. 1956 e 1957 cod. civ., così impedendo a questa Corte qualsivoglia esame e valutazione delle stesse; dall’altro, che la doglianza, per come concretamente argomentata, postula accertamenti, di natura chiaramente fattuale, assolutamente incompatibili con le caratteristiche proprie del giudizio legittimità, il quale non può essere trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative ( cfr . Cass. n. 21381 del 2006, nonché, tra le più recenti, Cass. n. 8758 del 2017; Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. nn. 32026 e 40493 del 2021; Cass. nn. 1822, 2195, 3250, 5490, 9352, 13408, 5237, 21424, 30435, 35041 e 35870 del 2022; Cass. nn. 1015, 7993, 11299, 13787, 14595, 17578, 27522, 30878 e 35782 del 2023; Cass. nn. 4582, 4979, 5043, 6257, 9429 e 10712 del 2024).
In conclusione, quindi, gli odierni ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME nonché di NOME COGNOME e NOME COGNOME, riuniti ex
art. 335 cod. proc. civ., devono essere respinti, senza necessità di pronunce in ordine alle spese di questo giudizio di legittimità non essendosi costituite le parti destinatarie della notificazione dei loro ricorsi, altresì dandosi atto, -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte dei medesimi ricorrenti, in solido tra loro, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il rispettivo ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte , riuniti, ex art. 335 cod. proc. civ., i ricorsi proposti, rispettivamente, da NOME COGNOME e NOME COGNOME e da NOME COGNOME e NOME COGNOME, li rigetta entrambi.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera dei medesimi ricorrenti, in solido tra loro, dell’ulteriore importo a titolo di con tributo unificato, pari a quello previsto per il rispettivo ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile