Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 29638 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 29638 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 10/11/2025
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al N. 16351/2024 R.G., proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa da ll’ AVV_NOTAIO come da procura in calce al ricorso, domicilio digitale come in atti
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del procuratore speciale NOME COGNOME, quale cessionaria del ramo di azienda di RAGIONE_SOCIALE di cui all’atto di cessione del 1.7.2024, rappresentata e difesa da ll’ AVV_NOTAIO come da procura in calce al controricorso, domicilio digitale come in atti
– controricorrente –
avverso la sentenza del la Corte d’appello di Lecce n. 406/2024 pubblicata il
3.5.2024;
udita la relazione della causa svolta nella adunanza camerale del 19.9.2025 dal AVV_NOTAIO relatore AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
Così la sentenza impugnata descrive lo svolgimento dei fatti processuali : ‘ Con atto ritualmente notificato RAGIONE_SOCIALE (in seguito, per brevità, RAGIONE_SOCIALE), convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Lecce la società RAGIONE_SOCIALE al fine di sentirla condannare al risarcimento dei danni quantificati in € 9.418,83. Dedusse in fatto che il giorno 04/03/2016 la convenuta, durante l’installazione dei paletti del guardrail in località Monteroni INDIRIZZO Lecce, INDIRIZZO INDIRIZZO, incrocio INDIRIZZO, aveva arrecato ingenti danni agli apparati ed impianti di proprietà della RAGIONE_SOCIALE. Tanto risultava da un verbale di constatazione del danno del 04/03/2016, una scheda di valorizzazione ed un dettaglio della pratica valorizzata redatti da essa deducente, e allegati in atti. Osservò l’attrice che ‘ la mancata adozione durante le suddette lavorazioni di qualsivoglia cautela idonea ad evitare il danno, in uno all’evidente pericolosità dell’attività svolta’ (cfr. atto di citazione) rendeva palese la responsabilità della parte convenuta. Si costituì RAGIONE_SOCIALE eccependo in primis la propria carenza di legittimazione passiva facendo rilevare che ‘ come è noto in tema di appalto è di regola l’appaltatore che risponde dei danni provocati a terzi…attesa l’autonomia con cui svolge la sua attività nell’esecuzione dell’opera …mentre il controllo e la sorveglianza del committente si limitano all’accertamen to e alla verifica della corrispondenza dell’opera o del servizio affidato all’appaltatore con quanto costituisce l’oggetto del contratto. In tale contesto pertanto una responsabilità del committente nei riguardi dei terzi risulta configurabile solo allorquando si dimostri che il fatto lesivo sia stato commesso dall’appaltatore in esecuzione di un ordine impartitogli dal direttore dei lavori o di altro
rappresentante del committente stesso, oppure quando sia configurabile in capo al committente una culpa in eligendo… In materia di appalti pubblici poi l’appaltatore conserva, anche se generalmente in misura minore rispetto all’appalto privato, i necessari margini di autonomia, sicché egli è da considerare, di regola, unico responsabile dei danni cagionati ai terzi nel corso dei lavori potendosi riconoscere anche la responsabilità dell’amministrazione solo se il fatto dannoso si è determinato in esecuzione del progetto di direttive impartite dall’amministrazione committente poiché in questo caso l’appaltatore agisce quale nudus minister (Cass. III sez. Civ. n. 3967/2014). Appare evidente pertanto che la domanda risarcitoria andava proposta nei confronti della provincia di Lecce ‘ (cfr. comparsa di costituzione). In via subordinata eccepì ‘l’assenza di responsabilità in capo all’appaltatore con prevalente responsabilità del committente’ in quanto la direzione lavori nell’area in oggetto era rimasta nella disponibilità della Provincia, quale stazione appaltante, il cui tecnico, in sede di sopraluogo, aveva indicato le modalità e i tratti di strada nel quale apporre i pilastri del guard-rail senza tuttavia comunicare alla ditta convenuta la presenza di cavidotti sotterranei e la distanza dal manato stradale. Dedusse altresì che il cavidotto era stato posizionato da RAGIONE_SOCIALE in modo irregolare rispetto al piano viario, ad una profondità inferiore a 1 m., in violazione dell’art. 66 del Reg. Att. al C.d.S.. Contestò infine che per lo stesso episodio assertivamente dannoso l’attrice aveva promosso dinanzi al Tribunale di Lecce analogo giudizio iscritto al n. 9291/NUMERO_DOCUMENTO R.G. sicché invocò, in via preliminare, la riunione della predetta causa alla più risalente n. 9290/2017 R.G. lamentando inoltre un abuso del processo a danno della convenuta in ragione di costi ingiustificati e superflui,
anche per maggiorazione di spese processuali. Riunito il fascicolo n. 9291/17 R.G. al n. NUMERO_DOCUMENTO R.G. la causa fu istruita a mezzo produzione documentale, prova testimoniale e c.t.u., e decisa, previa discussione orale, ai sensi dell’art. 281 sexies cod. proc. civ. all’udienza del 01/02/2021 con sen tenza n. 287/2021 con la quale il Tribunale di Lecce rigettò le domande e condannò parte attrice al pagamento delle spese di lite nella misura di € 6.000,00 oltre accessori e spese di CTU. (…) Avverso la sentenza notificata in data 02/02/2021 ha proposto appello RAGIONE_SOCIALE con atto di citazione notificato in data 15/02/2021 chiedendone la riforma con tre motivi. RAGIONE_SOCIALE si è costituita resistendo al gravame chiedendone il rigetto, riproponendo le medesime eccezioni e difese di primo grado ‘.
Con sentenza del 3.5.2024, la C orte d’appello di Lecce accolse il gravame e, in riforma della sentenza di primo grado, condannò la RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore dell’attrice, della somma di € 18.283,66, oltre accessori. Osservò la C orte d’appello che i danni e il nesso eziologico tra gli stessi e le operazioni di scavo eseguite dall’appellata non erano stati contestati, sicché non abbisognavano di prova; che l’attività edilizia può anche assumere i connotati dell’attività pericolosa ex art. 2050 c.c., quando essa comporti rilevanti opere di trasformazione; che nella specie gli scavi erano di rilevante entità; che la convenuta non aveva assolto il proprio onere probatorio; che la quantificazione dei danni operata dall’appellante non era stata contestata.
Avverso detta sentenza ricorre per cassazione RAGIONE_SOCIALE, sulla scorta di cinque motivi, cui resiste con controricorso la RAGIONE_SOCIALE, quale cessionaria del ramo d’azienda di RAGIONE_SOCIALE , la quale ultima non ha svolto difese. Ai sensi
dell’art. 380 -bis c.p.c., in data 31.10.2024 è stata formulata proposta di definizione accelerata del giudizio di legittimità, essendosi ravvisate ragioni di inammissibilità del ricorso, come di seguito: ‘ Il ricorso presenta evidenti profili di inammissibilità, tempestivamente eccepiti dalla controricorrente, in relazione alla nullità della procura speciale ad litem ex art. 365 c.p.c., giacché né dalla procura stessa, né dal tenore del ricorso stesso, è possibile compiutamente identificare la persona fisica che, quale asserito legale rappresentante della ricorrente, ha conferito il mandato all’AVV_NOTAIO, sottoscrivendo in modo illeggibile la procura stessa (sul tema si veda, per tutte, Cass., Sez. Un., n. 25036/2013) ‘. La ricorrente ha avanzato rituale istanza di decisione ed è stata fissata l’odierna adunanza camerale. Le parti hanno depositato memoria. Il Collegio ha riservato il deposito della ordinanza entro sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1 -Preliminarmente, ritiene la Corte che il controricorso depositato da RAGIONE_SOCIALE, quale cessionaria del ramo di azienda della RAGIONE_SOCIALE (originaria attrice e appellante) che comprende l’infrastruttura di rete fissa primaria e secondaria nonché tutti i rapporti dipendenti e connessi alla rete stessa, sia ammissibile.
Infatti, non rileva la circostanza, valorizzata dalla ricorrente, per cui al controricorso non è stato allegato l’atto di cessione del ramo d’azienda da RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE, giacché tanto è avvenuto con produzione del 28.5.2025 e, dunque, nel piano rispet to dei termini di cui all’art. 372 c.p.c., trattandosi all’evidenza di documenti attinenti alla stessa ammissibilità del controricorso.
Ne discende la piena applicabilità del principio per cui ‘ Il successore a titolo particolare nel diritto controverso, sebbene non possa intervenire nel giudizio di legittimità, mancando una espressa previsione normativa che consenta al terzo di parteciparvi esplicando le proprie difese, è ammesso a depositare controricorso, per resistere al ricorso proposto contro il proprio dante causa, nel caso in cui in cui quest’ultimo sia rimasto inerte, altrimenti determinandosi un’irrimediabile lesione del suo diritto di difesa ‘ (Cass. n. 16526/2024).
Risulta infatti evidente che, poiché RAGIONE_SOCIALE (già appellante) non ha svolto difese, la cessionaria del ramo d’azienda comprendente il rapporto litigioso, quale successore a titolo particolare nel diritto controverso ex art. 111 c.p.c., ben può spiegare le proprie difese in questa sede con controricorso, pure avendo ritualmente documentato la propria legittimazione.
2.1 -Ciò posto, non mette conto esaminare partitamente le singole doglianze proposte in ricorso, in quanto esso è palesemente inammissibile.
Anzitutto, ritiene la Corte di condividere integralmente il contenuto della proposta di definizione anticipata, giacché è costante, nella giurisprudenza di legittimità, l’insegnamento per cui ‘ La procura speciale alle liti rilasciata, per conto di una società esattamente indicata con la sua denominazione, con sottoscrizione affatto illeggibile, senza che il nome del conferente, di cui si alleghi genericamente la qualità di legale rappresentante, risulti dal testo della stessa, né dall’intestazione dell’atto a margine od in calce al quale sia apposta, ed altresì priva, nell’uno o nell’altra, dell’indicazione di una specifica funzione o carica del soggetto medesimo che lo renda identificabile attraverso i documenti di causa o
le risultanze del registro delle imprese, è affetta da nullità relativa, che la controparte può tempestivamente opporre ex art. 157, secondo comma, cod. proc. civ., onerando, così, l’istante d’integrare con la prima replica la lacunosità dell’atto iniziale, mediante chiara e non più rettificabile notizia del nome dell’autore della suddetta sottoscrizione, difettando la quale, così come in ipotesi di inadeguatezza o tardività di tale integrazione, si verifica invalidità della procura ed inammissibilità dell’atto cui essa accede ‘ (Cass., Sez. Un., n. 25036/2013; conf., Cass. n. 16634/2017 e, in tema di regolamento preventivo di giurisdizione, la recentissima Cass., Sez., Un., n. 4717/2025).
Ora, nella specie, in controricorso (della cui ammissibilità s’è già detto ) la RAGIONE_SOCIALE ha tempestivamente eccepito la nullità della procura, proprio a cagione della illeggibilità della firma in calce, per quanto riferita allo ‘ Amministratore e legale rappr. p.t. ‘ della RAGIONE_SOCIALE, peraltro deducendo che la stessa firma non appartiene a colui che, dalla afferente visura camerale, risultava possedere tale qualità anche al tempo del rilascio della procura in parola (ossia, tale NOME NOME COGNOME), bensì a tale NOME COGNOME, che invece rivestiva la carica al tempo dell’introduzione della lite in primo grado (tanto da aver rilasciato la relativa procura ad litem , la cui sottoscrizione si assume identica a quella di cui qui si discute).
Ebbene, a fronte di tale puntuale e specifica eccezione, l’odierna ricorrente , in memoria, si è limitata ad indicare l’identità del proprio legale rappresentante pro tempore (appunto, NOME COGNOME , con riguardo all’epoca di proposizione del ricorso), allegando anche successiva procura speciale dal
N. 16351/24 R.G.
medesimo rilasciata, ai fini della decisione del ricorso stesso, come prevedeva l’art. 380 -bis , comma 2, c.p.c. (nel testo applicabile ratione temporis ).
Tuttavia, nulla ha osservato la ricorrente riguardo alla specifica attribuzione della firma in questione al precedente amministratore e legale rappresentante di essa società; d’altra parte, non ci si può esimere dal rilevare che la firma autografa attribuibile ad NOME COGNOME, come certificata dal difensore della RAGIONE_SOCIALE in calce alla procura conferita per il giudizio di primo grado (doc. 31 controricorrente), appare prima facie identica a quelle rilasciate in calce sia alla procura speciale ex art. 365 c.p.c., sia a quella ex art. 380bis c.p.c., sicché delle due l’una: o la prima sottoscrizione non appartiene al COGNOME, per essere stata apposta dallo stesso NOME COGNOME; oppure anche la seconda e la terza appartengono allo stesso COGNOME.
D’altra parte, pur vero essendo che la autografia attestata dal difensore può essere contestata solo con querela di falso (v. Cass. n. 28004/2021; Cass., Sez. Un., n. 25032/2005), nella specie si è al cospetto di tre sottoscrizioni prima facie identiche, ma certificate come autentiche dal medesimo difensore, benché certamente attribuibili (tenuto conto del documentato avvicendamento nella carica sociale) ad almeno due diverse persone fisiche.
Risulta quindi evidente che, stante l’irresolubile incertezza su chi abbia effettivamente rilasciato la procura speciale ex art. 365 c.p.c., questa non possa che essere considerata nulla, non risultando superato il vizio di nullità relativa dalla successiva attività difensiva della società ricorrente, in quanto non può dirsi evidentemente sufficiente, a tal fine, la mera indicazione del nominativo del legale rappresentante, in origine mancante.
3.1 -Il ricorso, però, è inammissibile anche per una ulteriore ragione.
Esso, infatti, viola palesemente l’art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c., giacché difetta totalmente qualsivoglia illustrazione dei fatti sostanziali e processuali della vicenda, sì da rendere praticamente incomprensibili le censure proposte dalla ricorrente : l’unica cosa che è dato desumere dalla lettura del ricorso è che la controversia attiene a pretesa risarcitoria per danni arrecati nel corso della effettuazione di lavori di scavo. Ma tanto è assolutamente insufficiente.
Nella giurisprudenza di questa Corte, è costante l’affermazione per cui ‘ Il disposto dell’art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c. – secondo cui il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, l’esposizione sommaria dei fatti di causa – non risponde ad un’esigenza di mero formalismo, bensì a consentire alla RAGIONE_SOCIALE di conoscere dall’atto, senza attingerli aliunde, gli elementi indispensabili per una precisa cognizione dell’origine e dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti; per soddisfare tale requisito occorre che il ricorso per cassazione contenga, in modo chiaro e sintetico, l’indicazione delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello e, infine, del tenore della sentenza impugnata ‘ (così, per tutte, Cass. n. 1352/2024). Il che vale, a maggior ragione, anche in relazione al nuovo testo della citata disposizione processuale, come modificata dal d.lgs. n. 149/2022.
N. 16351/24 R.G.
D’altra parte, n on è un caso che, per poter comprendere con precisione lo stesso oggetto della contesa e le ragioni della decisione qui impugnata, nonché il significato delle singole censure, si renda indispensabile la lettura della stessa sentenza, con ciò restando conclamato il vizio in parola.
4.1 -In definitiva, il ricorso è inammissibile. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. La definizione del ricorso in linea con la proposta di definizione ex art. 380bis c.p.c. giustifica la condanna della ricorrente anche ai sensi dell ‘ art. 96, commi 3 e 4, c.p.c., come da dispositivo. In relazione alla data di proposizione del ricorso , può darsi atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P. Q. M.
la Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite, che liquida in € 3.0 00,00 per compensi, oltre € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario spese generali in misura del 15%, oltre accessori di legge.
Condanna altresì la ricorrente, ai sensi dell ‘ art. 96, comma 3, c.p.c., al pagamento in favore della controricorrente dell ‘ulteriore somma di € 3.000,00, nonché, ai sensi dell ‘art. 96, comma 4, c.p.c., al pagamento della somma di € 5.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n.115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, in data 19.9.2025.
Il Presidente NOME COGNOME